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Il Piano Biden per la ripresa economica punta fortemente sull’energia pulita
The New York Times, 24 marzo 2021
Il piano del presidente di 4 trilioni di dollari rappresenta un cambiamento essenziale per il modo in cui i Democratici parlano del cambiamento climatico: non è più una questione secondaria.
La prossima grande novità del presidente Biden coniugherà la necessità di ricostruire le infrastrutture americane antiquate con la spesa straordinaria per combattere il cambiamento climatico, una combinazione che, per la sua dimensione e portata, rappresenta un cambiamento politico enorme, anche per i Democratici che sono stati per decenni sulla difensiva.
La filosofia ispiratrice proposta di Biden sostiene che il futuro di posti di lavoro di buona qualità consista nella transizione verso un’economia che non sprigioni più anidride carbonica mediante la combustione di carbone, petrolio e gas. I collaboratori di Biden dovranno informarlo questa settimana in merito ai piani di investimenti del valore compreso tra i 3 e i 4 trilioni di dollari in spese e agevolazioni fiscali per mettere in atto una serie di sforzi ampi destinati a sostenere l’economia. Il denaro è diviso in due pacchetti, a partire dalla legge sulle infrastrutture che sarà imperniata sullo sforzo di fermare le emissioni di anidride carbonica che surriscaldano il pianeta. I funzionari dell’amministrazione sottolineato che i dettagli della legge sono ancora in fase di discussione.
Gli esperti dicono che, così come è stato concepito il piano, l’accelerazione della trasformazione dell’energia pulita è alla base di ogni parte del piano. Esso prevede la costruzione di linee elettriche per fornire maggiore energia rinnovabile, la costruzione di stazioni per la ricarica di veicoli elettrici, la chiusura di pozzi di petrolio e gas per ridurre le emissioni e la bonifica delle miniere di carbone dismesse. Il danaro è destinato alla costruzione di un milione di nuove unità abitative a basso costo e a basso consumo energetico e all’efficientamento energetico delle strutture esistenti. Centinaia di miliardi di dollari sarebbero indirizzati alle “industrie ad elevata crescita del futuro”, come la produzione di batterie avanzate.
Il messaggio sotteso è che il prossimo passo dell’America è fondamentalmente legato al contrasto della crisi climatica. Rappresenta una svolta importante nel modo in cui i Democratici intendono contrastare il riscaldamento globale. Il cambiamento climatico non è più un semplice obbligo verso l’ambiente, come salvare gli orsi polari, oppure un elemento secondario del pacchetto di aiuti come lo è stato con l’amministrazione Obama, è l’elemento centrale del pacchetto.
Secondo i funzionari dell’amministrazione Biden, la lotta al riscaldamento disastroso e il controllo americano delle industrie globali emergenti sono inseparabili. Questo segna una rottura netta rispetto alla recente amministrazione democratica, quando Biden era vicepresidente, e all’era Trump, quando il presidente negava l’esistenza del cambiamento climatico.
Robert N. Stavins, economista dell’ambiente presso dell’Harvard University, ha detto: “Pensare di affrontare il cambiamento climatico attraverso le infrastrutture non è in sé un’idea rivoluzionaria, ma se chiedessimo alla maggior parte delle persone se le infrastrutture in America sono in difficoltà, credo che per prima cosa parlerebbero di ponti e di strade e non di stazioni per la ricarica di veicoli elettrici”. I funzionari della Casa Bianca non metterebbero un dollaro alla somma destinata al cambiamento climatico, ma una persona che ha partecipato ai colloqui ha riferito che la spesa destinata al cambiamento climatico e all’energia pulita potrebbe superare i 2 trilioni di dollari. Secondo alcuni attivisti per il clima il piano presenta un approccio sbilanciato nel modo in cui aumenta l’offerta di progetti e prodotti per l’energia pulita, e fa poco per stimolare la domanda per obbligare la riduzione del consumo di combustibili fossili.
I Repubblicani, che all’unanimità si sono opposti al pacchetto di aiuti per contrastare il coronavirus da 1.9 trilioni di dollari, e persino alcuni analisti indipendenti hanno rifiutato di avvolgere la politica climatica nel mantra largamente popolare delle infrastrutture, a riprova che i vecchi argomenti contro la politica industriale sono ancora vivi. Il senatore repubblicano dello Stato del Wyoming, John Barrasso, ha dichiarato che Biden dovrebbe concentrarsi a lavorare con i Repubblicani “per riparare strade e ponti in cattivo stato”, anziché “aumentare le tasse mentre si spendono trilioni di dollari per una legge che comprende regolamenti punitivi del Green New Deal”.
