Almeno 1.518 persone messe a morte in 15 Stati nel 2024: il livello più alto di esecuzioni dal 2015, quando se ne contarono 1634. Lo rivela il rapporto annuale sulla pena di morte di Amnesty International, intitolato “Condanne a morte ed esecuzioni 2024”.

La maggior parte delle esecuzioni è avvenuta in Medio Oriente, ma per il secondo anno consecutivo il numero degli Stati che hanno eseguito condanne a morte è rimasto il più basso mai registrato, spiegano dall’organizzazione non governativa. Iran, Iraq e Arabia Saudita sono stati responsabili dell’aumento complessivo delle esecuzioni note: 1380 esecuzioni, i 64% di quelle globali. I cinque stati con il più alto numero di esecuzioni registrato nel 2024 sono stati, nell’ordine, Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Yemen.

I dati sarebbero però sottostimati, perché non includono le migliaia di persone che si crede siano state messe a morte in CinaCorea del Nord e in Vietnam, dove si ritiene che la pena di morte venga ancora ampiamente applicata. Inoltre, a causa delle crisi in corso in Palestina e Siria, Amnesty international non ha potuto confermare dati precisi.

“La pena di morte è un crimine aberrante che non ha posto nel mondo di oggi. Sebbene in alcuni stati la segretezza continui a ostacolare il monitoraggio internazionale, rendendo difficile valutare l’effettiva entità delle esecuzioni, è evidente che quelli che mantengono la pena di morte costituiscono una minoranza sempre più isolata. Con soli 15 stati ad aver eseguito condanne a morte nel 2024, il numero più basso mai registrato per il secondo anno consecutivo, si conferma la tendenza all’abbandono di questa punizione crudele, inumana e degradante”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

La pena di morte come strumento di repressione

Amnesty International fa sapere che nello scorso anno ha osservato come leader politici abbiano strumentalizzato la pena di morte con il falso pretesto di migliorare la sicurezza pubblica o per seminare paura tra la popolazione, tentando di reprimere così il dissenso. Negli Stati Uniti sono state messe a morte 25 persone, contro le 24 del 2023. Il presidente Donald Trump ha più volte invocato la pena di morte nei confronti di “stupratori violenti, assassini e mostri”. Le sue dichiarazioni disumanizzanti hanno alimentato la falsa convinzione che la pena capitale abbia un effetto deterrente unico contro la criminalità.

L’organizzazione denuncia anche come in alcuni stati del Medio Oriente la pena di morte è stata usata per mettere a tacere difensori dei diritti umani, dissidenti, manifestanti, oppositori politici e minoranze etniche. “Coloro che hanno osato sfidare le autorità hanno subito la punizione più crudele, in particolare in Iran e in Arabia Saudita, dove la pena di morte è stata impiegata per ridurre al silenzio chi ha avuto il coraggio di esprimersi”, ha detto Callamard, aggiungendo che “nel 2024 l’Iran ha continuato a usare la pena di morte contro coloro che avevano messo in discussione l’autorità della Repubblica islamica durante le manifestazioni del movimento ‘Donna Vita Libertà’. 

Le autorità saudite ad agosto le autorità hanno messo a morte Abdulmajeed al-Nimr per reati legati al terrorismo e alla sua presunta adesione ad al-Qaeda, nonostante i primi atti giudiziari avessero fatto riferimento esclusivamente alla sua partecipazione alle proteste. In Congo il governo ha annunciato l’intenzione di riprendere le esecuzioni, mentre le autorità militari del Burkina Faso hanno dichiarato di voler reintrodurre la pena di morte per i reati comuni.

Aumento delle esecuzioni per reati legati alla droga

Oltre il 40 per cento delle esecuzioni avvenute nel 2024 ha riguardato, illegalmente, reati legati alla droga. Secondo il diritto internazionale dei diritti umani e gli standard internazionali, la pena di morte deve essere limitata ai “reati più gravi” e le condanne a morte per reati legati alla droga non raggiungono questa soglia. I casi più frequenti sono in Cina, Iran, Arabia Saudita e Singapore e, sebbene non sia stato possibile confermarlo, probabilmente anche in Vietnam. 

“I leader politici che promuovono la pena di morte per reati legati alla droga propongono soluzioni inefficaci e illegali. Gli Stati che stanno valutando di introdurre la pena capitale per questi reati, come Maldive, Nigeria e Tonga, devono essere denunciati e incoraggiati a mettere i diritti umani al centro delle loro politiche sulle droghe”, ha aggiunto Callamard.

La forza della mobilitazione

Amnesty international sottolinea come, nonostante l’aumento delle esecuzioni, sono 15 gli Stati che hanno portato a termine condanne a morte, il numero più basso mai registrato per il secondo anno consecutivo. Ad oggi, 113 stati hanno abolito completamente la pena di morte e in totale 145 l’hanno eliminata dalle leggi o dalla prassi. 

Per la prima volta, più di due terzi di tutti gli stati membri delle Nazioni Unite hanno votato a favore della decima risoluzione dell’Assemblea generale per una moratoria sull’uso della pena di morte. Le riforme in materia di pena di morte adottate in Malesia hanno inoltre portato a una riduzione di oltre 1000 persone della popolazione dei bracci della morte.

Il 2024 ha anche mostrato la forza della mobilitazione. A settembre è stato assolto Hakamada Iwao, che aveva trascorso quasi cinque decenni nel braccio della morte in Giappone. La tendenza sta proseguendo nel 2025: a marzo Rocky Myers, un nero condannato a morte in Alabama, nonostante gravi irregolarità verificatesi nel processo, ha ottenuto la commutazione della condanna a morte in ergastolo grazie alle richieste della sua famiglia e del suo team legale, al sostegno di un ex giurato, di attivisti locali e della comunità internazionale.

“Quando le persone si mobilitano per porre fine alla pena di morte, i risultati si vedono davvero. Nonostante una minoranza di leader politici sia determinata a usare la pena di morte come strumento di repressione, la tendenza sta cambiando. È solo una questione di tempo prima che il mondo si liberi definitivamente dell’ombra del patibolo”, ha concluso Callamard.