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Dopo mesi di tensioni e tentativi di restaurazione caduti nel vuoto, l’11 settembre 1973 le forze armate cilene da lui guidate realizzavano il rovesciamento del governo democraticamente eletto presieduto da Salvador Allende.
Sebbene perfettamente cosciente che il colpo di stato sarebbe andato a buon fine, il presidente continuerà fino alla fine a dare indicazioni ai suoi sostenitori legittimando con la sua coraggiosa azione la futura resistenza cilena.
“Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più - dirà al suo popolo - Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria. Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi. Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento”.
Finito il discorso Allende saluta i suoi più fidati amici. Tra questi anche lo scrittore Sepulveda.
Io non ero al Palacio de la Moneda durante i bombardamenti. Ci alternavamo nell’affiancare Allende: io e altri compagni quel giorno fummo distaccati a Santiago, di guardia a un pozzo di acqua potabile, obiettivo sensibile dei fascisti. Il primo istinto fu quello di andare subito alla Moneda. Ma fu impossibile, ovunque c’erano soldati che sparavano, morti. Un mortale senso di impotenza mi assalì. Però quel giorno riuscimmo a raggiungere un ospedale, dove ascoltammo l’ultimo discorso del presidente a Radio Magallanes. Una meravigliosa chiamata alla responsabilità, alla sopravvivenza: ci chiedeva di non farci uccidere, la nostra vita era necessaria per organizzare la Resistenza. I compagni alla Moneda, invece, morirono tutti.
Il presidente rimane così solo ad attendere la fine e che si sia suicidato o che sia morto combattendo contro i golpisti, come racconta Gabriel Garcìa Marquez (anche Castro, in un celebre discorso all’Avana una settimana dopo il golpe, ricostruirà l’ipotetico confronto armato finale, con Allende che combatte da eroico guerrigliero fino alla fine), poco importa. Allende sarà per sempre il compañero presidente, il simbolo di un popolo che resiste e che unito, nonostante tutto, non potrà mai essere sconfitto.
Un popolo che negli anni a seguire piangerà migliaia morti, desaparecidos, incarcerati ed esiliati per ragioni politiche. Negli anni Duemila un dossier della Commissione Valech voluta dall’allora presidente della Repubblica, Ricardo Lagos, per far luce sulla prigionia politica e la violenza negli anni della dittatura militare, rivelerà come tra i torturati dal regime ci fossero anche bambini minori di dodici anni. È incalcolabile il numero delle persone fatte sparire nel nulla. Migliaia saranno le donne stuprate.
Nel 1998, il giudice spagnolo Baltasar Garzón emetterà contro Pinochet un mandato di cattura internazionale per la scomparsa di cittadini spagnoli durante la dittatura. Il dittatore sarà accusato di genocidio, terrorismo e tortura. Arrestato a Londra il 2 marzo del 2000 tornerà in Cile dove riuscirà ad evitare qualsiasi processo. Morirà d’infarto nel 2006 a 91 anni.
“Non avrà i funerali di Stato, non sarà proclamato il lutto nazionale”, preciserà subito una fonte ufficiale del governo. Secondo un sondaggio del quotidiano di Santiago La Tercera, il 72% dei cileni sarebbe stato contrario al lutto nazionale per la morte dell’ex dittatore. Il quotidiano aggiungeva che il 55% degli intervistati non sarebbe stato d’accordo che al generale venissero concessi onori da ex presidente della Repubblica.
Allende moriva l’11 settembre 1973 con una solo certezza: “che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento”. Aveva ragione.