Ma Biden non si smuove dalle sue posizioni. Ha promesso durante la sua campagna elettorale di “costruire un’economia più resiliente e sostenibile”, che metta gli Stati Uniti sulla strada per raggiungere emissioni nette zero entro la metà del secolo, e di creare, nel frattempo, “milioni di posti di lavoro ben retribuiti”. Ha continuato a ribadirlo da quando si è insediato. Prima di firmare una serie di ordini esecutivi, a gennaio, per contrastare il riscaldamento climatico, il presidente Biden affermò: “Oggi, alla Casa Bianca, è la giornata dedicata al clima, il che significa che è la giornata dedicata al lavoro”.
Il pacchetto di infrastrutture, oltre ai 600 miliardi di dollari destinati alla costruzione di strade, di ponti, di ferrovie e stazioni per la ricarica di veicoli elettrici, comprenderà un programma di incentivi per la sostituzione di milioni di auto a gas con i veicoli elettrici nei prossimi dieci anni. Il programma di incentivi è sostenuto dal senatore di New York, leader della maggioranza democratica, Chuck Schumer. Alcuni gruppi ambientalisti hanno criticato Biden per non aver proposto un pacchetto ancora più grande per il cambiamento climatico. Ma la rappresentante democratica di New York, Alexandria Ocasio-Cortez, che ha difeso il piano ambizioso del Green New Deal per combattere il cambiamento climatico e rinnovare l’economia il contrasto, ha definito incoraggianti la notizia sul pacchetto di infrastrutture.
Ocasio-Cortes ha affermato in un’intervista: “Quando abbiamo introdotto il Green New Deal, uno dei nostri grandi obiettivi era trasformare il cambiamento climatico da un problema da un miliardo di dollari in un’opportunità da trilioni di dollari”. Ed ha aggiunto: “Credo che il fatto che il clima e le infrastrutture siano viste come parte dello stesso sforzo, rifletta molto il cambiamento”.
Il pacchetto, per ora, esclude l’unico punto che trova d’accordo gli economisti su quale sia il modo più efficiente per ridurre le emissioni che causano il riscaldamento del pianeta: tassare o, altrimenti, fissare un prezzo alle emissioni di anidride carbonica. Ad esempio, anziché tassare la benzina, il presidente prevede di aumentare gli standard di efficienza del carburante delle auto, costringendo le cause automobilistiche, attraverso la regolamentazione e non la legislazione, ad orientarsi verso i veicoli elettrici. Analogamente, Biden prevede di introdurre nuovamente regolamentazioni rigide sulle emissioni delle centrali elettriche per spingere il settore ad abbandonare il carbone.
John Podesta, ex consigliere del Presidente Barack Obama sul cambiamento climatico ha detto: “Biden non ha mai proposto una tassa sulle emissioni di carbonio”. “Credo che lui pensi che coniugare investimenti e standard con un’attenzione all’equità sia una formula vincente per la sostenibilità economica e politica”. Tuttavia, altri esprimono preoccupazione per il fatto che la strategia Biden, fatta di progetti di lungo termine e di regolamentazioni che potrebbero richiedere anni per essere finalizzate, sia troppo lunga, troppo costosa e troppo incerta per ridurre le emissioni.
Alex Flint, direttore dell’Alliance for Market Solutions, gruppo conservatore non profit che appoggia la tassa sul carbonio, ha affermato: “Le dimensioni del problema del clima richiedono una risposta più efficace sul piano economico, e poiché è politicamente difficile fissare un prezzo al carbonio, stiamo andando verso una direzione molto costosa su come affrontare il clima”. Ha aggiunto: “Una tassa sul carbonio deve entrare a far parte della discussione”.
Stavins della Harvard University ha avvertito che l’uso della spesa pubblica per arrivare a creare occupazione e affrontare il cambiamento climatico, sebbene sia apprezzata, non è sempre compatibile. L’impulso rapido dato all’economia si basa sui cosiddetti progetti “pronti per il cantiere”, e non sono necessariamente i progetti che porteranno ad una decarbonizzazione significativa. Ha ammesso che se Obama non è riuscito a far passare una legge per eliminare le emissioni di carbonio quando aveva 50 democratici al Senato, Biden non riuscirà a far passare un piano altrettanto severo con 50 democratici, uno dei quali, il senatore Joe Manchim III, rappresenta lo stato della Virginia occidentale produttore di carbone.
Per i sostenitori del pacchetto, il fatto di legare l’azione per il clima alla crescita in materia di bilancio è una buona politica supportata dai fatti. Un rapporto federale del 2018 rilevò che non riuscire a fermare l’inquinamento che surriscalda il pianeta potrebbe causare un aumento eccessivo di incendi boschivi, mancati raccolti e infrastrutture antiquate in tutto il paese, e una contrazione dell’economia degli Stati Uniti del 10% entro la fine del secolo.
