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Le emissioni del C02 dei Paesi del G20 sono diminuite leggermente nel 2019, per prima volta in assenza di crisi esterne
Le Monde, 19 novembre 2020
Il calo del consumo di carbone e il ricorso crescente alle energie rinnovabili spiegano questo risultato positivo. Ma le grandi potenze continuano a sostenere ampiamente i combustibili fossili.
Cambiamenti positivi ma insufficienti
Sono diversi i fattori che spiegano la riduzione delle emissioni nel 2019, a iniziare dal basso consumo di carbone del 2%. 19 Paesi su 20 (a eccezione dell'Italia) hanno aumentato la quota di energia rinnovabile, che rappresenta il 27% della produzione di energia elettrica e che dovrebbe raggiungere il 28% nel 2020. La crescita delle emissioni è rallentata nel settore edile e le emissioni hanno registrato una leggera flessione nel settore agricolo.
“Sono cambiamenti positivi, ma insufficienti”, osserva Deborah Ramalope, responsabile delle politiche climatiche presso Climate Analytics, un gruppo con sede a Berlino, che ha contribuito alla stesura del rapporto. Soltanto cinque Paesi del G20 (Germania, Canada, Francia, Italia e Regno Unito) hanno fissato date entro le quali devono eliminare l'uso del carbone, mentre il Brasile, la Cina e l'Unione europea hanno adottato politiche per ridurne il consumo, ma molti Paesi del G20 stanno ancora investendo in questa energia.
Nel 2019, i combustibili fossili rappresentano ancora l'82% della produzione di energia primaria, poiché il calo del carbone è stato compensato dall'aumento del consumo del petrolio (+1%) e del gas (+3%). Inoltre, le emissioni sono aumentate in tre settori che vanno a rilento: trasporti (+1,5% nel 2019), edilizia (+ 0,9%) e industria (+1,2%).
Sistema per la tariffazione del carbonio
Sul piano della fiscalità, diciotto paesi del G20 stanno per mettere in atto sistemi per la tariffazione del carbonio (l'Australia e l'India sono un'eccezione), “ma il prezzo del carbonio è troppo basso per rispettare l'accordo di Parigi), osserva Angela Piacciarielo, ricercatrice del think tank dell'Overseas Development Institute di Londra. I paesi del G20 hanno concesso sussidi per 130 miliardi di dollari (110 miliardi di euro) ai combustibili fossili nel 2019, rispetto ai 117 miliardi di dollari del 2018, nonostante gli impegni politici volti a limitare questi aiuti. La Francia è il quinto paese a finanziare la maggior parte dei combustibili fossili. Tredici paesi del G20 hanno adottato politiche volte a limitare parzialmente o totalmente il finanziamento del carbone (a eccezione della Cina, dell'India, dell'Indonesia, della Russia e del Sudafrica), ma diciassette paesi membri non impongono alcuna restrizione al finanziamento del petrolio e del gas.
Questa tendenza sta peggiorando con la pandemia del Covid-19. Mentre le principali economie mondiali stanno destinando migliaia di miliardi di dollari ai piani di stimolo, una parte importante è destinata ai combustibili fossili senza che vi siano condizioni legate al rispetto del clima, questo, sottolinea il rapporto, “rischia di compromettere le prospettive di sviluppo dell'energia pulita nel prossimo decennio”. Secondo le stime realizzate dagli autori del rapporto, il 54% dell’importo dei piani di stimolo destinato all’energia è andato ai combustibili fossili, l'86% dei quali non è sottoposto a condizioni di natura ambientale.
Il rapporto mostra che solo quattro Paesi del G20 hanno dato maggiore sostegno ai settori verdi che non ai combustibili fossili, tra cui la Francia, il cui piano di rilancio destina 30 dei 100 miliardi alla transizione energetica. Clément Sénéchal, responsabile della campagna per la politica climatica di Greenpeace Francia, che non ha partecipato al rapporto, ha affermato: “Non c'è nessuna condizionalità al rispetto dell'ambiente nel bilancio del 2021 e nessun obiettivo di ridurre le emissioni per azienda o per settore”.
Bilancio mediocre in Francia
Questo rapporto “infrange il mito della Francia come campione internazionale del clima, che il governo dice di essere”. La classifica fatta da Climate Transparency fa in realtà un bilancio mediocre sulla Francia. Nel 2019, la Francia è rimasta indietro rispetto alla media dei paesi del G20 relativamente alla quota di energie rinnovabili nella produzione di elettricità o nelle emissioni dei trasporti.
