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Joe Biden è stato il presidente degli Stati Uniti più vicino al mondo del lavoro organizzato degli ultimi decenni. E una convention indetta a Philadelphia – a metà dello scorso giugno – dall’Afl-Cio insieme ad altre 17 sigle sindacali gliel’ha riconosciuto. Si trattava di una delle prime tappe della lunga campagna elettorale che porterà alle elezioni presidenziali del 2024. Una platea di circa duemila iscritti alle unions – racconta Reid J. Epstein sul New York Times – ha acclamato e sostenuto Biden mentre, dal palco, lui per primo si attribuiva un merito impegnativo: “Sono il presidente più favorevole ai sindacati nella storia americana”.
I meriti di Biden
Biden ha elencato i più importanti provvedimenti pro-Labour varati dalla sua amministrazione negli ultimi tre anni, tra cui gli incentivi alle aziende che impiegano lavoratori sindacalizzati e il Butch Lewis act, una legge che ha salvato le pensioni di oltre un milione di persone le cui prestazioni previdenziali erano state falcidiate a causa di piani pensionistici multiaziendali insolventi.
Al di là dei singoli atti, è stato proprio il clima generale a cambiare, sotto la presidenza Biden. Non solo il presidente ha appoggiato le vertenze sindacali più eclatanti, ad esempio ricevendo i lavoratori di Starbucks e Amazon, ma il dipartimento del Lavoro e il National labor relations board (l’agenzia federale del Lavoro) hanno spesso mantenuto una postura pro-unions nella regolamentazione di vertenze e dispute con le imprese.
Lo spettro di Trump
Di tutto questo dovevano essere consapevoli, i sindacalisti o iscritti che hanno acclamato Biden a Philadelphia, promettendo sostegno alla campagna del presidente democratico. Ed erano certo consapevoli dello spettro avverso. Se Donald Trump vincesse tutte le battaglie, legali e politiche, che conducono al trono di Washington, avrebbe in serbo un’amministrazione ancor più antisindacale della sua precedente (2016-2020).
Secondo una rilevazione di metà agosto citata dal Guardian, Trump ha un vantaggio di 40 punti sui suoi rivali repubblicani nella media dei sondaggi nazionali. Il 54,6 per cento degli iscritti al partito è intenzionato a votare l'ex presidente alle prossime primarie, nonostante le sue gravi pendenze penali.
Il Piano contro il lavoro
I fedelissimi di Trump, immaginandolo già insediato alla Casa Bianca, hanno elaborato un piano di battaglia che mira a cambiare il volto dell'amministrazione nei primi 180 giorni di governo. Il Project 2025 – così si chiama – non è un libro bianco ufficiale, ma un documento elaborato dalla Heritage Foundation (grazie a 22 milioni di dollari in donazioni). Noah Lanard, un giornalista di Mother Jones, ha esaminato e rivelato il capitolo sul lavoro del progetto: circa 37 pagine che radono al suolo i dispositivi a difesa del lavoro organizzato varati fino a oggi.
“L'agenda per il lavoro del Project 2025 – scrive Lanard – mira alla tipica distruzione dei sindacati, con un po' più di retorica anti-woke e pro-cristiana”. Si tratta di “rendere più difficile per i lavoratori formare sindacati, rendere più facile per le aziende classificare i dipendenti come appaltatori indipendenti (privi di molte delle tutele di cui godono i dipendenti) e di vietare al governo cause antidiscriminatorie” sulla base di pregiudizi razziali.
Via libera a discriminazioni e sindacati gialli
L’autore di questo capitolo è Jonathan Berry, già membro dello staff del dipartimento del Lavoro nella prima amministrazione Trump. I brani sui diritti sono da pelle d’oca. Bisogna ad esempio – leggiamo – “annullare i regolamenti che vietano la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale, dell'identità di genere, della condizione di transgender e delle caratteristiche sessuali”. Mentre, sul fronte pro-life, il Congresso dovrà “approvare una legge che richieda benefici per il sostegno pro-vita alle madri lavoratrici. La legge dovrebbe anche chiarire che nessun datore di lavoro è tenuto a fornire alcun beneficio per l'aborto”.
Nella sezione "Voce e rappresentanza dei lavoratori non sindacalizzati", la raccomandazione principale è di approvare il Teamwork for employees and managers act, un disegno di legge repubblicano già affossato ai tempi di Bill Clinton che – nota sempre Lanard – “indebolirebbe in modo significativo quella sezione del National labor relations act (lo Statuto dei lavoratori nordamericano, ndr) che vieta l’istituzione di sindacati controllati dalle aziende”.
Sabotati organising e contrattazione collettiva
Il Project 2025, ovviamente, punta a rendere più difficile formare un sindacato. E lo fa ipotizzando che il Congresso vieti il card check, ossia “il processo attraverso il quale un sindacato può essere costituito se la maggioranza dei dipendenti firma a favore della sindacalizzazione e un datore di lavoro riconosce volontariamente il sindacato”.
Sui contratti collettivi la ricetta del Project 2025 prevede la possibilità di derogare dalle leggi e dai regolamenti federali. Il Piano, infine, spinge molto sull’attività di controllo sulle finanze e sulla trasparenza economica dei sindacati, mentre taglia il budget complessivo del dipartimento del Lavoro, senza ipotizzare che l’organo riceva nuove risorse, ad esempio per salute e sicurezza, osserva sempre Lanard.
I militanti sindacali sono cambiati. Ma Biden lo sa?
I convenuti di Philadelphia che hanno applaudito Biden a metà giugno sapevano, o sanno adesso, di questo progetto filo-trumpiano? Ovviamente sì, a questo punto. Ma è lecito immaginare che, anche senza conoscerlo, fossero già preparati a un simile orizzonte di attesa e di battaglia. Il presidente democratico commetterebbe però un grave errore se desse per scontati i voti del mondo del lavoro. Non lo sono affatto, e ogni voto conta.
Il dato importante – osserva il New York Times – è che “il movimento sindacale moderno è più giovane e diversificato, e conta molte più donne rispetto allo stereotipo sindacale che Biden ha abbracciato durante i decenni trascorsi a costruire la sua identità politica”. Sono state leader donne come Randi Weingarten, presidente della Federazione americana degli insegnanti, o Liz Schuler, presidente dell’Afl-Cio, a lanciare l’avvertimento: gli attivisti sindacali non sono più uomini bianchi di mezza età col sigaro in bocca. E – avverte Schuler – c’è uno “scollamento” tra le politiche di Biden e le comunità di lavoro lontane da Washington, che non sempre percepiscono i cambiamenti come un merito del presidente in carica.
Qualche voto perso per strada
Biden inoltre, a causa delle sue posizioni a favore della transizione verso l’automobile elettrica, ha perso il sostegno ufficiale della Uaw, il sindacato dell’automotive. Mentre – ironia della sorte – la legislazione sulle infrastrutture e poi gli aumenti salariali varati a inizio agosto a favore dei lavoratori nel settore edile vanno a beneficio di un elettorato che ha sempre votato in prevalenza per i repubblicani, e decisamente per Trump. Lo fa notare al Nyt Larry Cohen, ex presidente del Cwa (il sindacato delle comunicazioni) e ora consigliere di Bernie Sanders. Ma, chissà, gli edili potrebbero cambiare idea alle prossime elezioni.