Jamal Raad, cofondatore del gruppo di sostegno alla lotta al cambiamento climatico, Evergreen Action, ha detto che la politica del cambiamento climatico e il mercato dell’energia pulita sono cambiati radicalmente negli ultimi dieci anni. Ha aggiunto: “C’è molto da raccontare su cosa significhi il cambiamento climatico e la transizione verso l’energia pulita per la nostra economia e i posti di lavoro”. “Questo pacchetto di investimenti racconta una storia positiva sulla crescita economica in un ambiente di energia pulita”.
Per leggere l'articolo originale: Biden’s Recovery Plan Bets Big on Clean Energy
Nazioni Unite: circa 30 milioni di persone sono “ad un passo dalla fame”
The Guardian, 24 marzo 2021
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, la combinazione della pandemia, della crisi climatica e dei conflitti provocano livelli allarmanti di grave carenza alimentare nel mondo.
Le Nazioni Unite hanno avvertito che la grave carenza alimentare è destinata ad aumentare nei prossimi mesi. Secondo il rapporto sui focolai della grave carenza alimentare pubblicato dalle agenzie delle Nazioni Unite, l'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura e il Programma alimentare mondiale, le famiglie in alcune zone dello Yemen e nel Sud Sudan sono già nella morsa della fame. Si stima che 34 milioni di persone stiano lottando contro livelli urgenti di grave carenza alimentare, conosciuta come Classificazione integrata delle fasi della sicurezza alimentare, Ipc 4, che significa che “sono ad un passo dalla fame”.
La grave carenza alimentare è causata dai conflitti, dalle crisi climatiche e dalla pandemia del Covid, e, in alcune aree, è stata aggravata dalle tempeste delle cavallette del deserto.
Per, Qu Dongyu, direttore generale della Fao, “Le dimensioni della sofferenza sono allarmanti”. “Dobbiamo agire subito e in fretta per salvare vite, salvaguardare la sopravvivenza ed evitare che la situazione peggiori”. Le agenzie internazionali riferiscono che il nord della Nigeria, dello Yemen e del Sud Sudan sono in cima alla lista dei luoghi che stanno affrontando livelli “catastrofici” di grave carenza alimentare. La maggior parte dei focolai individuati dal rapporto si trovano in Africa, ma alcuni sono in regioni che vanno dall'Afghanistan, in Asia, alla Siria e Libano in Medio Oriente e ad Haiti in America Latina e nei Caraibi. Il direttore generale della Fao ha affermato:“In molte regioni, la stagione della semina è appena iniziata e sta per iniziare”. “Dobbiamo correre contro il tempo e non permettere di perdere questa opportunità di proteggere, stabilizzare ed aumentare la produzione alimentare locale”.
Il direttore generale del Pam, David Beasley, ha affermato: “Stiamo assistendo ad una catastrofe che si sta svolgendo sotto i nostri occhi”. “La fame, causata dai conflitti, e alimentata dalle crisi climatiche e dalla pandemia del Covid-19, sta bussando alla porta di milioni di famiglie”. Occorre fare tre cose per evitare che “milioni di famiglie cadano nella fame”, ha detto il direttore del PAM, fermare i conflitti, ampliare l'accesso alle comunità vulnerabili e aumentare le donazioni.
All'inizio di questo mese, la Fao e il Pam hanno chiesto 5.5 miliardi di dollari per evitare la carenza alimentare, attraverso l'assistenza umanitaria alimentare e interventi di emergenza mirati a fornire danaro contante e a salvaguardare la sopravvivenza.
Il rapporto delle agenzie internazionali ha evidenziato che l'America Latina è la regione colpita più duramente dalla crisi economica e sarà la regione che avvierà una ripresa lentissima, mentre nel Medio Oriente, lo Yemen, la Siria e il Libano sono stati colpiti dalla svalutazione veloce della moneta e dall'impennata dell'inflazione. Il rapporto prevede che oltre 7 milioni di persone nel Sud Sudan affronteranno livelli di grave carenza alimentare nel periodo compreso tra aprile e luglio, mentre oltre 16 milioni di yemeniti dovrebbero conoscere livelli elevati di grave insicurezza alimentare entro il mese di giugno, un aumento di 3 milioni rispetto alla fine dello scorso anno. Altri paesi hanno individuato altri focolai di grave carenza alimentare nel Burkina Faso, nell'Afghanistan, nella Repubblica Democratica del Congo, nell'Etiopia, in Haiti, in Sudan e in Siria.
Per leggere l'articolo originale: Over 30 million people 'one step away from starvation', UN warns
Un patto verde mondiale
di Ursula von der Leyen, Werner Hoyer
El Pais, 23 marzo 2021
L’economia circolare possiede enormi potenzialità per ridurre la dipendenza dalle risorse limitate e generare occupazione. Considerato che l’Unione europea rappresenta meno del 10% delle emissioni globali, dobbiamo sostenere gli sforzi di altri Paesi.
