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Il 30 novembre scorso la Corte Suprema russa ha emesso una sentenza con la quale vieta le attività del “Movimento Internazionale LGBT” nel Paese, bollandolo come movimento estremista.
Si tratta, con tutta evidenza, di un’entità inesistente, come dimostra il fatto che non fosse presente all’udienza alcun imputato: ciò non rende meno grave e meno significativo l’atto formale che si riconnette a una politica perseguita da anni dal regime putiniano di repressione delle attività della comunità LGBT e di persecuzione delle persone in ragione del loro orientamento sessuale e della loro identità di genere, che si è sostanziata negli ultimi anni nel divieto della cosiddetta “propaganda gay contro i valori tradizionali della famiglia”.
C’è da stare certi del fatto che l’estrema genericità del richiamo al “movimento internazionale” sia voluta e funzionale allo scopo di consentire una repressione ancor più dura di qualunque fattispecie si ritenga arbitrariamente di far rientrare nella formula.
C’è da aspettarsi dunque un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle persone LGBTQIA+ nel Paese.
A fronte dell’ennesimo gravissimo atto, il segretario generale della Cgil ha presentato, in apertura dell’esecutivo Ces del 6 dicembre, una proposta di risoluzione di ferma condanna della sentenza russa che è stata approvata dal Comitato: si evidenzia che “la sentenza rappresenta un’ulteriore passo verso la criminalizzazione delle persone LGBTQIA+ nella società e nei posti di lavoro, ancor più grave dopo la sospensione della Russia dal Consiglio d’Europa” (leggi la risoluzione integrale).
Si sottolinea poi la possibilità di essere detenuti fino a quattro anni in caso di recidiva per l’esposizione di simboli della Comunità LGBT, di essere inseriti in una lista di “estremisti” e di vedersi congelare i conti bancari oltre all’impossibilità di candidarsi a una carica pubblica: vere e proprie violazioni dei diritti umani più elementari. La spinta repressiva si estende peraltro all’attacco contro l’autodeterminazione delle donne, ai diritti civili in generale e a quelli sindacali e politici.
Per questi motivi appare di estrema rilevanza la risoluzione Ces che, nel ricordare l’obbligo di protezione delle persone LGBTQIA+ da violenze e discriminazioni e la salvaguardia del diritto d’espressione, impegna ancora una volta il sindacato europeo nella battaglia antidiscriminatoria e affinché i luoghi di lavoro siano sicuri e accoglienti per i componenti della Comunità, oltre a richiamare alla necessità di una stretta collaborazione delle organizzazioni affiliate sul tema.
Sandro Gallittu è responsabile dell'Ufficio Nuovi diritti della Cgil nazionale
LA RISOLUZIONE INTEGRALE