Ha fatto meglio della media dei Paesi del G20 rispetto alle emissioni nel settore edile. Presenta le emissioni di C02 più basse per KWh nel settore energetico ed è il secondo Paese a emettere meno tonnellate di C02 per unità di Pil nell’industria.
Tuttavia, il rapporto cita l'Alto Consiglio per il Clima, secondo cui le emissioni di carbonio della Francia nei quattro principali settori responsabili delle emissioni, trasporti, agricoltura, edilizia e industria, non stanno diminuendo abbastanza velocemente da raggiungere gli obiettivi che la Francia si è prefissata. Di conseguenza, le emissioni nazionali sono diminuite dello 0,9% nel 2019, mentre si dovrebbe ottenere una riduzione annua dell'1,5%, e del 3,2% a partire dal 2025.
Secondo gli esperti di Climate Transparency, il fatto che la Cina, Giappone, Corea del Sud e Sudafrica annuncino obiettivi a zero emissioni di carbonio entro la metà del secolo, unendosi all'Unione Europea e al Regno Unito, "la dinamica a favore degli obiettivi più rigorosi in materia di clima sta crescendo tra i maggiori emettitori del mondo. Tuttavia, il contesto politico e gli investimenti a breve termine non sono ancora compatibili con i piani a lungo termine".
"Ci troviamo a un bivio: una strada porta alla crisi climatica con ondate di caldo estremo, incendi e inondazioni che colpiscono sempre più i paesi del G20, l'altra a un futuro resiliente, sostenibile e inclusivo per tutti. I capi di Stato e di governo del G20 devono ribadire il loro impegno a seguire la giusta strada", aggiunge Laurence Tubiana, direttore della Fondazione europea per il clima e artefice dell’accordo di Parigi. Gli esperti di Climate Transparency chiedono che i piani di stimolo siano reindirizzati verso le infrastrutture sostenibili, che gli aiuti pubblici siano accompagnati da condizionalità in materia ambientale e che le politiche e gli incentivi (sussidi, agevolazioni fiscali) siano rafforzati per sostenere una transizione sostenibile. Inoltre, esortano i Paesi ad aumentare i loro obiettivi climatici prima della prossima Conferenza mondiale sul clima (COP26), che si terrà a Glasgow nel novembre 2021.
Per leggere l'articolo originale: Les émissions de CO2 des pays du G20 ont légèrement baissé en 2019, une première en l’absence de choc externe
10.000 manifestanti marciano per la democrazia verso il quartiere generale della polizia thailandese
The Guardian, 18 novembre 2020
L’edificio è stato ricoperto di vernice con pistole ad acqua in segno di protesta contro l’uso della polizia di gas lacrimogeni e idranti.
Per leggere l'articolo originale: 10,000 pro-democracy protesters march on Thai police HQ
I rifugiati etiopi si riversano a decine di migliaia nei campi improvvisati in Sudan
Le Monde, 18 novembre 2020
Con l'escalation del conflitto nella regione del Tigré in Etiopia, i residenti fuggono nel vicino Sudan.
"Sono scappato con la mano insanguinata"
I rifugiati qui sono in gran parte tigrini. Affermano di essere stati presi in ostaggio tra l'esercito federale etiope a sud e le forze eritree a nord. “Anche le milizie Amhara della regione di confine ci hanno perseguitato. Approfittano del nostro esilio per appropriarsi della nostra terra e rubare i nostri raccolti ”, accusa Aragawi Hagos, 45 anni, ferito alla testa, racconta il suo arrivo a Mai-Kadra, una città di confine dove, secondo Amnesty International, sono stati massacrati dozzine di civili. Al momento non è dato sapere a chi attribuire la responsabilità. Il rifugiato ricorda che “ci sono stati scontri tra gruppi di giovani, alcuni armati di machete, bastoni o pietre. Non erano i soldati a combattere. Era impossibile sapere chi stava colpendo chi. Sono stato picchiato duramente, poi la gente è intervenuta”.
Sono presenti anche nel campo di El Hashaba alcuni Amharas. Si sono messi in disparte, a una buona distanza dagli altri rifugiati. Pochi hanno il coraggio di testimoniare, per paura di rappresaglie. Descrivono le stesse persecuzioni dei loro vicini del Tigré. Molti dicono di aver visto cadaveri lungo i bordi della strada mentre fuggivano.
