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Sette mesi fa il corpo di un ragazzo di 33 anni veniva ritrovato in un appartamento di San Vicente de Caguán, in Colombia. Quel ragazzo era Mario Paciolla ed era un cooperante delle Nazioni Unite. Si trovava a San Vicente in qualità di collaboratore della missione di verifica dell'Onu, poiché in quel municipio era presente uno dei 24 Spazi territoriali di formazione e reincorporazione (Etcr) previsti dagli accordi di pace firmati dalle Farc-Ep e dal governo colombiano nel 2016.
Mario Paciolla aveva lavorato a rapporti scomodi come quello che aveva svelato le responsabilità di un bombardamento dell'esercito costato la vita a sette ragazzini innocenti nel vicino villaggio di Aguas Claras. Un caso che aveva costretto alle dimissioni il ministro colombiano della Difesa Guillermo Botero. Mario, però, aveva paura e stava per tornare in Italia. Già nei mesi precedenti non aveva fatto mistero delle proprie preoccupazioni a familiari e amici. "Non mi sento più sicuro in Colombia" ripeteva.
In un primo momento si è parlato di suicidio. Mario - sostenevano le autorità - si sarebbe impiccato. Ma né i genitori, né amici e colleghi, hanno mai creduto a questa ipotesi. Così alla fine in Colombia sono state aperte due indagini per omicidio. Un'altra l'ha aperta la Procura di Roma. Ma per i medici legali colombiani resta vera la prima ipotesi: quella del suicidio per impiccagione. A Roma si continua faticosamente a indagare.
Intanto quel che è certo è che la Colombia resta un Paese letale per i difensori dei diritti umani, anzi il più letale. Come ricordava tempo fa Amnesty International solo nel 2019 si sono contati almeno 106 omicidi tra "leader contadini, nativi e di discendenza africana, nel contesto di un conflitto armato interno ancora intenso nel quale Mario Paciolla stava lavorando", mentre dalla firma degli accordi del 2016, avvenuta a l’Avana sotto il governo Santos, sono stati uccisi più di 135 ex guerriglieri e 970 leader sociali e attivisti per i diritti umani.
"Mario merita e pretende verità e giustizia - continua a dire sua madre Anna Motta - per questo mi rivolgo alle tante persone che lo hanno conosciuto e che sanno la verità sulla sua morte, di abbandonare le reticenze e l’omertà, di dare voce alle proprie coscienze e di collaborare, chi non lo farà si renderà complice di questo delitto".