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Si avvicina a quota 100 mila il numero dei migranti sbarcati in Italia dall'inizio dell'anno. 93.685 dal primo gennaio al 7 agosto, per l’esattezza, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2022. Un flusso costante confermato anche dagli arrivi degli ultimi giorni: a luglio si sono registrati 23.639 sbarchi, nei primi sette giorni di agosto sono stati 4.527, quasi 450 persone in media al giorno.
I dati resi noti dal ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, ci dicono che nulla è cambiato a quasi tre settimane dalla firma dell’accordo Europa-Tunisia, il “Protocollo d'intesa su un partenariato strategico e globale” sottoscritto il 16 luglio dopo venti giorni di negoziati, dalla presidente del Consiglio Meloni, il collega olandese Rutte e la presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen con il presidente tunisino Kais Saied.
Giudizio negativo
Un memorandum che ha sollevato le preoccupazioni degli attivisti per i diritti umani e delle organizzazioni non governative e che la Cgil giudica negativamente.
“L’obiettivo dichiarato più volte nel testo e nelle affermazioni della presidente della Commissione europea è di combattere il traffico illegale di persone, non quello di eliminare le cause delle migrazioni forzate – si legge in una nota dell’area Politiche europee e internazionali della Cgil -, e non quello di costruire canali di migrazione legale e di investire nello sviluppo locale con priorità alle zone maggiormente povere. Si vuole attrezzare la guardia costiera per reprimere le partenze, accordando, per chi riuscisse ad attraversare il Mediterraneo, la piena collaborazione per accettare i rimpatri”.
Esternalizzazione delle frontiere
Se si entra nel dettaglio, infatti, si scopre che il testo è molto generico: parla di “una cooperazione economica e commerciale”, di “un approccio olistico alla migrazione” e di “porre rimedio alle cause profonde dell’immigrazione irregolare”. Di fatto, l’Unione europea si impegna a fornire un sostegno finanziario a Tunisi per fermare la partenza dei migranti economici, richiedenti asilo, donne, minori, e così via, in cambio di cooperazione economica e di finanziamento degli apparati di polizia marittima.
“L’accordo rappresenta ancora una volta l’impostazione di esternalizzazione delle frontiere, che non condividiamo – afferma la confederazione -. Riteniamo che vada chiarito il ruolo della marina militare, della guardia di finanza e delle capitanerie di porto. Non è comprensibile se il loro ambito d'intervento resti quello, già fortemente critico, di Frontex o se il controllo delle frontiere preveda un diverso impegno delle nostre forze armate quali, per esempio, una maggiore presenza nelle attività di blocco delle partenze, vero obiettivo del memorandum”.
Paese in crisi democratica
La Tunisia sta vivendo una profonda crisi democratica, il presidente Saied ha accentrato tutti i poteri, legislativo e di controllo della magistratura, mentre il ruolo del dialogo sociale e del sindacato sono messi in discussione con arresti, intimidazioni e repressione, il dissenso e la protesta sono criminalizzati, il nazionalismo e il razzismo dilagano.
“La società civile che denuncia il trasferimento forzato nel deserto tra Libia e Algeria degli immigrati dell’Africa sub-sahariana, è additata come nemica della nazione, al soldo di interessi stranieri – spiega il report della Cgil -. Povertà, insicurezza alimentare, disoccupazione e inflazione aumentano e le casse dello stato sono vuote, a rischio fallimento se non si accettano le condizioni, cioè riforme strutturali per contenere il debito pubblico considerato insostenibile, del Fondo monetario internazionale”.
Specchi per le allodole?
L’accordo Ue-Tunisia contiene anche degli aspetti positivi, in particolare per la parte economica, che riguarda settori come l’agricoltura, l’economia circolare, la transizione digitale, il trasporto aereo e gli investimenti. “Sugli investimenti auspichiamo che gli obiettivi dichiarati di lotta contro la povertà, la disoccupazione e l’esclusione sociale siano davvero perseguiti e non rappresentino un mero specchio per le allodole – prosegue la nota della confederazione -. Chiediamo al governo italiano condizionalità sociali in cambio di investimenti: tavoli di contrattazione, riconoscimento e rispetto delle parti sociali (imprese e sindacato), coinvolgimento nell’individuazione dei settori target e beneficiari diretti e indiretti”.
Governance partecipata
Anche sulla transizione energetica verde l’accordo presenta elementi positivi ma è lontana dal rappresentare un rapporto di partenariato fra eguali, ricalcando ancora la logica del donatore e percettore di fondi.
“Rivendichiamo che lo sviluppo del partenariato sia accompagnato da una governance partecipata che garantisca ricadute positive anche per la popolazione – dice la Cgil -, in termini di autodeterminazione, giustizia sociale e climatica, rispetto dei diritti umani, piena occupazione. Per quanto riguarda il sostegno dell’Italia per il raggiungimento degli obiettivi di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, anche questo processo dovrà avere una governance partecipata. Abbiamo però dubbi sulle capacità del governo italiano di poter offrire un contributo a un altro Paese, considerata l’incapacità di realizzare questi obiettivi in Italia”.
“Non vi è nessun riferimento alla partecipazione delle parti sociali, della società civile nella gestione e nel monitoraggio di quanto è scritto nell’accordo – conclude la nota -. L'Unione europea avrebbe dovuto imporre condizionalità civili, sociali e di rispetto e ristabilimento dello stato diritto che invece non sono in alcun modo presenti in questo accordo”.