In Europa abbiamo dato ascolto agli avvertimenti sul cambiamento climatico. Sappiamo che se i nostri sistemi industriali, energetici, trasportici e alimentari non cambieranno, in questo secolo rischiamo che l’aumento catastrofico della temperatura superi i 3 gradi centigradi. Noi dell’Unione europea, abbiamo adottato, alla fine del 2020 (l’anno più caldo mai registrato in Europa,) la decisione comune di raggiungere entro il 2030 la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990. La Commissione europea sta mettendo in atto questo impegno con politiche concrete, e la Banca europea per gli investimenti ha messo il proprio potere finanziario al servizio dell’iniziativa.
Questi dieci anni rappresentano un momento decisivo per il nostro pianeta. Per poter far fronte alle sfide immediate che abbiamo di fronte, i due organismi che rappresentiamo hanno convocato i governi, le istituzioni internazionali e gli investitori per partecipare a un evento storico, dal titolo “Investing in Climate Action”, che si terrà il 24 marzo del 2021.
Questo evento riunirà i capi di stato e di governo mondiali per condividere i piani di attuazione delle politiche nazionali necessarie e per garantire il coordinamento internazionale. L’evento servirà, inoltre, ad aiutare gli investitori e i dirigenti aziendali a capire meglio l’ambiente politico in cui opereranno almeno nei prossimi 10 anni. L’azione per il clima richiede cambiamenti strutturali ampi e livelli di investimenti enormi in tutto il mondo.
Per raggiungere questo nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni entro il 2030, soltanto in Europa saranno necessari investimenti annuali aggiuntivi di circa 350 miliardi di euro (417.000 milioni di dollari). Questa cifra non è niente rispetto ai costi dell’inazione. Per rispondere a questa richiesta di investimenti, la Banca Europea per gli Investimenti (il più grande prestatore multilaterale del mondo) assumerà il ruolo di “banca dell’UE per il clima” e orienterà tutte le sue attività verso gli obiettivi stabiliti nell’accordo di Parigi sul clima. La BEI, tra l’altro, si è impegnata a sostenere gli investimenti per 1 miliardo di euro nell’azione per il clima e la sostenibilità ambientale nei prossimi dieci anni.
Ma i finanziamenti da soli non bastano. È necessario che ci dotiamo di una road map, e per questo la Commissione europea introdusse, nel dicembre del 2019, il patto verde europeo, come strategia nuova europea per la crescita e l’occupazione, con l’obiettivo di guidare la transizione verso un’economia più competitiva ed efficiente sotto il profilo delle risorse per trasformare l’UE in una società più giusta e prospera. In definitiva, l’obiettivo è raggiungere zero emissioni nette di gas serra entro il 2050.
Considerato che l’Unione europea rappresenta meno del 10% delle emissioni globali, le azioni dell’Europa da sole non basteranno a frenare il riscaldamento globale. Per far sì che l’aumento della temperatura a livello mondiale non superi 1.5 gradi centigradi, dobbiamo sostenere gli sforzi di decarbonizzazione oltre i nostri confini. Ecco perché abbiamo bisogno di un patto verde mondiale.
A tal fine, ci siamo posti tre priorità di investimento. In primo luogo, dobbiamo garantire che le tecnologie pulite più avanzate siano adottate ovunque. Nonostante i progressi realizzati nell'uso dell’energia rinnovabile, il 40% dell'approvvigionamento energetico mondiale proviene dal carbone, la fonte di energia più inquinante. Lo sviluppo economico è accompagnato da una domanda più alta di elettricità e, quindi, la responsabilità di adottare soluzioni tecnologiche ecosostenibili e decarbonizzare la produzione di energia.
L'Europa è già pronta a investire in una vasta gamma di progetti, che comprendono programmi di elettrificazione verde in Africa, di decarbonizzazione industriale in Asia e l'implementazione di sistemi di batterie in America Latina, e così via. Abbiamo competenze da condividere in materia di adattamento climatico, di tecnologie per il controllo delle inondazioni, di strumenti avanzati di previsione meteorologica e infrastrutture resilienti. La BEI ha mezzi finanziari e competenze per sostenere iniziative di adattamento al clima, e userà le sue risorse per favorire maggiori investimenti del settore privato su questa questione cruciale.
La nostra seconda priorità è quella di favorire maggiori investimenti in tecnologie verdi avanzate. Non solo si rende necessario un processo di ricerca e lo sviluppo nel settore, ma è anche una grande per i mercati. Diversi paesi che rappresentano la metà delle emissioni mondiali di gas serra hanno già adottato obiettivi di emissioni nette pari a zero, e sicuramente altri paesi seguiranno l'esempio. Tutti loro avranno bisogno di investimenti e tecnologie europee per conseguire gli obiettivi. L'idrogeno pulito, la generazione di energia rinnovabile offshore e soluzioni per lo stoccaggio di energia possono diventare una grande opportunità per le esportazioni europee.
