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Gli Stati Uniti fanno i conti con un presidente malato di Covid 19, quel Donald Trump prima negazionista, poi sempre riluttante a indossare le mascherine fino a farle diventare un simbolo di appartenenza politica. Giornali e reti tv si affannano a immortalarlo mentre sale in elicottero diretto verso l’ospedale per il ricovero e a tracciare i contatti più recenti che lo legano a gran parte dell’establishment repubblicano e fanno della Casa Bianca un palazzo off limits. Ci si interroga sugli effetti che la notizia avrà sulla campagna per le presidenziali, sulle eventuali ripercussioni in caso di un aggravamento della malattia e persino su un ipotetico vuoto di potere. Il tutto mentre ormai da mesi i numeri del contagio e delle sue vittime sono in salita.
Dallo scorso marzo oltre 7 milioni e 300 mila americani si sono ammalati e i morti sfiorano le 210 mila unità. Nei numerosi messaggi di pronta guarigione – da Barack Obama a Bernie Sanders fino allo sfidante Joe Biden – i leader del Partito democratico ricordano tra le righe gli errori compiuti dall’amministrazione repubblicana. Lo fanno, come si conviene in questi casi, dimostrando vicinanza alla famiglia presidenziale ma anche agli americani colpiti dal virus perché, sottolineano, la salute deve essere un diritto per tutti. Non edulcora nulla invece l’ex ministro del Lavoro Robert Reich per il quale l’inquilino della Casa Bianca ha deliberatamente ignorato quello che stava accadendo mettendo a rischio non tanto se stesso quanto l’intera popolazione statunitense e così, nel giorno in cui tutti parlano di Trump e Melania, la notizia è un’altra. I veri malati di cui parlare sono altri.
Sono i quasi 20.000 lavoratori del colosso Amazon risultati positivi. La multinazionale guidata da Jeff Bezos per mesi ha rifiutato di condividere con l’opinione pubblica i dati del contagio all’interno dei suoi stabilimenti, preferendo – ricorda lo stesso Reich – “rifiutarsi di pagare le assenze per malattia, ridurre la misera paga di due euro l’ora per i magazzinieri a giugno e ancora licenziare o minacciare ritorsioni contro quegli addetti che avevano osato denunciare le scarse condizioni di sicurezza” Tutto questo in nome di profitti da record capaci di arricchire in un solo giorno le casse multimilionarie della proprietà di 13 miliardi di dollari lasciando invece gli operai a rischiare in prima linea, come hanno fatto quei 20.000 ammalati che ora scopriamo essere finiti nell’ingranaggio del capitalismo digitale.
Intanto arrivano anche le statistiche sul mercato del lavoro di settembre. Sale del 36% il numero degli americani classificati come permanentemente disoccupati; crescono le diseguaglianze e pesano le discriminazioni: 617.000 donne sono rimaste senza impiego probabilmente a causa delle difficoltà nel conciliare gli impegni professionali e le esigenze di cura familiare, il tasso di disoccupazione tra asiatici, neri e ispanici resta più alto della media. Da due mesi l’estensione dell’assegno di disoccupazione a 600 dollari a settimana è scaduta e non c’è traccia di un accordo nel Congresso per misure che possano alleviare le difficoltà dei lavoratori. Infine, solo questa settimana due giganti dell'economia a stelle e strisce hanno annunciato licenziamenti di massa: Disneyland e American Airlines. Pare che sì, gli Stati Uniti abbiano un problema, ma non è certo la malattia di Trump. Se non riesce a dirlo nessuno, diciamolo almeno noi: "Workers' lives matter".