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La Camera preliminare I della Corte penale internazionale ha emesso mandati di arresto per il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, l'ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant e per l'esponente di Hamas Mohammed Deif, dichiarato però ucciso dalle forze militari di Israele. È la prima volta dalla nascita della Corte che viene effettuata una richiesta di arresto ai più alti rappresentanti del governo di un Paese riconosciuto come una democrazia, vale a dire Israele.
Le accuse per le quali i tre giudici della prima Camera preliminare della Cpi si sono espressi all'unanimità sono crimini contro l'umanità e crimini di guerra che sarebbero stati commessi durante l'azione penale per l'attuale guerra a Gaza. Erano state formulate dal procuratore Karim Kham quando lo scorso settembre aveva richiesto "con la massima urgenza" mandati d'arresto per gli israeliani Netanyahu e Gallant e i leader di Hamas, Yahya Sinwar e Mohammed Deif.
Sono stati quindi respinti i ricorsi di Israele in merito alla giurisdizione del tribunale "sulla situazione nello Stato di Palestina in generale e sui cittadini israeliani in particolare" e sulla richiesta di Tel Aviv "di interrompere qualsiasi procedimento davanti alla Corte nella situazione in questione, compreso l'esame delle due richieste d'arresto, presentate dalla Procura il 20 maggio 2024".
La fame come strumento di guerra
Nella richiesta del procuratore Kham, che effettuò una prima visita in Israele e in Cisgiordania, si sottolineava che l'ordine israeliano di imporre un “assedio completo” a Gaza, negando ai Palestinesi cibo, acqua e carburante è ritenuto un crimine di guerra dalle organizzazioni per i diritti umani, spiegando che “il Diritto internazionale umanitario proibisce severamente l'uso della fame come metodo di guerra e la potenza occupante di Gaza, Israele, è vincolata da obblighi del Diu di provvedere ai bisogni e alla protezione della popolazione di Gaza”.
Il pronunciamento della Corte penale internazionale non si traduce però in un effettivo arresto in tempi brevi e nemmeno, presumibilmente, sul lungo termine. Netanyahu e Gallant non possono essere arrestati in suolo israeliano, ma solamente se si recheranno in uno degli oltre 123 Paesi che riconoscono la Corte stessa e tra questi Paesi non ci sono gli Stati Uniti, principale alleato di Tel Avv, e lo stesso Israele, oltre a Cina e Ucraina.
La reazione
Come abbiamo già visto per il precedente ordine d’arresto nei confronti del presidente russo Vladimir Putin, in relazione alla guerra in Ucraina, senza l’arresto degli indagati il processo non si potrà svolgere e si può immaginare che Netanyahu e Gallant difficilmente si recheranno in un Paese nel quale rischiano di essere posti in stato d’arresto.
È opinione diffusa che questa mossa, legittima, della Corte penale internazionale potrebbe rallentare le trattative per il cessate il fuoco, ma è evidente che i fattori in campo, di carattere interno a Israele e di portata internazionale, sono molto ampi. Certe sono le risposte immediate da Tel Aviv: l'ufficio del primo ministro israeliano ha definito il procuratore dell’Aia “corrotto” e i giudici “antisemiti”, mentre per il ministro della Sicurezza nazionale dello Stato ebraico Itamar, Ben Gvir la risposta ai mandati di arresto dovrebbe essere l'annessione della Cisgiordania.
In 24 ore nella Striscia di Gaza si sono contati 71 morti e 176 feriti. È la denuncia che arriva dall'enclave palestinese, che nel 2007 finì in mano a Hamas e che dall'attacco del 7 ottobre del 2023 in Israele è nel mirino delle operazioni militari israeliane contro il gruppo. Da allora, secondo il bilancio del ministero della Salute di Gaza rilanciato dalla tv satellitare al-Jazeera, nella Striscia i morti sono 44.056 e 104.268 i feriti.