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Circa l’85 per cento della popolazione mondiale vive con meno di 30 dollari al giorno, due terzi con meno di 10 dollari, una persona su dieci con meno 1,9 dollari. Sono questi i dati della povertà nel mondo, che dopo una lenta decrescita fino al 2019, negli ultimi tre anni ha iniziato a registrare un aumento. “Entro l’anno ben 827 milioni persone rischiano di soffrire la fame, 860 milioni di dover sopravvivere con meno di 1,9 dollari al giorno e si attendono 65 milioni di nuovi poveri solo per l’aumento dei prezzi alimentari – spiega Francesco Petrelli, policy advisor sulla sicurezza alimentare di Oxfam Italia, che ha da poco pubblicato il rapporto Dalla crisi alla catastrofe -. Effetto della pandemia, e adesso della guerra, che spingeranno in povertà estrema 263 milioni di persone in più”.
In che modo hanno contribuito queste due crisi mondiali?
Partiamo da un presupposto: eravamo dentro una serie di tendenze già preesistenti, che sono state ampliate dalla pandemia e infiammate dalla guerra. Dopo due anni di Covid-19 tutti i Paesi si trovano a fare i conti con una crisi economica senza precedenti, che in molte nazioni si sta affrontando con nuove misure di austerità. A questo si aggiunga l’aumento dell’inflazione, i cui riflessi sono trasversali e incidono dappertutto, ma in proporzioni diverse: il rincaro dei generi alimentari pesa per il 17 per cento sulla spesa delle famiglie nelle economie avanzate, ma arriva al 40 per cento nei paesi dell'Africa sub-sahariana. A pagare il prezzo di questa drammatica situazione è quindi la parte più povera della popolazione mondiale. Sul fronte lavoro, nel frattempo, i salari reali in tutto il mondo continuano a ristagnare o addirittura a scendere, mentre le più colpite restano le donne: nel 2021 le occupate erano 13 milioni in meno rispetto al 2019, mentre l'occupazione maschile aveva recuperato i livelli del 2019.
Qual è l’impatto della guerra in Ucraina?
Una caloria su otto del sistema alimentare mondiale è prodotta in Ucraina, Bielorussia, Russia: il 60 per cento dell’olio di semi di girasole, il 30 per cento del grano, il 20 per cento del mais, il 15 per cento dei fertilizzanti che sono strategici. Il prezzo di queste commodity, fissati principalmente alla Borsa di Chicago, specializzata in beni primari come il cibo, sono schizzati in alto e adesso si trovano al di sopra dei livelli del 2008. Questi aumenti speculativi si sono combinati ai rincari di petrolio e gas, e a fattori geopolitici, come il blocco delle navi che trasportano grano ucraino nel Mar Nero, una delle principali rotte commerciali globali, la sospensione di molti accordi e le sanzioni. Ed ecco qua la crisi alimentare.
Ciò significa che le conseguenze di questa guerra si sentiranno in tutto il mondo?
Siamo di fronte a una sorta di tempesta perfetta sul fronte della produzione, approvvigionamento e distribuzione dei beni alimentari. Dice bene il capo economista del World Food Programme: gli impatti di questo conflitto saranno forti ma non è che il mondo non produrrà più cibo. Il mondo produce cibo a sufficienza per sfamare tutta la popolazione. Il punto sono i prezzi, che sono schizzati in alto. Lo stesso Wfp propone la soluzione: nell’immediato dare soldi in mano ai poveri e poverissimi per comprare il cibo. Mentre sempre più persone si troveranno nei prossimi mesi a dover scegliere tra mangiare, riscaldarsi o far fronte alle spese mediche, la prima emergenza resta l’aumento della fame globale, con milioni di individui che si troveranno colpiti da malnutrizione acuta. In questo momento ampie fasce della popolazione in Africa orientale, nel Sahel, in Yemen e Siria si trovano già sull’orlo della carestia.
Che cosa chiede Oxfam?
Ai governi un'azione urgente per combattere le crescenti disuguaglianze, che minacciano di minare i progressi compiuti nella lotta alla povertà nell'ultimo quarto di secolo. In particolare, cancellare tutti i pagamenti per il servizio del debito per i Paesi in via di sviluppo nell’anno in corso. Un passo che renderebbe disponibili più di 30 miliardi di dollari solo nel 2022 per 33 Paesi in difficoltà e già fortemente indebitati. Inoltre, aiutare milioni di persone ad affrontare l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e supportare la creazione di un fondo globale sulla protezione sociale, che sostenga misure di supporto al reddito e l’erogazione dei servizi essenziali nei Paesi più poveri. Infine, tassare gli extra-profitti delle imprese che hanno beneficiato della crisi pandemica.
Per quanto riguarda gli stanziamenti dell’aiuto pubblico allo sviluppo, secondo i nuovi dati Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nel 2021 sono cresciuti. Questa è una buona notizia.
L’Italia è passata dallo 0,22 per cento del 2020 allo 0,28 del 2021 in rapporto al reddito nazionale, cioè da 4,2 a 6 miliardi di dollari. Ma si è trattato di un aumento di facciata, virtuale più che reale e soprattutto non ripetibile. Questo incremento infatti è dovuto alle operazioni contabili della cancellazione del debito per i Paesi in via di sviluppo e alle donazioni di vaccini: su 48 milioni di dosi messe a disposizione, 15 milioni non sono state inviate, perché rifiutate o non richieste. Ha pesato inoltre il costo dei rifugiati all'interno del Paese, che sono aumentati. In definitiva, senza lo stanziamento di risorse aggiuntive, la crisi ucraina potrebbe portare nel 2022 i Paesi europei a essere i primi beneficiari dei propri aiuti.