Infine, dobbiamo abbracciare l'idea di "economia circolare". Oggi prendiamo dal pianeta più di quanto può darci, e gli effetti di questo eccesso diventeranno sempre più evidenti e distruttivi ogni anno che passa. L'impronta ambientale e di carbonio dei beni che consumiamo deve essere ridotta urgentemente.
Per fare questo, dobbiamo investire in tecnologie circolari che riutilizzano le risorse, invece di produrre o importare sempre nuovi beni ed estrarre sempre materie prime. L'economia circolare possiede enormi potenzialità non solo per ridurre la dipendenza dalle risorse limitate, ma anche per creare posti di lavoro. L'Europa è la prova concreta che il patto verde non è solo una politica ambientale, ma è una necessità economica e geopolitica.
Cinque anni fa, 196 paesi si riunirono per firmare l'Accordo di Parigi, impegnandosi a mantenere l'aumento medio delle temperature globali al di sotto di 2 gradi centigradi (preferibilmente a 1,5 gradi centigradi) del livello preindustriale. Questo impegno deve ancora essere tradotto in azioni adeguate. È arrivato il momento di fissare obiettivi più ambiziosi e accelerare il progresso. Questo è il messaggio che daremo al mondo nell'evento intitolato “Investing in Climate Action” del 24 marzo.
Dobbiamo essere uniti, non solo i governi ma anche le imprese, le città, le istituzioni finanziarie e la società civile, per affrontare la sfida del clima. L'Europa ha gli strumenti, le capacità e le conoscenze per gestire un ruolo guida esemplare. Dobbiamo trasformare la nostra leadership in ambito ambientale in leadership di mercato per far sì che il patto verde globale diventi realtà.
Per leggere l'articolo originale: Un pacto verde mundial
La crisi nell'Himalaya: cambiamento climatico e sviluppo insostenibile
Financial Times, 22 marzo 2021
La catastrofe dello scorso mese verificatasi in India ha dimostrato i rischi che la temperatura elevata comporta per otto paesi della regione.
Mentre Chandra Singh Rana lavorava nei campi in una fredda mattina invernale, ha visto del fumo provenire dai pendii del bosco e dalle cime innevate che portano a Nanda Devi, una delle montagne più alte del mondo. Il boato ha spinto il 77enne, suo nipote e i residenti del villaggio Reni, incastonato nell'Himalaya indiano, ad arrampicarsi in un punto più alto per vedere cosa fosse accaduto. Una frana dalle montagne vicine ha scatenato uno tsunami d'acqua, di pietre e di fango che si è abbattuta lungo la ripida valle del fiume che divide il villaggio, trascinando via coloro che non sono riusciti a scappare. Il torrente ha raggiunto il fiume, aumentando il ritmo, distrutto un ponte e due centrali idroelettriche, a 9 – 15 miglia dalla frana. Oltre 200 persone sono state trascinate dal fango. La maggior parte dei corpi sono stati dispersi nel cratere grigio che la frana ha lasciato dietro di sé.
Rana racconta: “Non mi è mai successo di vedere una cosa simile nella mia vita”. “Non dovrà accadere di nuovo. Dio ci ha salvati”.
Il disastro del mese scorso ha richiamato l'attenzione su quello che gli abitanti del posto e gli scienziati ritengono sia una crisi che si sta sviluppando sull'Himalaya, la catena montuosa più alta al mondo. Ritengono che la miscela esplosiva composta dal cambiamento climatico e da costruzioni selvagge di strade e dighe nella catena geologicamente instabile minacci non solo i villaggi, come il Reni, ma le persone, le economie e la sicurezza di otto paesi nella grande regione dell'Himalaya, l'Hindu Kush. Le montagne si estendono dalla parte occidentale dell'Afghanistan alla parte orientale del Mynamar, formando la struttura montuosa di paesi come l'India, la Cina e il Pakistan. Il fiume Gange, Indus e lo Yarlung Tsangpo (noto come il Brahmaputra) sostengono oltre 1 miliardo e mezzo di persone e le industrie che alimentano la crescita economica più veloce al mondo, Inoltre, attraversano le faglie più imprevedibili della geopolitica.
Il cambiamento climatico sta amplificando i pericoli. Secondo Maharaj Pandit, professore di studi ambientali presso l'Università di Delhi, le temperature dell'Himalaya sono aumentate più velocemente rispetto ad altre catene montuose. L'International Centre for Integrated Mountain Development – Icimod - organismo intergovernativo regionale, ritiene che la regione registrerà un riscaldamento superiore alla media.
Le inondazioni recenti in India sono state una combinazione di “attività geologiche...effetti del cambiamento climatico, nonché dello sviluppo insostenibile dell'infrastruttura che hanno accelerato il processo”, afferma Pema Gyamtsho, direttore generale dell'Icimod e politico butanese. “Sappiamo che la regione dell'Himalaya è molto vulnerabile, ma non ne teniamo conto”.
