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La guerra deprime le Borse europee (non quelle Usa), ma spinge i titoli legati all’energia fossile e alle industrie che producono armamenti. Una sorta di brutto ritorno al passato, insomma. Nei giorni scorsi le principali Borse europee, e quella italiana in particolare, hanno reagito direttamente agli annunci della Germania sul riarmo. Sono state sufficienti le poche parole usate dal cancelliere tedesco Olaf Scholz (“Viviamo una svolta epocale. Il mondo non è più quello di prima. È chiaro che dobbiamo investire molto di più nella sicurezza del nostro Paese”) per far lievitare i titoli dei principali gruppi industriali.
Piazza Affari ha registrato in questi giorni una crescita continua di Leonardo e Fincantieri, che sono anche entrate in asta di volatilità per eccesso di rialzo (più. 14,22% e più 11,84%). Andamento simile per Thales a Parigi, con le azioni che sfiorano il +13% attestandosi a 103,90 euro, e Rheinmetall a Francoforte: le azioni salgono del 31,4%, a 140,65 euro, dopo aver toccato un massimo di 160 euro. Secondo alcuni osservatori, Leonardo “’ha un’esposizione diretta modesta alla Germania, principalmente attraverso il 25% detenuto in Hendsoldt”, ma “alla luce dell’attuale contesto” ci si aspetta che “la posizione presa dalla Germania possa essere seguita da altri annunci di aumento delle spese militari da parte di paesi occidentali”. A livello globale sono però le aziende americane in vetta alle classifiche. Al top c’è una vecchia conoscenza: la Lockheed Martin.
Listini da "guerra fredda"
“Temo che dovremmo abituarci a uno scenario da Guerra Fredda nel medio periodo. Per questo è fondamentale valutare le risposte della Ue nei prossimi due mesi, ma certamente qualcosa è già cambiato”. Lo dice il segretario confederale della Cgil Emilio Miceli, che ragiona sulle Borse che stanno premiando “le aziende che operano nella Difesa e un modello d'industria che pensavamo di aver messo alle nostre spalle come quello dell’energia fossile”. In questo senso appare anche chiara la necessità di sconfiggere la Russia che sta sconvolgendo gli equilibri geopolitici.
Ma la guerra sta condizionando tutti i mercati finanziari. Sul Sole 24 ore di sabato 12 novembre abbiamo letto delle grandi banche d'affari, hedge fund specializzati sulle commodity, e delle principali major mondiali, che stanno macinando miliardi di profitti anche grazie alle differenze di prezzo sull'approvvigionamento di materie prime. E ora queste grandi manovre finanziarie si ripercuotono sulle economie e sui comportamenti. “Avanza l’economia di guerra – spiega ancora Miceli –, c’è paura e cominciano gli ‘assalti’ ai supermercati, mentre scarseggiano le materie prime, aumentano i costi e questo mette a nudo le nostre debolezze. Ci siamo infatti affidati ai russi per l’approvvigionamento energetico e oggi siamo il Paese più esposto su questo terreno”.
Non basta colpire gli oligarchi
L’attenzione mediatica non si è però concentrata finora su questi fenomeni e queste tendenze, ma ha dato più spazio alla caccia all’oligarca russo miliardario. “Mentre le Borse premiano come è consuetudine in tempo di guerra i titoli dell’industria bellica, l’opinione pubblica si scatena giustamente contro gli oligarchi. Ma come è stato possibile che si sia dato loro così spazio?” Se lo chiede Alessandro Messina, esperto di mercati finanziari ed ex direttore generale di Banca Etica, l’istituto finanziario che scommette proprio sugli investimenti di pace. “In realtà – spiega Messina – gli oligarchi fino a poco tempo prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sono stati coccolati dalla finanza mondiale e sono state aperte per loro le porte dei vari paradisi fiscali. Anche le banche europee hanno fatto finta di non vedere. Oggi gli stessi che hanno aiutato Putin e gli oligarchi ad accumulare ricchezze si augurano una sorta di colpo di Stato da parte dei supericchi”.
Per Alessandro Messina, come per molti osservatori che credono nella scelta di una finanza etica e sostenibile, le vicende che stiamo vivendo ci dovranno aiutare a riflettere sul funzionamento generale dei mercati. E intanto si dovranno prendere provvedimenti per evitare la crisi energetica generalizzata.
Energia, quello che possiamo fare subito
“Abbiamo bisogno di volgere lo sguardo al prossimo inverno – riprende Miceli – ma anche oltre. Per l’immediato non ci sono alternative alla diversificazione degli acquisti di gas, all’aumento di quel poco di produzione nazionale che possiamo riattivare, all’impulso da dare ai biocarburanti e alla strutturazione d'importanti punti di stoccaggio del gas in Europa e nel nostro Paese”. Più in generale dobbiamo rilanciare una cornice strategica in cui è più forte l’impulso di un balzo in avanti delle energie rinnovabili.
“Bisogna avere l’intelligenza – dice il sindacalista – di coniugare il presente e il futuro”. Nel frattempo è necessario vigilare sui processi speculativi e su quei soggetti che rivalutano i propri depositi di carburanti in termini di valore approfittando dell’alto livello dei prezzi. “È inaccettabile – conclude il segretario confederale della Cgil – che di fronte a una tragedia di queste dimensioni si guardi ai profitti e non alle persone. Uno degli effetti della guerra è anche il fatto che vengono colpite tutte le filiere industriali energivore. Come vediamo dagli andamenti di Borsa si rischia di valorizzare l’industria degli armamenti e non quelle che producono modernizzazione. Noi abbiamo bisogno invece di pace e di una economia di pace”.
Fondi pensione, evitare il panico
La preoccupazione e il timore per il futuro non circola intanto solo nei supermercati. Anche i gestori che si occupano del risparmio previdenziale con i Fondi pensione cominciano a fare analisi per le scelte d'investimento. Per Salvatore Casabona, Cgil, segretario di Assofondopensioni, il rischio più grande che stiamo correndo è quello dei condizionamenti incrociati dell’inflazione e degli effetti devastanti della guerra. “C’è il rischio che il grande sforzo verso la transizione venga rimesso in discussione – spiega –, perché oltre agli inquinamenti territoriali la guerra rischia di rallentare il passaggio a un’economia ecosostenibile”.
Per quanto riguarda in particolare il sistema dei Fondi pensione (che ha retto due anni di pandemia), per il segretario di Assofondopensioni si tratta prima di tutto di evitare il panico. Il sistema è forte e ben strutturato e quindi sarebbe un errore da parte dei lavoratori che aderiscono ai singoli Fondi di decidere in questo momento di riscattare le risorse accumulate per la pensione. E questo è un discorso che riguarda sia i Fondi che investono nei comparti prudenti sia in quelli nei comparti più dinamici e quindi tendenzialmente più esposti alle oscillazioni di mercato. La parola d’ordine dei gestori, per ora, è “evitare il panico”.