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Nell’Europa del futuro, e del presente che lo costruisce e anticipa, la “sfida del sindacato e delle forze politiche progressiste” dovrà essere quella di “sviluppare una visione concreta e realizzabile per un nuovo contratto sociale, che riunisca le risorse del lavoro e della sinistra, uniche capaci di garantire un futuro sostenibile, equo e democratico alle prossime generazioni”. È l’opinione di Nicola Countouris, direttore del Dipartimento di ricerca dell'Istituto sindacale europeo (Etui) e professore di Diritto del lavoro e Diritto europeo presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'University College di Londra. Countouris l’ha esposta e approfondita in una importante relazione presentata al convegno Go Left organizzato dalla Filt (il sindacato dei trasporti), con la collaborazione della Cgil e la partecipazione dei sindacati di area progressista di Etf (il sindacato dei trasporti europeo) a fine aprile.
Si tratta, per Countouris, di trovare le risposte a “tre sfide che stanno ormai emergendo come chiare priorità esistenziali”: il cambiamento climatico, le disuguaglianze, “la manifesta incapacità del sistema economico di generare benessere in maniera sostenuta e sostenibile”. In queste sfide si incontrano le sorti di milioni di lavoratori europei, dei sindacati che li rappresentano e delle forze politiche progressiste. Vediamo in che modo.
Professor Countouris, come nasce la sua proposta? È una riflessione originata più dall’emergenza politica (la crisi delle sinistre europee) o dalle urgenze sociali e ambientali dei nostri anni?
In verità tutt’e due. Non vi è dubbio che ecologia, uguaglianza, e sostenibilità siano questioni pressanti e che lo saranno sempre di più negli anni a venire, e che le forze progressiste siano meglio posizionate per cimentarsi con tutte le sfaccettature principali delle tre questioni, che sono intrecciate. Le altre forze politiche e sociali possono, forse, cimentarsi con una delle tre questioni, ma non con il problema nella sua interezza.
Quali sono i temi essenziali del nuovo contratto ecologico-sociale che lei propone? E come si declinano in un’agenda politica?
Riduzione delle disuguaglianze come prerequisito essenziale per avere una trasformazione ecologica necessaria e giusta. Una nuova distribuzione dei rischi e delle opportunità generate dal sistema economico e dall’impegno necessario a trasformare il sistema produttivo e di consumi in base a principi di sostenibilità. Partendo dal riconoscimento che negli ultimi anni i rischi hanno gravato maggiormente sui lavoratori e sul pubblico mentre le opportunità hanno giovato a imprese e élites. Un riconoscimento che la crescita economica, che in verità stenta da più decenni, vada reinterpretata in termini di crescita ecologicamente e socialmente sostenibile. Un nuovo ruolo per lo Stato e il pubblico, a livello nazionale e sovranazionale, con più responsabilità e più poteri.
È così fiducioso che in futuro le malmesse anime storiche della sinistra europea (socialdemocratici, verdi, sinistra radicale) possano coalizzarsi ed elaborare una proposta di governo comune?
Sì, ho un certo ottimismo della ragione a riguardo, e noto che altrove vi è anche un certo ottimismo della volontà: le alleanze e il programma di Melenchon per le elezioni politiche di giugno 2022 - con il sostegno di verdi, socialisti, e comunisti francesi - sono un esempio interessante in questo senso.
Nella sua concezione il ruolo dello Stato è determinante. Lei parla di un contratto trilaterale tra Stato, capitale e lavoro nel quale lo Stato torni ad avere un ruolo. In che modo dovrebbe esercitarlo e quale livello delle istituzioni dovrebbe avere più peso: quello sovranazionale o quello nazionale?
Credo che la vera sfida sia il corretto coordinamento tra azione sovranazionale, per inquadrare problemi che hanno carattere transazionale o comunque non nazionale, e azione a livello nazionale/regionale. Non credo che vi sia una tensione tra le due dimensioni. Ad esempio è chiaro come al momento gli Stati nazionali siano impotenti rispetto alla questione ecologica o a quella dei paradisi fiscali, e che senza ulteriori competenze europee e poteri sovranazionali una soluzione sul territorio sia impossibile.
E il sindacato che ruolo dovrà esercitare? Lei parla di una visione europea del sindacato spesso sbagliata: inteso come lobby o stakeholder.
Mi domando solo se questa visione sia sufficiente alle sfide della trasformazione ecologica, o se sia necessaria una pluralità di ruoli, e l’accettazione, anche politica, che il sindacato sarà presente in più di una forma, sia come interlocutore politico che come movimento.
Come si potrebbe declinare il contratto socio-ecologico nel settore chiave della logistica e dei trasporti, sempre più afflitto da diritti del lavoro negati e da un sistema di consegne on demand dal forte impatto ambientale?
Una filiera più sostenibile richiede che sia l’impatto ambientale che quello sociale dei processi di trasformazione che ne derivano siano distribuiti in maniera equa. Non si tratta di dire solo “meno capitani di lungo corso e più ciclofattorini su bici elettriche”. È essenziale riconoscere fino in fondo il valore e il contributo delle professionalità del settore, al di là della retorica post-lockdown.
Un passaggio chiave della sua riflessione riguarda il “paradosso dello svantaggio sociale legato al cambiamento climatico”. Qual è la natura di questo paradosso, e come dovrebbe essere affrontato e risolto?
Le fasce socioeconomiche più svantaggiate sono, al tempo stesso: le meno responsabili in termini di emissioni di CO2 (consumano di meno e quindi emettono di meno); le più esposte alle conseguenze del cambiamento climatico (case isolate male, incapacità di fare fronte a spese legate a politiche energetiche); le più esposte alle conseguenze della trasformazione ecologica (dalla perdita di posti di lavoro fino alle conseguenze in termini di mobilità urbana ed extraurbana). È francamente una situazione immorale, oltre che politicamente insostenibile. La soluzione è più redistribuzione di risorse economiche e politiche e meno disuguaglianze come “prerequisito” per una trasformazione giusta. Di certo “una Tesla per tutti” non è la soluzione.
Il salario minimo può essere un fattore importante del nuovo contratto sociale?
È essenziale. E credo che in futuro ci si dovrà spingere oltre considerando idee come il reddito minimo e garanzie di lavori socio-ecologicamente utili.