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La crisi profonda del sistema delle istituzioni multilaterali, insieme con l'impatto della pandemia, è il contesto geopolitico nel quale si svolgerà il vertice dei leader del G20. Il G20 straordinario sull'Afghanistan non ha saputo determinare scelte coese per affrontare l’emergenza, a riprova di questa situazione aggravata dai conflitti tra le grandi potenze e tra paesi. È di questi giorni la minaccia della Turchia di espellere dieci ambasciatori, rei di difendere i diritti umani, mentre i profughi in Libia manifestano presso le sedi delle agenzie Onu, in Europa si radicalizza il conflitto sullo stato di diritto e non si intravedono politiche sulle migrazioni almeno per sancire il principio assoluto della salvezza delle vite umane.
Questi sono solo alcuni riferimenti (e non un quadro compiuto) utili per indicare quale attesa potrebbe esserci sul G20 e sottolineare la necessità che l’incontro dei leader, tra i tanti (forse troppi) temi di un agenda molto vasta, provi a delineare almeno uno spazio di cooperazione multilaterale. Infatti, questa situazione di “guerra fredda” multilaterale non può essere paralizzante ed è un'occasione unica per restituire un ruolo di leadership al G20 stesso. Neanche ai grandi della terra è infatti concesso di subire o determinare una rete di veti incrociati che bloccano le risposte e le scelte delle agenzie multilaterali e dei governi atte a rispondere alla crisi non solo sanitaria ed economica, ma soprattutto sociale e di modello di sviluppo determinata dalla pandemia.
Le tre P (prosperità, persone e pianeta), scelte come chiavi interpretative del G20 dal governo italiano, indicano la potenzialità del confronto tra i grandi paesi per affrontare in modo inclusivo il futuro, con al centro le persone, e con esse il lavoro, il pianeta da curare perché il tempo è scaduto, e l’inclusione e la prosperità che non è tale se non si fonda su eguaglianza e diritti universali
Molte contraddizioni emergono già dalla prima intesa sulla tassazione minima delle multinazionali, che introduce il concetto giusto della tassazione dei profitti fin qui elusi, ma è così minima che, ad esempio, in Italia potrebbe giustificare addirittura una riduzione della tassazione vigente. Inoltre non vi è traccia di una complessiva riforma della tassazione a partire dalla progressività, la sola strada capace di creare quello spazio fiscale e di bilancio, in ogni paese, destinato a politiche pubbliche espansive per la piena buona occupazione e per una protezione sociale universale. Eppure la pandemia ha dimostrato gli effetti disastrosi di una politica disattenta alla giustizia fiscale e sociale, così come i giganteschi limiti e le profonde iniquità della divisione internazionale del lavoro e i suoi effetti sulle catene lunghe di produzione.
Ci sarebbero, quindi, tutte le ragioni per un profondo ripensamento delle politiche di privatizzazione e di austerità e per rafforzare il ruolo dello stato nel governo dell'economia e della società. Di ciò discuteremo già nel primo degli incontri di L20. La pandemia da Covid non è una crisi più o meno grave come le altre: essa mostra, infatti, che diseguaglianze, disoccupazione, povertà e precarietà sono sia le ragioni che le conseguenze della crisi, determinate dell’assenza di politiche espansive, di servizio pubblico, di buona occupazione e dall’inadeguatezza sia di modelli sociali patriarcali che delle ricette economiche neoliberali.
Senza risposte, in primis alle donne che hanno pagato il prezzo più alto della pandemia e che hanno dovuto ancora una volta svelare al mondo che senza cura non c’è futuro; senza la riduzione delle diseguaglianze e la crescita del lavoro formale e dignitoso continueranno anche ad alimentarsi movimenti e forze estremiste, come quelle neofasciste che hanno guidato l’assalto alla Cgil. Politiche espansive, transizione ecologica e digitale giusta, urgenza di cura del pianeta e transizione climatica, buona e piena occupazione non sono solo scelte economiche: sono la linfa necessaria alla difesa della democrazia e delle istituzioni democratiche. Grande attenzione desta, ovviamente, il tema salute, che affronteremo nella seconda giornata dei lavori, con al centro due aspetti.
Il primo riguarda la sospensione dei Trips su vaccini e farmaci: alle timide aperture Usa è seguita l’opposizione dell’Europa, nonostante siano evidenti le carenze e il sostanziale fallimento del programma Covax. Ma non si potrà superare la pandemia se il vaccino, senza espandere la capacità di produrlo e distribuirlo a costi più bassi, resterà privilegio dei più ricchi e inarrivabile per i più poveri.
In secondo luogo, se la salute non è solo contrasto al virus, essa significa anche sicurezza sul lavoro, che deve divenire un diritto fondamentale universalmente riconosciuto. Abbiamo apprezzato l’impegno in tal senso dei ministri G20 del lavoro, ma ci attendiamo che queste proposte siano effettivamente fatte proprie dai capi di Stato.
Il lavoro, il superamento della precarietà e del lavoro informale: di questo discuteremo nell'L20 e chiederemo un impegno formale del G20 a definire una sorta di carta dei diritti garantiti per tutte le forme di lavoro. È questa la strada individuata da tempo della Cgil che ci ha permesso di definire la Carta universale dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, su cui già ci siamo confrontati con sindacati e giuristi di altri paesi del G20.
L20 – il luogo di incontro delle organizzazioni sindacali internazionali e dei sindacati dei paesi del G20 – è dunque il palcoscenico necessario per ribadire in vista del G20 di ottobre le scelte fondamentali: quelle che mettono al centro il lavoro e la buona e piena occupazione, la salute, l'educazione e la stabilità del lavoro per affrontare la transizione climatica e digitale con piena sostenibilità sociale, implementando i servizi pubblici e rafforzando la democrazia.