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“Lunga vita al Partito Comunista e ai partigiani, combattete, gente, per la vostra libertà! Non vi arrendete ai malfattori! Sarò uccisa, ma c’è chi mi vendicherà!”. Lepa Radić lo urla forte. È sul patibolo. Il cappio al collo. Ha 17 anni ma già da due lotta contro fascisti e nazisti che hanno invaso la sua Jugoslavia. Le danno un’ultima possibilità di salvezza: denunciare i compagni, svelarne i nomi. Lei risponde: “Non sono una traditrice del popolo. Li scoprirete quando riusciranno a spazzare via tutti voi, fino all’ultimo uomo”.
Lepa Radić nasce il 19 dicembre 1925 nel villaggio di Gasnica vicino a Bosanska Gradiška. Nel novembre del 1941 viene arrestata insieme ad altri membri della sua famiglia dall’organizzazione fascista croata Ustascia, ma con l’aiuto di alcuni partigiani riesce a fuggire dal carcere insieme a sua sorella Dara. Subito dopo la fuga decide di arruolarsi nella 7ª compagnia, 2° Distacco Krajiski.
Nel febbraio del 1943 durante i combattimenti contro la 7. SS-Freiwilligen-Gebirgs-Division ‘Prinz Eugen’ viene catturata e trasferita a Bosanska Krupa dove, dopo aver subito torture per diversi giorni, viene condannata a morte per impiccagione.
Viene fatta salire su una cassa di legno che serve da patibolo. Ha le mani legate dietro la schiena, veste degli abiti scuri, troppo grandi per il suo corpo minuto. Resisterà al dolore, alla paura, alla certezza della morte. Sarà giustiziata pubblicamente a soli 17 anni. Le foto che ritraggono i suoi ultimi istanti passeranno alla storia. Un soldato le stringe il cappio di fil di ferro al collo. Altri soldati passano e osservano. Lepa penzola ormai morta. Diventerà un’eroina nazionale, ricevendo l’Ordine dell’Eroe popolare il 20 dicembre 1951. La più giovane della storia.