Ecosistema precario
Il fatto che il villaggio Reni, uno delle centinaia di villaggi incastonati nelle montagne scoscese dello stato indiano dello Uttarakhand, sia stato colpito da un'inondazione è una delle ironie tragiche della storia. E' stato proprio questo villaggio ad aver contribuito a far nascere il movimento ecologista Chipo, quando, nel 1974, le donne del posto respinsero i taglialegna per impedire la distruzione della foresta vicina. Le proteste di Chipko hanno ispirato il moderno attivismo ambientalista in India. Il ruggito della crescita economica ha portato in dieci anni ad un'attività frenetica negli stati indiani dell'Himalaya, che ospitano 80 milioni di persone. Le città, comprese le baraccopoli montuose, si sono ingrandite. Gli imprenditori hanno abbattuto le foreste, tagliato i versanti ripidi delle montagne per scavare tunnel per costruire più case, strade e dighe.
Le numerose conseguenze del cambiamento climatico su questo ecosistema precario non sono state ancora comprese. Ma gli scienziati ritengono che i ghiacciai dell'Himalaya si ridurranno di un terzo entro il 2100 se l'aumento delle temperature globali non sarà limitato a 1.5 gradi centigradi, l'obiettivo più ambizioso, le perdite saranno altissime se l'obiettivo di ridurre le temperature globali non sarà raggiunto.
Oltre 1 miliardo di persone “dipendono dalle acque provenienti dall'Himalaya”, afferma Izabella Koziell dell'International Water Management Institute dello Sri Lanka. “Significa che aumenteranno le inondazioni. Significa un afflusso maggiore d'acqua variabile…Se i ghiacciai si scioglieranno velocemente, avremo meno acqua a disposizione. Le conseguenze saranno, quindi, enormi”.
La recente tragedia ha rappresentato una miscela potente di calamità naturali e pericoli causati dall'uomo. Secondo l'Icimod, la frana della montagna vicina ha portato ghiaccio e neve distruggendo due impianti idroelettrici: l'impianto Rishi Ganga, situato vicino al villaggio Reni, e l'impianto in costruzione a valle, Tapovan Vishnugad. La presenza di questi impianti ha moltiplicato il bilancio dei danni economici e delle vittime tra i lavoratori.
Dopo settimane dal disastro, i residenti del villaggio Reni si sono riuniti mentre il prete teneva il funerale per Amrita Devi, 78 anni, che è stata travolta dall'inondazione mentre lavorava nei campi. “Proveniamo da un villaggio che ci ha insegnato l'importanza dell'ambiente”, racconta Hira Singh, 38 anni. “E' molto difficile iniziare una vita normale dopo quanto è accaduto”.
Il boom dell'energia idroelettrica
Il primo ministro dell'India indipendente, Jawararlal Nehru, colse l'importanza centrale delle dighe nella visione che aveva per il paese, definendole “templi dell'India moderna”. I fiumi dell'Himalaya sono stati una fonte ricca di energia per i paesi situati alle pendici della montagna. Pandit ritiene che siano stati costruiti o previsti in tutta la regione 1.300 impianti idroelettrici, la Cina sta costruendo nel solo Tibet 750 impianti.
La domanda energetica dell'India, terzo emettitore di gas serra più grande al mondo, è destinata ad aumentare nei prossimi vent'anni più velocemente di qualsiasi altro paese. Garantire che questa domanda sia soddisfatta con risorse diverse dal petrolio e dal carbone è cruciale per gli sforzi globali tesi a ridurre le emissioni. Il primo ministro Narenda Modi intende aumentare la capacità energica rinnovabile a 450 gigawatts nei prossimi vent'anni.
La grandezza energetica idroelettrica dei piani dell'India è motivo di un dibattito acceso nel paese. Per i suoi sostenitori è cruciale sostituire la fornitura di elettricità con energia solare ed eolica.
"Questa flessibilità è molto importante per il passaggio nel lungo termine dell'India ad uno spazio di energia verde”, dice Harsh Shah, direttore di IndiGrid, fondo di investimento sostenuto da Kkr che possiede le linee di trasmissione che trasportano l'energia elettrica dagli impianti dell'Himalaya. "L'energia idroelettrica è fondamentale nel compito dell'India di passare all'energia rinnovabile".
Ma la costruzione degli impianti sulle montagne sismicamente attive è controversa. Successivamente, Nehru sembrò disapprovare questi mega-progetti. Dopo l'inondazione nell'Uttarakhand nel 2013 che provocò la morte di 6.000 persone, il comitato nominato dalla Corte Suprema ha rivelato che le dighe idroelettriche hanno aggravato il disastro e ha messo in guardia dal costruire impianti in aree fragili e ad alta quota.
