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Nella “Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese” promossa dall’Onu le notizie che arrivano da Gaza come dalla Cisgiordania confermano la necessità che l’impegno di questa ricorrenza si eserciti senza sosta e si espanda con azioni concrete.
Aumentano infatti le incertezze sul prolungamento della tregua dei bombardamenti e degli attacchi israeliani in atto nella Striscia di Gaza e per il quale continuano a essere in corso trattative tra Hamas e Tel Aviv.
Intanto, nonostante questi cinque giorni di sospensione abbiano consentito l'ingresso di nuovi camion di aiuti umanitari per i palestinesi, il Programma alimentare mondiale fa sapere che la situazione nella Striscia resta "catastrofica", che "esiste il rischio di carestia" e che ha riscontrato un "massiccio aumento" di alcune malattie contagiose, con una crescita esponenziale di casi di diarrea tra i bambini piccoli.
C’è poi il fronte della Cisgiordania, poco praticato dai media, dove, secondo quanto diffuso dal quotidiano britannico Guardian riportando una notizia di Al Jazeera, almeno 242 palestinesi sono stati uccisi e più di 3.000 feriti dal 7 ottobre.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Riham Jafari, coordinatrice Advocacy e Comunicazione di ActionAid Palestina, che si trova nella West Bank. L’operatrice umanitaria ci ha confermato che “gli attacchi dei coloni in Cisgiordania alla comunità palestinese erano già aumentati prima dell’azione di Hamas e continuano in questi giorni” in cui è attiva invece la tregua a Gaza.
Jafari ci descrive una situazione di estrema gravità, nella quale i palestinesi continuano a essere cacciati dalle loro terre a causa dei nuovi insediamenti israeliani, con evidenti violazioni del diritto internazionale, sotto la minaccia delle armi da parte di soldati e coloni israeliani. “La vita quotidiana è diventata impossibile per i palestinesi in Cisgiordania”, afferma, aggiungendo che vivono sotto una costante sorveglianza e senza libertà di movimento.
Anche il lavoro degli operatori umanitari è sempre più difficile: “Con i check point chiusi non è nemmeno possibile recarsi negli uffici di ActionAid a Hebron per fare il nostro lavoro”. Inoltre per la popolazione gli spazi di socializzazione sono oramai azzerati, perché le persone hanno paura di rischiare la vita anche solamente uscendo di casa.
Riham Jafari chiude la nostra conversazione con un appello accorato: “Chiediamo al governo italiano di fare pressioni sulla comunità internazionale e sul governo israeliano per il rispetto delle regole internazionali e lo stop alle violazioni soprattutto su bambini, donne e giovani”.