Sono arrivate in Italia nel 2023, scappando dalle persecuzioni e dalle minacce del regime iraniano. Una volta sbarcate, anziché trovare accoglienza e protezione, sono state arrestate perché ritenute delle scafiste. Da dicembre scorso Maysoon Majidi è in prigione a Reggio Calabria, da ottobre Marjan Jamali è detenuta ai domiciliari a Bari dove, dopo mesi di carcerazione, è riuscita a ricongiungersi a suo figlio di otto anni.

L’accusa per entrambe è di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare, sulla base di testimonianze rilasciate subito dopo lo sbarco, e senza possibilità di un controesame.

Una vicenda paradossale quella che coinvolge le due giovani iraniane di 28 e 29 anni, per la liberazione delle quali associazioni e parlamentari lanciano un appello. In base alla denuncia fatta dalla onlus A buon diritto, l’urgenza della scarcerazione si pone in particolare per Maysoon Majidi, iraniana curda, regista e attivista per i diritti delle donne e dei giovani. Si trova infatti in una condizione di gravissima depressione e debilitazione, tale da destare preoccupazione. Pesa 38-40 chili e le è stata rifiutata la visita di una psicologa.

“La loro situazione è il prezzo evidente che stiamo pagando per il decreto Cutro voluto dalla Meloni, approvato con l’intento di dare un giro di vite agli scafisti, coloro che trafficano in esseri umani”, spiega Kurosh Danesh, responsabile ufficio immigrazione Cgil nazionale: “Nel decreto c’è un articolo che aumenta le pene per gli scafisti. Il fatto è che nella maggior parte dei casi si tratta di vittime dei trafficanti, migranti in stato di necessità che hanno una qualche dimestichezza con la navigazione e che ottengono un prezzo più basso per il viaggio che affrontano, a patto di mettersi alla guida dell’imbarcazione”.

Maysoon Majidi in un momento del processo (Facebook Free Maysoon Majidi)

Una categoria contestata e problematica da un punto di vista giuridico, come ben raccontato nel film di Matteo Garrone “Io capitano”. “Nel caso di Maysoon e Marjan c’è anche stata un’applicazione distorta di una legge sbagliata”, prosegue Danesh: “Queste due giovani non hanno nulla a che fare con i trafficanti, se non esserne vittime. Le dichiarazioni rilasciate dai testimoni a bordo subito dopo lo sbarco sono state male interpretate e mal tradotte. E a nulla sono servite le sollecitazioni inviate al tribunale per correggere i fraintendimenti”.

Le testimonianze avevano riferito la partecipazione di Maysoon alla distribuzione di cibo e acqua a bordo, mentre le accuse riguardanti Marjan provenivano dagli stessi uomini che, nel racconto della donna, avevano tentato una violenza nei suoi confronti. Un paradosso nel paradosso.