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L’11 settembre 1973 moriva Salvador Allende. E con lui, un esperimento politico senza precedenti. Arrivato al potere con il 36% dei suffragi e sostenuto da una coalizione che annoverava al suo interno accanto ai partiti d’orientamento marxista come il suo i cattolici di sinistra e i radicali, una volta insediato il governo di Unidad popular, Allende comincia a implementare la sua piattaforma di conversione socialista della società cilena avviando un vasto programma di nazionalizzazione delle principali industrie private del Paese.
Nel 1973 lo Stato arriverà a controllare il 90% delle miniere, l’85% delle banche, l’84% delle imprese edili, l’80% delle grandi industrie, il 75% delle aziende agricole e il 52% delle imprese medio-piccole. La riforma agraria in favore delle classi maggiormente disagiate sarà affiancata da una tassazione sulle plusvalenze, annunciando inoltre il governo una sospensione del pagamento del debito estero e la ferma volontà di non onorare i crediti dei potentati economici e dei governi stranieri. La piattaforma di conversione prevedeva tra l’altro l’introduzione del divorzio e l’annullamento delle sovvenzioni statali alle scuole private, incentivi all’alfabetizzazione, l’aumento programmatico dei salari, l’implementazione di diverse tutele sociali come, ad esempio, l’estensione dei diritti di tutela e rappresentanza sindacali anche alle categorie dei lavoratori stagionali e part-time e l’introduzione di un salario minimo garantito per i lavoratori di ogni categoria e fascia d’età, il prezzo fisso del pane, la riduzione del prezzo degli affitti, la distribuzione gratuita di cibo ai cittadini più indigenti, l’aumento delle pensioni minime.
Dopo mesi di tensioni e tentativi di restaurazione caduti nel vuoto, l’11 settembre 1973 le forze armate cilene guidate dal generale Augusto Pinochet metteranno in atto il piano del golpe contro il governo democraticamente eletto del compañero presidente. L’ultimo discorso Allende lo terrà dalla Moneda, il palazzo presidenziale. Sebbene perfettamente cosciente che il colpo di stato sarebbe andato a buon fine, Allende continuerà fino alla fine a dare indicazioni ai suoi sostenitori legittimando con la sua coraggiosa azione la futura resistenza cilena.
“Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più - dirà al suo popolo - Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria. Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi. Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento”.
Finito il discorso Allende saluta i suoi più fidati amici. Tra questi anche lo scrittore Sepulveda. “Io non ero al Palacio de la Moneda durante i bombardamenti - racconterà - Ci alternavamo nell’affiancare Allende: io e altri compagni quel giorno fummo distaccati a Santiago, di guardia a un pozzo di acqua potabile, obiettivo sensibile dei fascisti. Il primo istinto fu quello di andare subito alla Moneda. Ma fu impossibile, ovunque c’erano soldati che sparavano, morti. Un mortale senso di impotenza mi assalì. Però quel giorno riuscimmo a raggiungere un ospedale, dove ascoltammo l’ultimo discorso del presidente a Radio Magallanes. Una meravigliosa chiamata alla responsabilità, alla sopravvivenza: ci chiedeva di non farci uccidere, la nostra vita era necessaria per organizzare la Resistenza. I compagni alla Moneda, invece, morirono tutti”.
Il Presidente rimane così solo ad attendere la fine. Che si sia suicidato o che sia morto combattendo contro i golpisti, come racconta Gabriel Garcìa Marquez (anche Castro, in un celebre discorso all’Avana una settimana dopo il golpe, ricostruirà l’ipotetico confronto armato finale, con Allende che combatte da eroico guerrigliero fino alla fine), poco importa. Allende sarà per sempre il compañero presidente, quell'uomo leale, simbolo di un popolo che resiste e che unito, nonostante tutto, non potrà mai essere sconfitto.