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Con il voto di domenica 19 novembre la maggioranza degli argentini ha tolto la fiducia al peronismo democratico e progressista che, prima con Ernesto Kirchner e poi con Cristina, ha illuso di riuscire a consolidare un progetto di “patria grande”, ossia un Paese democratico, solidale, riducendo le diseguaglianze e con una forte impronta di politiche sociali per le fasce più fragili ed emarginate.
Il risultato del ballottaggio è netto: vince Javier Milei con 11 punti e circa quattro milioni di voti sul candidato del peronismo democratico, l’attuale ministro dell’Economia Sergio Massa.
Resta il dubbio se questo sia stato un voto a favore della proposta spregiudicata del personaggio Milei, che dichiara di fare i conti con la casta e di liberare il Paese dalla corruzione e dal peso dello Stato, proiettando l’Argentina a un ruolo di protagonismo mondiale, oppure sia stato un voto di disperazione, conseguenza del disastro economico dell’attuale governo, che ha messo in ginocchio il Paese svuotando le tasche degli argentini, nuovamente schiacciati dal peso del debito pubblico, con un’inflazione oltre il 130% e senza più un progetto credibile per il futuro.
Molto probabilmente Milei dovrà pagare il conto all’ex presidente Mauricio Macri e alla destra conservatrice e rappresentante dei grandi gruppi economici e monopolisti argentini, già responsabile del disastro finanziario e sociale del Paese e bocciata dall’elettorato nelle precedenti votazioni, senza i quali non avrebbe vinto queste elezioni. E quindi: più che il nuovo che avanza, forse vedremo volti noti e ricette passate.
Resta la domanda del perché anche l’Argentina, Paese con grandissime potenzialità economiche e naturali, con una cultura sociale e democratica ben radicata, con infrastrutture e servizi estesi a tutto il territorio e a gran parte della popolazione, non riesca a liberarsi dal peso del debito e a costruire un progetto politico alternativo al modello neo-liberale e alle ondate di populismo che, non a caso, hanno sempre sullo sfondo i poteri forti delle oligarchie e delle élites nazionali.
Il peronismo democratico e progressista, se vorrà ritornare a essere un punto di riferimento per il Paese, dovrà affrontare un processo di profondo rinnovamento, generazionale ma anche culturale, ripartendo dalle periferie urbane e dal rapporto con il mondo del lavoro, per costruire un metodo e una proposta di società alternativa, credibile, inclusiva e molto partecipativa.