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Ieri si è tenuta la seconda tavola rotonda ministeriale annuale di alto livello sulla giusta transizione. Gli interventi hanno messo in evidenza le forti differenze che caratterizzano questa discussione.
Per semplicità si potrebbero distinguere le posizioni fra Paesi del Nord e del Sud del mondo. I primi interpretano la giusta transizione come un concetto prevalentemente legato alla dimensione sociale (diritti del lavoro, protezione sociale, dialogo sociale, ecc.); i secondi rivendicano una maggiore cooperazione internazionale e supporto (finanza, trasferimento di tecnologia, ecc.), per una transizione inclusiva e ugualitaria.
Sul tavolo
Le cose non sono però così semplici e si legano alle altre discussioni sul tavolo: finanza per il clima, mitigazione e adattamento, diritti umani, equità di genere. La Colombia, ad esempio ha evidenziato la difficoltà dei Paesi la cui economia è completamente dipendente dalla produzione ed esportazione di petrolio, che nei prossimi 10 anni dovrebbero reinventare completamente la propria economia, rinunciando agli introiti del petrolio, ma che non sono in grado di farlo senza il sostegno finanziario e tecnologico per il cambiamento e temono che le opportunità della transizione possano rafforzare le vecchie disuguaglianze fra Nord e Sud globale.
L’Unione europea ha parlato della necessità di rendere operativa la giusta transizione per garantire il passaggio a società a zero emissioni il prima possibile, sottolineando il ruolo del dialogo sociale e della partecipazione per agire più veloci, senza lasciare nessuno indietro. Per l’Ue il programma di lavoro per la giusta transizione dev’essere prima di tutto creazione di lavoro, diversificazione economica, servizi essenziali come energia e trasporti, formazione e riqualificazione professionale.
Minaccia climatica
Gli Stati delle piccole isole, minacciati nella loro stessa esistenza dall’aumento del livello dei mari, hanno invece richiamato l’articolo 2 dell’Accordo di Parigi, che prevede l’obiettivo di rafforzare la risposta mondiale alla minaccia dei cambiamenti climatici, rispettando l’obiettivo di 1.5°, aumentando la capacità di adattamento e rendendo i flussi finanziari coerenti con uno sviluppo a basse emissioni e resiliente al clima. La rappresentante delle isole Fiji ha rafforzato l’idea che giusta transizione sia prima di tutto sopravvivenza, affermando che il supporto internazionale diventa essenziale per coprire i costi necessari per difendersi dai disastri e sviluppare le energie rinnovabili. “La nostra sopravvivenza non è negoziabile”, ha concluso.
Cuba ha poi richiamato la necessità di potenziare la cooperazione internazionale, tenendo conto delle responsabilità storiche dei Paesi sviluppati per la crisi in corso. Il Paese caraibico ha inoltre dichiarato la volontà politica, con la partecipazione di tutta la società cubana, di agire per la transizione, ma non ha mancato di mettere in evidenza le difficoltà causate dall’embargo più lungo della storia.
La delegazione russa ha invece parlato di giusta transizione non solo legata all’azione di mitigazione ma per il raggiungimento di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile, ma ha anche affermato che la transizione energetica potrebbe aumentare i prezzi dell’energia, e la necessità di utilizzare tutte le tecnologie disponibili: nucleare, Ccs, gas come combustibile di transizione. La Russia ha detto, infine, che misure unilaterali di mercato, come i dazi, sono inaccettabili.
Il Burkina Faso ha richiamato all’importanza di allineare il programma di lavoro sulla giusta transizione con gli impegni di riduzione delle emissioni e della finanza per clima, e la necessità del trasferimento di tecnologia, eradicazione della povertà, sviluppo dell’agricoltura, accesso all’energia per tutti, creazione di nuovi posti di lavoro e formalizzazione dei lavori informali.
Senza il lavoro
Questi sono solo alcuni degli interventi che rappresentano una minima parte delle sfumature e delle differenze nella definizione stessa del concetto di giusta transizione e delle priorità per realizzarla. Ci sono poi le divisioni e le contrapposizioni, come quella contro azioni e implementazioni imposte dall’alto, con tempi definiti senza condivisione e forzature verso i Paesi più poveri. Anche altri temi s’intrecciano e definiscono la giusta transizione, come i diritti umani, la pace, la necessità di preservare il pianeta per le generazioni future, quella di superare il sistema neoliberale, di tutelare e ripristinare la natura e gli ecosistemi, e altri ancora.
Ieri, però, non è stato consentito nessun intervento ai rappresentanti dei lavoratori, delle comunità, delle popolazioni indigene, delle donne, dei giovani, delle associazioni ambientaliste. Ed è grave. Ciò che è stato giustificato con un formale “non c’è stato tempo”, è invece una questione prioritaria della giusta transizione: la partecipazione democratica e il confronto con le organizzazioni sindacali. Nessuna transizione può essere giusta senza il pieno coinvolgimento di lavoratori e comunità a livello globale e locale.