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La guerra non è fatta solo di bombardamenti ed esplosioni, morti e feriti, distruzione e violenza. È fatta anche di sfollati, intere famiglie, uomini, donne, bambini e anziani che scappano, lasciano le loro case e le loro città per mettersi in salvo. Sta succedendo anche con il conflitto in Ucraina, un’emergenza nell’emergenza. Secondo l'ultimo aggiornamento, ma i numeri sono in continua evoluzione, sono quasi 850 mila le persone che sono fuggite nei Paesi limitrofi dal 24 febbraio, giorno in cui è iniziata l’invasione russa, Polonia soprattutto ma anche Romania, Ungheria, Moldova e Slovacchia.
Da noi sono già arrivati un migliaio di profughi, l’associazione Italia-Ucraina stima che potrebbero cercare asilo 800-900 mila persone, le previsioni di Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, e della Nato, parlano di 5-6 milioni di cittadini che avranno bisogno di aiuto e accoglienza. Ad aggravare la situazione è la velocità con cui questo flusso varcherà i confini e si riverserà nei territori europei.
"Lavoro sul campo da quasi 40 anni e raramente ho visto un esodo di persone così incredibilmente veloce - ha dichiarato Filippo Grandi, Alto commissario dell'Onu per i rifugiati -. Stiamo assistendo a quella che potrebbe diventare la più grande crisi di rifugiati in Europa del secolo".
Per fare fronte all’immediata necessità, domani Bruxelles potrebbe attivare una direttiva di accoglienza temporanea che prevede, in caso di afflusso massiccio di sfollati, il riconoscimento di protezione internazionale per un anno in automatico, rinnovabile, a tutti coloro che provengono da zone di guerra: in questo modo per loro non sarebbe necessario chiedere l’asilo, ma potrebbero muoversi e lavorare all’interno dell’Europa. Se questa decisione dovesse essere presa e venisse estesa a tutti i profughi, senza distinzioni, rappresenterebbe una vera rivoluzione delle politiche migratorie europee.
“Insieme alla guerra c’è un’escalation dell’emergenza – afferma Giuseppe Massafra, segretario confederale della Cgil -. Di fronte alle stime che sono state fatte, previsioni che rischiano di essere inferiori rispetto a quello che effettivamente accadrà, va attivato un processo umanitario il più rapidamente possibile e una rete di accoglienza degna di questo nome. Bisogna aprire corridoi umanitari che consentano alle persone di fuggire e diano garanzie di sicurezza dell’esodo. L’impegno dell’Europa deve essere massimo: non possiamo aprire i confini per fare arrivare le armi a Kiev ma non consentire ai cittadini di scappare dal disastro e dalla guerra. Va assicurata la possibilità che ci siano i ricongiungimenti familiari e quindi occorre creare anche in Italia le condizioni affinché questo avvenga”.
Il nostro Paese accoglie già molti cittadini ucraini. Secondo l’ultimo censimento Istat, ci sono circa 236 mila persone, per il 75 per cento donne, la maggior parte delle quali in Lombardia, Campania ed Emilia-Romagna. È prevedibile che molti arriveranno trovando ospitalità a casa di familiari e amici, una soluzione da preferire ai centri di accoglienza, che lascerà comunque allo Stato attraverso i Comuni, gli enti e le associazioni, l’incombenza di provvedere ai pasti, all’assistenza sanitaria, all’istruzione dei bambini. Il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri (lo stesso con cui l’Italia decide l’invio di armi e mezzi all’Ucraina) stabilisce il rafforzamento della rete di accoglienza degli stranieri: un incremento di 5 mila posti dei centri straordinari, che potranno essere attivati dai prefetti, altri 3 mila nel sistema di accoglienza e integrazione, un numero decisamente insufficiente rispetto a quelle che saranno le reali necessità.
“Come Tavolo Asilo e immigrazione, di cui facciamo parte insieme a una rete di associazioni, chiediamo di essere convocati per ragionare su una serie di modifiche da apportare in fase di conversione del decreto – prosegue Massafra -. Non possiamo continuare ad attuare sistemi di protezione che rispondono sempre e solo a crisi contingenti: rischiamo di determinare di volta in volta trattamenti diversi e di compromettere gli interventi messi in campo in precedenza per fare spazio alle nuove necessità. Sappiamo che questa emergenza non interrompe le altre, né possiamo pensare di creare profughi di serie A e di serie B. Il sistema di accoglienza diffusa che noi riteniamo più dignitoso, quello dei Sai, è stato depotenziato a favore dei Cas, la rete dei centri temporanei, che non garantiscono la giusta dignità. Dobbiamo assicurare una risposta immediata, che sia quantitativamente adeguata e decorosa. Tutto questo processo va monitorato”.
Alle porte dell’Europa, dopo e insieme ai profughi afghani, bussano gli sfollati ucraini: su questi temi e in queste situazioni si misura la capacità di coesione dell’Unione.