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Migliaia di bambini uccisi a Gaza dai raid israeliani, si parla di oltre 14 mila, ed è difficile tenerne il conto se si pensa che nell’ultima settimana Israele ha bombardato quattro scuole in quattro giorni; 113 in Gisgiordania oltre ai 33 bambini israeliani uccisi nell’attacco di Hamas. In Ucraina almeno 559 bambini sono morti dall’inizio dell’invasione russa, 1.449 feriti e anche qui ricordiamo che l’8 luglio la Russia ha bombardato un ospedale pediatrico nel cuore di Kiev. Nel conflitto in corso in Sudan sono 480 i bambini ai quali è stata tolta la vita, 764 mutilati e oltre 200 reclutati per fare la guerra.
Si potrebbe continuare con il macabro elenco di tutti i conflitti in corso nel mondo nei quali i bambini rimangono vittime, morendo o subendo danni gravissimi. Scarsa eco viene data ai dati che sono pubblicati dalle istituzioni internazionali o dalle ong, come fa Save the Children, la cui international advocacy e policy officer italiana, Silvia Gison, ci ricorda che “i bambini sono sempre stati colpiti dai conflitti armati combattuti dentro zone urbane” e “tutti i conflitti che abbiamo citato si combattono in aree molto popolate”.
I bambini muoiono a causa delle armi, ma anche di fame. “Basti vedere il Sudan – dice Gison -, ma la malnutrizione e la fame affliggono tutte le zone dei conflitti in atto. Forse l'Ucraina è quella che vede i numeri minori, ma la proibizione e la difficoltà dell'accesso umanitario porta con sé una crescita dei numeri, perché chiaramente per i genitori non è semplice trovare risposte per poter sopperire al bisogno nutrizionale dei bambini”.
È come sparare sulla Croce Rossa
A suscitare sgomento sono anche gli attacchi a strutture che ospitano minori, come i già citati ospedali e scuole, nonostante il segretario generale delle Nazioni Unite, e con lui anche Save the Children, da anni sollevino l'emergenza dei bombardamenti che colpiscono siti “che non dovrebbero mai diventare un target degli attacchi. È una cosa che viene decisa dal diritto internazionale umanitario ed è stata inserita all'interno delle sei gravi violazioni per i diritti dei minori in conflitto armato. È inaccettabile che i bambini vengano colpiti lì dove si devono sentire sicuri, dove trovano un rifugio e cercano di ricostruire un senso di normalità o laddove cercano di riparare la propria anima rispetto ai contesti drammatici di guerra”.
Siamo in un’epoca mediatica che dedica un’attenzione più che fuggevole ai crimini della guerra e che conduce anche all’assuefazione dell’opinione pubblica. Un tema sul quale, Silvia Gison ci fa sapere, l’ong per la quale lavora “cerca di combattere da tempo con tutti i mezzi, perché è necessario continuare a dare visibilità alle situazioni che ci sconvolgono quotidianamente”. “Io lavoro su tutti questi contesti - racconta -, sulla protezione dei minori in conflitto armato, quindi ogni giorno sono davanti ai dati e alle voci di bambini che si trovano a dover abbandonare le proprie case, sotto i bombardamenti, si trovano con arti strappati e gravi violazioni di questo tipo che ovviamente hanno delle conseguenze di lunghissima durata.
Mantenere alta l’attenzione
“Io capisco benissimo che la società civile, che non è tra gli addetti ai lavori, si possa sentire sconfortata di fronte alla crescita delle violenze contro i bambini – continua -, ma è anche vero che più manteniamo alta l'attenzione, più ci impegniamo a denunciare e a dare visibilità a quello che accade, più possiamo identificare delle strade affinché questo non avvenga e cercare di fare pressione sulle parti per arrivare ai cessate il fuoco”.
La international advocacy di Save the Children spiega quanto sia importante portare metaforicamente intorno ai tavoli delle trattative quei bambini che tutti i giorni subiscono violenze: È importante che siano visibili, che continuiamo a vederli, rendendoli centrali nelle discussioni che riguardano il loro futuro”.
Il futuro di questi bambini è difficilmente immaginabile, non solamente per le ferite fisiche subite ma per i profondi danni psicologici che provocano guerra e violenze. “Affrontiamo anche queste conseguenze in tutti i contesti nei quali operiamo – dice Gison -, perché riteniamo che garantire una risoluzione dei traumi subiti sia la chiave per poter garantire un futuro ai Paesi nei quali questi bambini vivono”.
Ong sotto attacco
Le richieste principali che vengono portate avanti dagli operatori riguardano “la garanzia dell’accesso umanitario, del raggiungimento di questi bambini e di poter essere quegli occhi che contribuiscono ad avere effettivamente la contezza delle violenze e nel contempo fornire assistenza medica e psicologica e dare supporto nutrizionale”.
La richiesta di garanzia nasce dagli attacchi da tempo in corso alle ong che operano in contesti di guerra, motivo per il quale Silvia Gison vuole evidenziare l’importanza di ribadire ovunque che sono attori “imparziali, indipendenti e neutrali: questi tre principi devono guidare la nostra operatività ovunque nel mondo, noi non siamo per un lato o per l'altro. Noi siamo per i diritti dei bambini e li tuteliamo a prescindere dalla loro nazionalità, etnia e religione e non diamo mai sostegno a entità che possano minare una o l'altra delle popolazioni in guerra”.