Alberto è stato fermato a un posto di blocco in Venezuela il 15 novembre scorso, imprigionato e tenuto in totale isolamento. Senza contatti con la famiglia, avvocati, rappresentanti consolari. Dopo più di tre mesi, nessuno sa in che condizioni di detenzione si trovi, se è in salute. Un mese fa è stata fornita una prova che è vivo, è in condizioni discrete in un carcere di Caracas e che gli viene dato il farmaco di cui ha bisogno.

Alberto Trentini è un cooperante di 45 anni, veneziano, operatore umanitario in missione con la francese Humanity and Inclusion, Ong che si occupa di dare assistenza a persone disabili, e da ottobre era in Venezuela. Perché sia stato arrestato non si sa. Non sono mai state formalizzate accuse, le autorità non hanno mai spiegato il fermo e la detenzione.

Una petizione

Per la sua liberazione l’Italia si sta mobilitando. Dopo Giulio Regeni, dopo Patrick Zaki, dopo Ilaria Salis, dopo Cecilia Sala, la vicenda di Alberto sta uscendo dall’anonimato per diventare un caso nazionale. È stata lanciata una petizione su Change.org che chiede il suo rilascio immediato e la piena tutela dei diritti fondamentali, di assicurare regolare assistenza consolare, legale e medica, di permettere contatti regolari con i familiari e gli avvocati: più di 76 mila le firme raccolte fino a oggi.

Muro della speranza

È stata lanciata l’iniziativa Alberto Wall of hope, un selfie scattato per testimoniare la vicinanza alla causa e costruire, appunto, un muro della speranza: centinaia le persone che da Nord a Sud della Penisola si sono fotografate, compresi i genitori di Giulio Regeni, Paola e Claudio, che conoscono bene l’angoscia e il dolore per aver perso un figlio in terra straniera in circostanze mai chiarite. E si sono mosse anche le prime amministrazioni comunali, esponendo lo striscione sulla facciata comunale o nella sala consiliare.

Speranza trattativa

“Di Alberto non sappiamo ancora nulla – spiega Silvia Stilli, presidente dell’Aoi, associazione delle Ong italiane -, non sappiamo quale sia l’accusa, non sappiamo in quale carcere sia detenuto. Come organizzazione parliamo con l’avvocata Alessandra Ballerini, la stessa di Giulio Regeni, la quale ha contatti diretti con il ministero degli Affari esteri e certamente avrà dettagli che non conosciamo. Quello che auspichiamo è che sia in corso una trattativa. Ma il fatto che sua madre non riesca a parlare con la presidente del Consiglio Meloni ci preoccupa. Alberto ha gli stessi diritti degli altri e l’Italia si deve muovere per la sua liberazione come è stato fatto in altre situazioni”.

Presidente illegittimo

Muoversi in Venezuela sul piano diplomatico non è sicuramente operazione agevole. A capo del Paese c’è Nicolás Maduro, che per l’Unione europea “non ha la legittimità di un presidente democraticamente eletto”: la sua rielezione di luglio scorso non è stata riconosciuta da diversi Paesi, Italia compresa, per sospetti brogli elettorali. Proprio per questo agire per la liberazione di Alberto è fondamentale.

Appello a Meloni

"Abbiamo scritto anche alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per chiederle di percorrere tutte le strade, domandando se necessario il contributo di istituzioni anche di altri Paesi per porre fine il prima possibile alla detenzione di nostro figlio – ha scritto in un appello pubblicato su La Repubblica la mamma Armanda -. Aspetto fiduciosa una sua risposta: aiuterebbe ad alleggerire la mia ansia, e renderebbe l’attesa più sopportabile, nella speranza che sia anche il più breve possibile".