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Mentre nell’Ue si discute di regolamentare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, in Texas il procuratore generale Paxton ha intentato una causa contro Meta Platform, la nuova società di Facebook. L’accusa è mossa contro la presunta raccolta di dati biometrici effettuata senza il consenso degli interessati. L’impianto dell’accusa parte infatti dall’assunto che Meta/Facebook, avrebbe violato la legge statale sui dati, che difende la privacy dei consumatori, utilizzando la tecnologia per il riconoscimento facciale. Una legge che, soprattutto, vieta la commercializzazione dei dati e delle relative informazioni all'insaputa dell'utente.
La causa dunque riveste un particolare interesse, perché promossa negli Usa che hanno una regolamentazione della protezione dei dati frammentata e diversa da quella Europea, ma si stanno muovendo, dopo l’entrata in vigore del Gdpr, con atti più simili alla regolamentazione europea. La California, ad esempio, è stato la prima a promulgare il California Consumer Privacy Act, una legge in vigore dal 1/1/2020, che tutela la privacy e protegge i consumatori rispetto a imprese che effettuino operazioni sui loro dati.
Tornando al Procuratore del Texas, Paxton ha mosso accuse a Meta anche in merito alla condivisione dei dati, avvenuta sempre senza consapevolezza degli interessati, con terze parti e contesta come il tempo di conservazione dei dati stessi sia stato irragionevolmente protratto. Noi sappiamo benissimo che qualsiasi social ha accesso a milioni di dati personali ma fa comunque specie leggere, nella motivazione della causa in oggetto, come Facebook abbia di fatto archiviato "milioni di dati biometrici": quelli che sono di fatto contenuti nei video e nelle foto che ciascuno posta regolarmente sui social.
Si legge nella causa che "Facebook ha sfruttato le informazioni personali di utenti e non utenti allo stesso modo per far crescere il suo impero e realizzare profitti straordinariamente storici, e lo avrebbe fatto miliardi di volte, in flagrante violazione del Texas Data Act e delle pratiche commerciali ingannevoli.” Si tratta di una class action, insomma, che vede il Procuratore generale tentare di tutelare i quasi 20 milioni di texani che utilizzano Facebook/Meta.
È bene ricordare che Facebook aveva già dovuto pagare cifre importanti per una causa analoga intentata in Illinois e che, da Novembre scorso, ha smesso di usare il riconoscimento facciale. Nel contempo il procuratore generale di Washington chiama nuovamente in causa Google sia per la raccolta dei dati personali degli utenti effettuata tramite gli smartphone Android sia per l’utilizzo di questi dati. Nell’incipit la Corte contesta a Google “L'uso da parte dell'azienda di pratiche ingannevoli e sleali per ottenere preziosi dati di localizzazione dei consumatori, in violazione delle procedure di protezione dei consumatori del Distretto”.
Tema già posto nel 2020 dal procuratore dell’Arizona che sosteneva come “quando i consumatori cercano di disattivare la raccolta dei dati sulla pozione effettuata da Google, l'azienda continua a trovare modi fuorvianti per ottenere le informazioni e utilizzarle a scopo di profitto” ma anche, sempre nel 2020, dall’Austria ancora sul tema del tracciamento involontario degli utenti che utilizzano il sistema Android. Al centro del contenzioso il cd "tracking Id", che la denuncia sosteneva essere creato automaticamente e con impossibilità di disattivazione.
A distanza di due anni dunque il Procuratore di Washington sostiene ancora che “almeno dal 2014, Google ha ingannato i consumatori su come la loro posizione sia tracciata e utilizzata dalla società e sulla capacità dei consumatori di proteggere la loro privacy... In realtà, i consumatori che utilizzano i prodotti Google non possono impedire a Google di raccogliere, memorizzare e trarre profitto dalla loro posizione".
Nello specifico Google parrebbe utilizzare i dati per vendere agli inserzionisti pubblicità mirata e targettizzata. Ovviamente non sappiamo che esito avranno queste cause, ma ne riportiamo notizia perché è bene continuare a tenere alta l’attenzione sul tema della cessione inconsapevole dei dati ad ogni utilizzo di social, motori di ricerca, applicazioni. A maggior ragione in questa fase di continua implementazione tecnologica che deve, appunto, mettere al centro il tema dei dati, del loro utilizzo, della governance dei dati pubblici, della loro tutela; oltre alle giuste regolamentazioni in materia di tutela del diritto alla privacy e alla trasparenza, bisogna di certo promuovere una cultura diffusa del dato e della sua tutela.
(Cinzia Maiolini, responsabile Ufficio lavoro 4.0 Cgil nazionale)