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Iowa. Marzo 2020, il Covid-19 inizia a diffondersi in molti stabilimenti di lavorazione della carne degli Stati Uniti. Non fa eccezione l’impianto di Tyson Foods a Waterloo. Félicie Joseph, un’operaia di origini haitiane, lavora qui. E non si ferma. Non si ferma quando il suo capo inizia a tossire, per giorni e giorni. Non si ferma quando le viene un forte mal di gola e le dolgono i muscoli. Non si ferma nemmeno quando un suo collega le consiglia di saltare il turno per farsi visitare da un medico. Non si ferma perché ha paura che la licenzino. Continua a tranciare carne di maiale e a guadagnare il salario che le serve per mantenere sé stessa e altre dieci persone, la sua famiglia rimasta a Haiti. Si ferma solo quando il Covid la ferma. La malattia esplode e la costringe a casa, in quarantena, terrorizzata dalla prospettiva del licenziamento. Dopo due settimane, ormai incapace di respirare, Félicie Joseph consente a un’amica di chiamare l’ambulanza. Ma muore durante il tragitto verso l’ospedale.
Il dramma di Félicie Joseph e dei suoi compagni di lavoro alla Tyson Foods è stato rivelato da un’inchiesta di ProPublica, condotta da Bernice Yeung e Michael Grabell. I due giornalisti hanno scoperto che, in piena pandemia, gli addetti dell’impianto erano costretti a lavorare senza protezioni, gomito a gomito, la maggior parte senza maschere o con “dispositivi” di fortuna: bandane e vecchie magliette. Tutti i lavoratori avevano paura di darsi malati, temevano ritorsioni disciplinari o il licenziamento. Dopo pochi mesi, dicembre 2020, almeno 1.500 erano stati contagiati e otto di loro, Félicie Joseph inclusa, erano morti.
La storia di Félicie Joseph fa parte di un dossier, Worker stories, che l’Economic policy institute (think tank progressista americano) sta raccogliendo con l’obiettivo di “ristabilire la comprensione – nel diritto, nella politica, nell’economia e nella filosofia – che non esiste un potere contrattuale uguale tra lavoratori e datori di lavoro”. Riconoscere questa “disuguaglianza – spiega l’Epi nel motivare la propria campagna – rafforzerà la libertà, l’equità economica, le protezioni sul posto di lavoro e la democrazia”.
Secondo Jennifer Berkshire, una delle curatrici di Worker stories, “i lavoratori dell'industria della carne come Félicie Joseph hanno messo in gioco la loro vita perché non avevano il potere di contrattazione di cui godevano” gli addetti del settore nei decenni passati. Negli anni Sessanta a Waterloo c’erano un “sindacato potente” e salari alti. Dopo decadi di deregolamentazione, attacco alle unions e alla contrattazione collettiva, è tutto finito. Automazione, condizioni di sicurezza sempre più precarie, posti di lavoro a bassa qualifica, reclutamento di manodopera immigrata e facilmente ricattabile: tutto ciò ha creato le condizioni perché, con il Covid-19, esplodesse la tempesta perfetta che si è portata via Felicie.
Un’altra storia. Virginia. Patti Hanks, 62 anni, cancer survivor, sopravvissuta a un cancro alle ovaie, dipendente di un negozio di mobili. La richiamano al lavoro in piena pandemia. È terrorizzata. Le terapie hanno indebolito il suo sistema immunitario, la rendono più vulnerabile di altri al Covid-19. È un altro caso raccolto dall’Epi. La storia di una donna che, alla fine, non ha avuto scelta. È tornata al lavoro. Perché, se non l’avesse fatto, avrebbe perso la sua assicurazione sanitaria, legata all’impiego occupazionale, una prospettiva ancora più grave che ammalarsi di Covid. Per potersi pagare le cure, è stata costretta a tornare nel posto dove, in questo momento, corre il rischio maggiore di ammalarsi. Paradossale. E ingiusto.
L’Epi ricorda che, negli Stati Uniti, più del 60% degli occupati riceve l’assicurazione sanitaria attraverso il lavoro. La riforma sanitaria di Obama ha, in parte, cambiato la situazione, ampliando la copertura della popolazione. Ma “nei dodici Stati che hanno rifiutato di applicare Medicaid, i lavoratori che hanno perso la copertura sanitaria si sono trovati in grandi difficoltà”, rileva sempre l’Epi.
La scelta di Patti Hanks, tornare al lavoro anche se in condizioni di fragilità, non è stata una vera scelta, è stata un obbligo. Ma se si fosse rifiutata non avrebbe perso solo l’assicurazione. “In Virginia – spiega Jennifer Berkshire –, le imprese possono segnalare i lavoratori che non rientrano, compromettendo il loro diritto all’indennità di disoccupazione. La paura di ammalarsi – anche per i lavoratori la cui salute li pone ad alto rischio di ammalarsi gravemente – non è considerata una scusa valida per rifiutare di tornare al lavoro”.
Le Worker stories raccontano solitudine e debolezza sistemiche, strutturali, il risultato di oltre quarant’anni di politiche contro il lavoro. Ma raccontano anche un’America che non crede ciecamente al culto dell’individuo, perché sa bene che una persona normale, una lavoratrice, da sola non ce la fa. È un’America che resiste e che, forse, sta tornando.