Per Vibhuti Garg dell'Istituto per l'economia energetica e l'analisi finanziaria con sede negli Stati Uniti, le autorità stanno "giocando con la natura più di quanto dovrebbero fare". "Non dovremmo essere molto, molto aggressivi e costruire così tanti impianti.
La quota di energia idroelettrica dell'India è scesa dal 23% nel 2000 al 12%, il prezzo di altre fonti energetiche, come l'energia solare, è in forte calo. I critici sostengono che ciò che continua a guidare la frenetica costruzione di impianti idroelettrici non è la sicurezza energetica, ma le entrate destinate ai governi locali e agli sviluppatori.
Anjal Prakash della Indian School of Business di Hyderabad dice che "Queste persone sono tra le più povere al mondo in termini di accesso alle infrastrutture... è necessario avere una scuola, un centro sanitario". "Dobbiamo chiudere quei progetti e riorientare, ripensare dove è indirizzato l'investimento".
Anche la costruzione di strade si è dimostrata controversa. L'India sta attualmente costruendo un progetto di 500 miglia noto come l'autostrada Char Dham, che collega diversi luoghi del pellegrinaggio indù nell' Uttarakhand.
Le autorità dicono che il progetto, che comporta l'allargamento delle strade strette di montagna a 10 metri, porterà pellegrini, turisti e benefici economici, e permetterà allo stesso tempo ai militari di accedere prontamente al confine tra India e Cina.
Ma Ravi Chopra, ambientalista che ha presieduto il comitato nominato dalla Corte Suprema per l'esame del progetto, dice che il taglio degli alberi richiesto aggrava il pericolo di frane che il progetto contraddice le linee guida precedenti del ministero sull'allargamento di queste strade di montagna.
Atul Sati, attivista politico e ambientale della città di Joshimath, situata vicino al luogo della tragedia del mese scorso, dice che i funzionari stanno imponendo alla regione un modello di sviluppo che non funziona.
"Abbiamo bisogno di buone strade. Non abbiamo bisogno di autostrade a due, tre, quattro o cinque corsie". "Ogni volta che un nuovo progetto idroelettrico è stato costruito, abbiamo alzato la voce per denunciare che il progetto non era sicuro. Non impariamo la lezione".
Le difficoltà della geopolitica
Migliaia di soldati cinesi e indiani si concentrarono lo scorso anno nei pressi dei laghi dalle acque blu cristalline di Ladakh, un deserto inospitale di alta montagna. La tensione sul confine che separa gli stati vicini possessori di armi nucleari ha scatenato scontri sanguinosi, tanto che uno dei comandanti indiani ha affermato che i paesi sono arrivati sull'orlo di una guerra. Alcuni confini più infiammabili della geopolitica passano lungo le montagne, che si estendono per 2.000 miglia tra l'India e la Cina, fino alla Linea di controllo che separa l'India e il Pakistan in kashmir.
Le relazioni tra questi paesi vicini sono piuttosto difficili, e gli scienziati temono che queste possano aumentare se la popolazione e la crescita economica, con il cambiamento climatico, accentuano la competizione per condividere le risorse dell'acqua dei fiumi dell'Himalaya.
"Una delle tragedie è stata che le questioni climatiche e ambientali sono state sempre più trascinate nella difficile geopolitica della regione", afferma Aditya Valiathan Pillai del Centre for Policy Research di Nuova Delhi. I paesi dovrebbero sviluppare "nel lungo termine una condotta, pragmatica e apolitica per la sopravvivenza della civiltà".
Spinta agli investimenti
Il governo indiano di Modi ha cercato di assumere un ruolo guida nella lotta contro il cambiamento climatico. Dovrebbe ambire all'obiettivo ambizioso di emissioni nette zero entro la metà del secolo. Inoltre, si presenta come il custode della ricca ecologia del paese. Ma gli attivisti temono che il governo stia adottando politiche aggressive e distruttive per l'ambiente per stimolare gli investimenti privati, attrarre le aziende straniere e portare l'India fuori dalla grave crisi economica causata dalla pandemia del coronavirus.
Queste politiche comportano la liberalizzazione di terre particolarmente sensibili e protette per l'uso industriale. Il governo ha svelato, lo scorso anno, la proposta di modifiche del processo di valutazione dell'impatto ambientale richiesto per i progetti infrastrutturali che riducono il ruolo del contributo di esperti pubblici e indipendenti.
Secondo gli oppositori questa erosione delle norme è accompagnata dal restringimento degli spazi per l'espressione del dissenso, che comprende le questioni ambientali.
Lo scorso mese, le autorità si sono attirate la condanna internazionale, dopo aver arrestato per sedizione Disha Ravi, 22 anni, attivista per il clima, parte del movimento Fridays for Future di Greta Thunberg, in relazione alle recenti proteste degli agricoltori.
