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Dopo mesi di tensioni e tentativi di restaurazione caduti nel vuoto, l’11 settembre 1973 le forze armate cilene guidate dal generale Augusto Pinochet metteranno in atto il piano del golpe contro il governo democraticamente eletto del compañero presidente.
“Non vedo alcuna ragione per cui ad un paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli”, dirà Henry Kissinger, segretario di Stato americano.
È l’inizio della dittatura, un regime che negli anni a seguire causerà migliaia morti, desaparecidos, incarcerati ed esiliati per ragioni politiche. Negli anni Duemila un dossier della Commissione Valech voluta dall’allora presidente della Repubblica, Ricardo Lagos, per far luce sulla prigionia politica e la violenza negli anni della dittatura militare, rivelerà come tra i torturati dal regime ci fossero anche bambini minori di dodici anni. È incalcolabile il numero delle persone fatte sparire nel nulla. Migliaia saranno le donne stuprate.
L’ultimo discorso Allende lo terrà dalla Moneda, il palazzo presidenziale. Sebbene perfettamente cosciente che il colpo di stato sarebbe andato a buon fine, Allende continuerà fino alla fine a dare indicazioni ai suoi sostenitori legittimando con la sua coraggiosa azione la futura resistenza cilena.
“Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più - dirà al suo popolo - Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria. Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi. Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento”. Finito il discorso Allende saluta i suoi più fidati amici.
Tra questi anche lo scrittore Sepulveda. “Io non ero al Palacio de la Moneda durante i bombardamenti - racconterà - Ci alternavamo nell’affiancare Allende: io e altri compagni quel giorno fummo distaccati a Santiago, di guardia a un pozzo di acqua potabile, obiettivo sensibile dei fascisti. Il primo istinto fu quello di andare subito alla Moneda. Ma fu impossibile, ovunque c’erano soldati che sparavano, morti. Un mortale senso di impotenza mi assalì. Però quel giorno riuscimmo a raggiungere un ospedale, dove ascoltammo l’ultimo discorso del presidente a Radio Magallanes. Una meravigliosa chiamata alla responsabilità, alla sopravvivenza: ci chiedeva di non farci uccidere, la nostra vita era necessaria per organizzare la Resistenza. I compagni alla Moneda, invece, morirono tutti”.
Il Presidente rimane così solo ad attendere la fine e che si sia suicidato o che sia morto combattendo contro i golpisti, come racconta Gabriel Garcìa Marquez (anche Castro, in un celebre discorso all’Avana una settimana dopo il golpe, ricostruirà l’ipotetico confronto armato finale, con Allende che combatte da eroico guerrigliero fino alla fine), poco importa. Con lui muore un esperimento politico senza precedenti, una pagina senza precedenti nella storia della sinistra mondiale.
“Salvador Allende era il cugino di mio padre - raccontava in un’intervista Isabel Allende - Quindi, in Cile, sono sua nipote. Mio padre lasciò mia madre quando ero così giovane che non ho alcun ricordo di lui, ma Salvador Allende rimase in contatto con mia madre. Ogni tanto facevamo dei pic-nic o andavamo al mare, ci vedevamo per i compleanni o durante le ferie. Salvador Allende aveva un sogno: trasformare il Cile in un paese dove regnano giustizia e uguaglianza. Voleva attuare importanti riforme, una rivoluzione pacifica e democratica”.
Affermava il compañero presidente all’Assemblea generale dell’Onu il 4 dicembre 1972: “Il popolo del Cile ha conquistato il governo dopo una lunga parabola di generosi sacrifici, ed è oggi completamente dedito al compito di instaurare la democrazia economica, affinché l’attività produttiva risponda a bisogni e aspettative sociali e non a interessi di lucro personale. La vecchia struttura basata sullo sfruttamento dei lavoratori e sul dominio dei principali mezzi di produzione da parte di una minoranza, viene progressivamente superata in modo programmato e coerente. (…) Questo è il contenuto della rivoluzione che il mio paese sta vivendo, per superare il sistema capitalista, e aprire la via al socialismo. La necessità di mettere al servizio degli enormi bisogni del popolo la totalità delle nostre risorse economiche, va di pari passo con la riconquista da parte del Cile della sua dignità. (…) La trasformazione della struttura del potere che noi stiamo realizzando, il ruolo crescente di direzione che vi assommano i lavoratori, il recupero delle ricchezze fondamentali della nazione, la liberazione della nostra patria dalla subordinazione alle potenze straniere, sono la conclusione di un processo storico che ha visto lo sforzo per imporre le libertà politiche e sociali, l’eroica lotta di varie generazioni di operai e di contadini per organizzarsi come forza sociale, per conquistare il potere politico e togliere ai capitalisti il potere economico”.
Il popolo unito non sarà mai vinto. Non smetteremo mai di pensarlo, presidente. Non smetteremo mai di pesare che, davvero, il tuo sacrificio non è stato vano, per tutte e tutti noi.