Di fronte a un ambulatorio improvvisato, Hailay Weldegebriel, 18 anni, racconta di essere venuto a El Hashaba da solo, non avendo avuto modo di raggiungere la sua famiglia. Nella regione del Tigré, tutte le comunicazioni sono state interrotte dall'inizio dell'offensiva dalle forze federali. La sua maglietta è macchiata di sangue. Ha perso due dita della mano sinistra in un'esplosione di granate mentre stava pascolando il gregge. "Sono scappato con la mano insanguinata", dice. Sono svenuto prima di arrivare qui. I soldati sudanesi mi hanno fatto rinvenire, ero privo di sensi. Il dolore è ancora acuto.”
Il dottor Darielo, di guardia all'ospedale Humera quando la città etiope era stata assediata, è arrivato per cambiare la fasciatura del giovane e dice: “All'inizio gli scontri erano in periferia, tra le forze del Tigré e il governo. Poi l'esercito ha preso di mira direttamente la città, uccidendo civili per strada. Molti feriti si sono riversati in ospedale prima che quest'ultimo fosse colpito dal fuoco dell'artiglieria. "
"Dove sta guardando il resto del mondo?"
Più avanti nel campo, una fila si allunga davanti a un ufficio improvvisato allestito dall'Unhcr. I volontari identificano i nuovi arrivati. Alcuni sfollati occupano piccole case dove, a volte, si ammassano fino a cinque famiglie. Altri dormono per terra, all'ombra del loro trattore, di un carro o di una capanna di paglia.
L'esercito sudanese effettua distribuzioni occasionali di cibo che si trasformano in una rissa. “Non abbiamo niente qui, la gente ha fame, stiamo lottando per i pacchetti di dolci. Dov'è l'aiuto umanitario? Dove sta guardando il resto del mondo? Nessuno sta facendo nulla per fermare questa guerra”, si è infuriato Mekonen Abraha, un contadino di 45 anni.
Secondo l'Unhcr, la metà dei rifugiati sono bambini. Le condizioni igieniche sono precarie, i medicinali scarseggiano. La scorsa notte una donna ha partorito. Tiene il neonato tra le braccia. Accanto a lui, Aghaza Tigraya, di appena 18 anni, è incinta di nove mesi. Ha camminato per cinque giorni consecutivi ed è preoccupata per il suo bambino perché non lo sente muoversi. Non ha ancora trovato abbastanza acqua per lavarsi. Alcuni trattori vanno avanti e indietro verso il fiume, ma i serbatoi si svuotano in un'ora.
Le autorità sudanesi hanno deciso di riaprire un campo a 72 chilometri a sud, nel villaggio di Oum Rakuba, per far fronte all'afflusso di profughi. Il villaggio, chiuso vent'anni fa, era il luogo di rifugio per molti etiopi in fuga dalla carestia a metà degli anni Ottanta. La Mezzaluna rossa sudanese ha lavorato duramente per diversi giorni per prepararsi all'arrivo degli sfollati in questo territorio immenso dove manca l'ombra. È stato allestito un ambulatorio e l'Unicef ha introdotto serbatoi dell'acqua. Sabato 14 novembre, nonostante la mancanza di infrastrutture, sono state trasferite poco più di 1.000 persone a Oum Rakuba. Una volta costruite le baracche e resa operativa la rete di canalizzazione, le autorità locali sperano di poter accogliere fino a 24.000 sfollati. I rifugiati non sanno quanto durerà il loro esilio.
Per leggere l'articolo originale: Les réfugiés éthiopiens affluent par dizaines de milliers dans des camps de fortune au Soudan
Il nuovo ordine mondiale che il presidente Biden erediterà
The New York Times, 16 novembre 2020
L'importanza della visione, della competenza, dell'onestà e della semplice decenza nella gestione degli affari mondiali non sarà mai sottolineata abbastanza.
Per leggere l'articolo originale: The New World Order That President Biden Will Inherit
Il caos delle elezioni negli Stati Uniti è una manna per i nemici della democrazia in tutto il mondo
The Guardian, 15 novembre 2020
Mentre democratici e repubblicani litigano a Washington, l'ingiustizia e la violenza regnano dalla Palestina al Mozambico.
Per leggere l'articolo originale: US poll chaos is a boon for the enemies of democracy the whole world over