“Annuncio shock”, scrive il quotidiano israeliano Aahretz, orientato a sinistra, in riferimento alle dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sul suo progetto per Gaza, che prevede il trasferimento dei palestinesi in Giordania ed Egitto, luoghi che ha definito "così belli" che non vorranno più tornare. Un piano che vede gli Stati Uniti prendere il controllo della Striscia con una ricostruzione che la farà divenire la "riviera del Medio Oriente".

Secondo il presidente i circa due milioni di gazawi che lui, in buona sostanza, vorrebbe deportare non vedrebbero l’ora di andarsene dalle loro terre: una visione che rileva quanto Trump consideri i palestinesi non come esseri umani, persone vittime di una guerra atroce e devastante, ma come pedine da spostare per dare vita ai suoi programmi di business.

Come si è ripetuto più volte, l’inquilino della Casa Bianca si muove non come statista, come uomo politico e come richiederebbe il suo ruolo, ma come un uomo di affari dedito al profitto e sempre impegnato in transazioni e ricatti. Lo si vede anche con l’uso della minaccia dei dazi, imposti e poi ritrattati o ridotti in cambio, magari, dello ‘smaltimento’ di migranti, come fossero rifiuti, nei Paesi minacciati (vedi il caso della Colombia). 

Non solamente: le parole di Trump alimentano il dubbio che l’operazione portata avanti dal premier israeliano Benjamin Netanyahu dopo la strage compiuta da Hamas il 7 ottobre, giudicata da più parti inefficace allo scopo di riportare a casa gli ostaggi nelle mani dell’organizzazione islamista, puntassero a radere al suolo la Striscia per poi prenderne possesso e dare vita a un nuovo esodo forzato, una nuova nakba dei palestinesi, dopo quelle del 1948 e del 1967 in seguito alle guerre.

Avalon/Sintesi
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Territori Palestinesi, Gaza, Khan Younis, 26 aprile, 2024 : Palestinesi vagano per le strade distrutte di Khan Younis (Avalon/Sintesi)

Benché in gran parte distrutta, a tal punto che ci vorranno 15 anni per ricostruirla, come ci dimostrano le immagini prese dai droni sulla Striscia, non si può pensare di sottrarre Gaza a chi vi è nato e cresciuto, a un popolo che ha difeso con le unghie e i denti la sopravvivenza a casa propria e che per questo ha lasciato sul terreno quasi 50 mila morti in meno di un anno e mezzo.

Ma Trump e Netanyahu sono sodali e il premier israeliano si è recato proprio in questi giorni in visita a Washington nonostante un mandato di arresto internazionale che, secondo indiscrezioni, lo avrebbe spinto a deviare il suo volo verso gli Stati Uniti per evitare di passare su quei Paesi che hanno mostrato di voler eseguire il mandato emesso dalla Corte penale internazionale.   

I ‘no’ al piano di Trump per un controllo statunitense di Gaza sono fioccati abbondanti, primo fra tutti quello dell’Autorità nazionale palestinese. Il presidente Abu Mazen ha respinto "fermamente" il progetto di occupazione e il trasferimento dei gazawi “dalla loro patria": 'Non permetteremo che i diritti del nostro popolo vengano calpestati'. Dello stesso parere il leader di Hamas, Sami Abu Zuhri, per il quale l’iniziativa americana è "una ricetta per creare caos e tensione nella regione".

Parere nettamente negativo è stato espresso da Cina, Turchia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, la vicepresidenza dell’Unione Europa, Polonia, Australia, Arabia Saudita, mentre Egitto e Giordania avevano già bocciato il trasferimento dei palestinesi nei loro Paesi. La Russia si limita a dire di appoggiare la soluzione dei “due popoli, due Stati” e posizione ancor più tiepida l’ha espressa il governo italiano, con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha dichiarato di “non dovere commentare le dichiarazioni” di Trump, perché “ci sono i fatti che contano” e che, comunque, le risposte di Giordania ed Egitto gli fanno sembrare la soluzione difficilmente fattibile.

Di diverso segno la reazione dei leader dei coloni israeliani che, secondo quanto riportato dai media di Tel Aviv, mostrano entusiasmo nei confronti del piano trumpiano e invitano il loro governo ad attuarlo immediatamente e a iniziare a costruire insediamenti ebraici nel territorio, applicando anche la sovranità sulla Giudea e la Samaria, quindi annettendo la Cisgiordania. Dal canto suo, il ministro delle Finanze israeliano di estrema destra, Bezalel Smotrich, a poche ore dalle dichiarazioni di Trump, promette di fare di tutto per "seppellire definitivamente" l'idea di uno Stato palestinese.

Se però ci spostiamo dai canali di comunicazione ufficiali ai social, vediamo un post dell’associazione di ebrei statunitensi Jewish for peace, che nei 15 mesi di guerra ha sempre pubblicato notizie sulle stragi di palestinesi a Gaza condannando il governo israeliano, un post nel quale mostrano una fotografia del premier israeliano e del presidente americano guancia a guancia e scrivono: “Netanyahu incontra Musk, Hagee & Trump – L’alleanza Usa-Israele non è mai stata per la sicurezza degli israeliani”, e danno spazio alla protesta dei palestinesi americani per il mancato arresto di Benjamin Nethanyahu in territorio americano.