Giorgia Meloni e Javier Milei si affacciano dalla finestra della Casa Rosada. La presidente del Consiglio italiano dispensando baci alla folla (a dire il vero piuttosto contenuta), il presidente argentino salutando con la mano. Entrambi sorridono oltremodo davanti a Plaza de Majo, luogo simbolo dove iniziarono a manifestare le madri dei desaparecidos vittime del regime argentino di Videla.

Sono le immagini riportate dai media dell’incontro a Buenos Aires tra Milei e Meloni, durante il quale hanno definito le loro nazioni “sorelle”. Immagini che inquietano chi non ama i nazionalismi e la deriva antidemocratica che si prospetta all’orizzonte con un filo rosso che unisce alcuni leader mondiali. A dare dei buoni motivi per tale inquietudine è l’analisi di Enrico Calamai, un uomo che l’Argentina continua a conoscere bene, nonostante non ci viva più da tempo. Negli anni ‘70, da vice console a Buenos Aires, riuscì a salvare almeno 300 persone dalle atroci violenze della dittatura. 

 “Milei è la faccia più brutta e attuale del neoliberismo – dice a Collattiva Calamai –. Non è una novità, è una versione aggiornata di quel fenomeno politico partito con Berlusconi in Italia, ripreso e sviluppato da Trump negli Stati Uniti, e che ha avuto un predecessore in America Latina con Bolsonaro. Un fenomeno di controllo mediatico efficace di una propaganda politica del tutto falsa e spregiudicata, che trova una risposta viscerale nei più bassi istinti della gente”. 

Per il diplomatico italiano “questo non ci deve sorprendere, perché Meloni non è molto diversa e, sia pure a livello europeo, c'è un isomorfismo fra l'uno e l'altro. Hanno molto in comune tra loro e con quello che io definirei neofascismo. Il fascismo dei giorni d'oggi non è certo simile a quello di cent'anni fa, però è comunque una risposta basata sulla forza, sull'esclusione, sull'arroganza davanti a una situazione di crisi politica ed economica profonda”. 

Una crisi che si ripercuote sulle fasce più deboli della popolazione, delle quali è noncurante Milei nel porre in atto la sua politica ultra-liberista. “A Milei l’Argentina, non interessa – spiega Calamai -, fa invece gli interessi di una classe politica di pochi basata sulla finanza, sullo sfruttamento del suolo, sul calpestare i diritti dei lavoratori per sfruttarli il meglio possibile. Il nazionalismo viene invocato pretestuosamente, ma non c'è amore per il Paese, c'è l'interesse di un gruppo ridotto, di una classe. Significa che ha trovato il modo di gestire il potere nel proprio esclusivo interesse”. 

Da Calamai, che ha raccontato in varie pubblicazioni la sua esperienza in Sud America, testimoniato ai processi in Italia contro i militari argentini, e contribuito a fondare il Comitato per la promozione e la protezione dei diritti umani (ruolo riconosciutogli dal Premio Italia Diritti Umani 2010), arriva quindi un’implicita attenzione a tenere alta la guardia nei confronti di quei pericoli che le nostre società non si sono ancora lasciati alle spalle, benché i loro connotati, nella nuova era tecnologica, siano diversi da quelli del passato.