In precedenza, "chiunque si opponeva ai progetti era etichettato come una persona contraria allo sviluppo", afferma Manshi Asher del collettivo ambientalista himalayano Himdhara. "Ma ora se dici qualcosa sei contro l'India".
Gli abitanti del villaggio Reni, traumatizzati dal loro dolore, hanno smesso di lottare per preservare il loro ambiente. La loro unica richiesta è quella di essere trasferiti per evitare che un nuovo disastro distrugga un’altra parte del villaggio.
"Non abbiamo mai voluto lasciare questo posto. Ma a causa della catastrofe non possiamo fare nulla", dice Bali Devi, una settantaduenne che faceva parte delle proteste di Chipko. "Qui può succedere di tutto. Non possiamo mai saperlo".
Per leggere l'articolo originale: Crisis in the Himalayas: climate change and unsustainable development
Gli attivisti del clima chiedono ai governi di smettere di fare “promesse vuote”
El Pais, 20 marzo 2021
I giovani attivisti contro il cambiamento climatico sono tornati ieri (19 marzo) ad organizzare la protesta, dopo più di due anni e mezzo da quando l’adolescente svedese, Greta Thunberg, diede avvio al movimento per denunciare l’inazione dei governi sul riscaldamento climatico globale.
Le manifestazioni organizzate in 700 città di 60 paesi sono state manifestazioni più simboliche che imponenti a causa della pandemia. Anche se il coronavirus ha paralizzato le azioni collettive, avviate in Spagna nel 2019, Marta Macias, del movimento Friday For Future, dice che le azioni continueranno: “Non ci fermeremo finché non saranno adottate delle misure”. “Basta con le promesse vuote” è stato lo slogan che ha caratterizzato la protesta, perché le proposte annunciate da molti governi sono state proposte prive di contenuti.
Nel rispetto del distanziamento fisico, circa 150 persone, secondo i dati della polizia, hanno partecipato ieri, a Madrid, ad un sit-in organizzato davanti alla Camera del Parlamento spagnolo. Nei loro striscioni si leggeva: “Un cambiamento senza precedenti richiede un’azione senza precedenti”. La mobilitazione degli attivisti si è tenuta mentre in Parlamento si sta discutendo la legge sul cambiamento climatico, che dovrebbe essere approvata ad aprile. Macias ritiene che la legge sia del tutto insufficiente e che ci sia bisogno di maggiore ambizione.
Lucia Torres, di 21 anni, che ha iniziato ad interessarsi del cambiamento climatico quando era al liceo ed ha partecipato a diverse proteste negli ultimi anni, ha detto davanti alla Camera: “E’ una lotta per la vita, perché riguarda tutti”. Il sit-in è stato organizzato dai giovani attivisti, ma i partecipanti appartenevano a tutte le fasce di età. Antonio Romero Perez, di 61 anni, ha partecipato alla manifestazione con sua figlia che lo ha fatto diventare più sensibile al problema della crisi climatica, anche se il tema è stato messo in secondo piano rispetto alla pandemia. Perez ha detto: “E’ chiaro che il problema del clima sta perdendo attrattiva”.
Proteste simili si sono ripetute per l’intera giornata in 60 paesi nel mondo, dall’India al Regno Unito, all’Uganda, al Giappone, al Messico, alla Russia e alle Filippine. In Spagna, oltre a Madrid, sono state organizzate iniziative a Barcellona, a Leon e a Siviglia.
Lo slogan sotto il quale sono state organizzate gli eventi è stato: “Basta promesse vuote”, con il quale si vuole sottolineare gli impegni insufficienti che molti paesi stanno proponendo. In occasione di queste proteste nelle città di tutto il mondo, lo scienziato ambientale dell’Imperial College di Londra, Joeri Rogelj, sostiene che la mancanza di ambizione porterà ad un innalzamento della temperatura mondiale di oltre tre gradi centigradi superiori ai livelli preindustriali, con conseguenze catastrofiche. Rogelj sostiene che il prossimo vertice delle Nazioni Unite sul clima, che si terrà a novembre a Glasgow, in Scozia, sarà importante, perché i paesi dovranno presentare nuovi impegni per ridurre le emissioni.
Lo scienziato dell’ambiente ha avvertito che ci sono stati sviluppi negativi dall’ultimo vertice di Madrid nel 2019, come il ritiro del Regno Unito dall’impegno ad aiutare i paesi svantaggiati nella lotta per un futuro de carbonizzato.
Per quanto riguarda l’impatto della pandemia sull’ambiente, l’attivista Macias non crede che il confinamento abbia cambiato molto le cose. Secondo Rogelj, il confinamento non è un modo per ridurre i livelli di inquinamento, la pandemia ha insegnato alle persone che è possibile realizzare un cambiamento rapido e duraturo nel tempo.
Per leggere l'articolo originale: Los activistas del clima piden a los gobiernos que dejen de hacer "promesas vacías"