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Il conto alla rovescia è iniziato: 24 ore per lasciarsi definitivamente alle spalle l’era Trump e riaprire le porte della Casa Bianca al Partito democratico. Un giorno solo a fare da spartiacque tra il prima e il dopo. La tensione palpabile nelle strade militarizzate di Washington, il timore che l’assalto a Capitol Hill dello scorso 6 gennaio sia stato solo l’avvisaglia di un pericolo maggiore. Insieme la speranza di superare indenni non solo il tempo che separa Joe Biden dallo Studio ovale ma anche di trovare nella sua amministrazione quella svolta che metà dell’America e l’altra metà del mondo aspettano da quattro anni.
Oggi, 19 gennaio 2020, negli Stati Uniti è il giorno – 1. Poi verranno i 100 più attesi in cui il neo-presidente Joe Biden ha promesso la sua rivoluzione: un piano di stimolo per l’economia pari a 1,9 trilioni di dollari e una cospicua lista di ordini esecutivi per disfare ciò che Trump ha fatto – o meglio – per rifare ciò che Trump ha disfatto, a partire da una proposta di riforma dell’immigrazione che vuole rendere il diritto di cittadinanza a 11 milioni di persone, consentire i ricongiungimenti familiari al confine tra Messico e Stati Uniti - su cui The Donald aveva costruito il suo muro di propaganda - e mettere fine al divieto di ingresso a chi proviene da nazioni prevalentemente musulmane. Poi c’è la lotta alla pandemia: 100 milioni di vaccini in 100 giorni è l’obiettivo di Biden, deciso anche a imporre l’uso della mascherina che, nella logica anti-scientifica dei sovranisti trumpiani, è paradossalmente diventata un simbolo di appartenenza politica e non quello che è, ossia uno strumento per proteggere se stessi e gli altri dal virus.
E se Trump bullizzava l’attivista svedese Greta Thunberg per il suo impegno in difesa del pianeta e stracciava gli accordi internazionali, Biden ha già dichiarato che farà tornare gli Stati Uniti nel perimetro degli impegni che erano stati assunti a Parigi. Si sanano le ferite, come quella dell’oleodotto Keystone Xl, progetto che avrebbe dovuto portare petrolio dal Canada al Sud degli Stati Uniti, bloccato da Obama, poi rilanciato da Trump e ora di nuovo fermato da Mr. Joe.
Più che un piano di innovazione è un progetto di ricostruzione. Ma indispensabile per un Paese frammentato e spaccato, dove ogni emergenza – tanto più quella sanitaria che qui conta oltre 400mila morti e 24 milioni di contagi – è stata usata dai potentati economici per arricchirsi sulle spalle dei più deboli.
Biden lo sa. Lo sa il Partito democratico che in pochi mesi ha superato la dicotomia tra moderati e socialisti e ha scelto di fare dei bisogni dei lavoratori uno dei perni del proprio programma di rinascita. Dentro la presidenza Biden confluiscono così la spinta radicale di Alexandria Ocasio-Cortéz, con la sua lotta per il salario minimo federale di 15 euro, e quella dello sfidante Bernie Sanders che spiega ai suoi sostenitori: “In un’era senza precedenti – con una pandemia, un crollo economico, la violenza di destra, il cambiamento climatico, la diseguaglianza di massa, il razzismo sistemico – dobbiamo andare avanti muovendoci senza precedenti e stare dalla parte delle famiglie che lavorano”.
O che vorrebbero lavorare. Perché gli ultimi dati sull’occupazione, pubblicati qualche giorno fa dal ministero del Lavoro, sono tutt’altro che rassicuranti. In una sola settimana quasi 1 milione di americani hanno richiesto l’assegno di disoccupazione; prima che il Covid 19 si prendesse la scena, più o meno un anno fa, erano 200mila. Crescono i poveri e oggi, negli Stati Uniti, un terzo di coloro che vivono in stato di indigenza è rappresentato da bambini.
L’American Federation of Labour, lo storico sindacato statunitense che tradizionalmente sostiene i candidati democratici alla presidenza e che vanta di aver dato all’amministrazione Biden il nuovo ministro del Lavoro, Martin Walsh, fa sentire la sua voce e rovescia lo slogan dei conservatori: finita l’era dell’America first è arrivato il momento della Workers First Agenda. I lavoratori prima. Che dire lavoratori poi vuol dire tutti perché il loro futuro “è intimamente legato al destino della democrazia. – spiega il presidente dell’Afl-Cio Richard Trumka alla vigilia dell’insediamento di Biden - La nostra democrazia non è una promessa su un pezzo di carta. Dipende da noi. Vive in noi”.
Ci sono 8500 chilometri tra gli Stati Uniti e l’Italia. Eppure le parole di Trumka ricordano tanto quelle che abbiamo sentito alzarsi in queste ore anche dal nostro mondo sindacale davanti a un’incomprensibile crisi di governo: il nostro “Nessuno si salva da solo”. Tutto diverso, certo, ma anche da quella parte dell’Oceano oggi è il giorno più lungo. Oggi è quello che Joe Biden conterà come il suo centunesimo giorno, segnato dall’attesa per le politiche che cureranno le ferite e che promettono di fare del lavoro la chiave della democrazia sanata. Quello dopo il quale, forse, negli Usa ci si sarà salvati insieme.