Sono tante le perplessità che solleva il cosiddetto Piano Mattei, presentato in pompa magna dalla presidente del consiglio Meloni, anche da parte della società civile. Si tratta di progetti predatori, che escludono le popolazioni locali e le organizzazioni africane, puntano ad accaparrarsi pezzi di territori con meccanismi di stampo neo coloniale, mirano a spianare la strada all’azione delle partecipate statali operative nel campo dei combustibili fossili.
Ma non basta: “I 5,5 miliardi di euro, tre dei quali sono derivanti dal fondo italiano per il clima e 2,5 miliardi dagli aiuti allo sviluppo, sono fondi già stanziati, di cui c’era già certezza dell’arrivo – dichiara Monica Di Sisto, della Ong Fairwatch, ai microfoni di Collettiva.it -. E questo lo sappiamo noi come anche i partner africani. Siamo di fronte a una contabilità creativa. Mettere in programma di un milione di ettari da coltivare a biocarburanti è poi una grande contraddizione: si tratta di terre che sono destinate alla sovranità alimentare di popolazioni già in difficoltà per i cambiamenti climatici, il cui utilizzo si vorrebbe riorientare senza consultarle e senza il loro consenso preventivo”.
“Mattei (il fondatore dell’Eni, che negli anni Cinquanta aveva cercato un rapporto di cooperazione con i Paesi africani, ndr) forse sarebbe in imbarazzo nel vedere il suo nome giustapposto a un’iniziativa come questa - conclude Di Sisto -. Sono convinta che ci sia bisogno di politiche pubbliche, ma non devono avere in calce agli accordi lo stesso nome, cognome e firma che si possono trovare nei contratti che le aziende potrebbero stipulare autonomamente”.