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Due anni fa l’invasione russa dell’Ucraina, oltre quattro mesi fa l’esplosione di un nuovo conflitto tra Israele e Hamas che vede la morte di decine di migliaia di palestinesi. Un conflitto mediorientale che intanto si è allargato, senza contare le “guerre dimenticate” attive in molte aree del mondo.
Abbiamo chiesto a Erri De Luca, in questo quadro, se e quale pacifismo può avere spazio ed efficacia?
Non sono pacifista, credo al diritto di un popolo di battersi e difendersi se aggredito. La mia gioventù politica manifestava a fianco della lotta di resistenza del popolo vietnamita. Si andava a farlo sotto le sedi diplomatiche americane, non in una piazza a dichiararsi per la pace. Le guerre finiscono tutte, con formule diverse, dal cessate il fuoco ai negoziati di pace, iniziative da parte di terzi possono essere utili al momento giusto e favorire una soluzione.
Perché, in Italia, sembra così difficile prendere posizione su temi inerenti ai conflitti in corso, tanto che persino il pacifismo risulta divisivo?
In generale si è indebolita in Italia la spinta a manifestare in piazza. Alcune categorie riescono per motivi di settore a riunirsi momentaneamente intorno a un’esigenza, ma la loro azione non suscita adesioni e solidarietà all'esterno. Inoltre l’Italia interviene con le sue truppe in vari conflitti lontani, spacciando l’invio di reparti militari col termine di missioni di pace. Il pacifismo nostrano ha digerito anche questo aggiramento del dettato costituzionale.
Il dissenso sembra non potere avere più spazio con il governo che sceglie la via della repressione: perché, a differenza di quanto accadeva in passato, non vi è una reazione corale?
La repressione in genere produce due effetti: rinforza le ragioni di chi si batte per cause giuste oppure scoraggia. Nel caso della mia generazione quelle repressioni, che portavano dietro le sbarre migliaia di noi, rafforzavano le nostre scelte e allargavano il consenso intorno a noi. Oggi la repressione, le schedature si applicano su piccoli gruppi di giovani. Nel caso di quelli che si battono per il clima le loro azioni clamorose e inoffensive hanno valore di testimonianza, non di trascinamento, lasciando alla finestra quanti potrebbero condividerne le ragioni. Per ora va così, ma chi usa l’arma della repressione può farsela sfuggire di mano e ritrovarsela contro da un momento all’altro.
Si aumentano le spese militari e si riducono quelle per salute e istruzione: l’industria bellica aumenta i suoi introiti con la complicità del governo che gioca sulle paure (più o meno indotte) dei cittadini in tema di sicurezza?
L’invasione dell’Ucraina con l'enorme consumo di materiale bellico di quella guerra ha moltiplicato le spese militari di molti paesi, compreso il nostro, che sostengono l’esercito ucraino. Ma queste spese erano regolarmente aumentate anche nei bilanci precedenti alla guerra e sempre togliendo fondi a sanità e istruzione. Diverso è l'argomento sicurezza sul quale il governo di destra specula ingigantendo i timori senza però passare ai rimedi. Il caso di Caivano, dell’intervento muscolare, mostra proprio il deficit di intervento ordinario.
A suo vedere, quanto abbiamo da temere del danno culturale che stanno operando le destre di governo?
Le destre hanno un personale politico raccogliticcio, d’occasione e al di sotto di qualunque competenza. Il danno prodotto è l'incapacità di minima gestione del loro programma, oltre che dell’ordinaria amministrazione. L’Italia uscirà diminuita da questo giro di pista con ministri che non distinguono lo Stretto di Messina dal Canale di Sicilia.
Quali speranze di radicale cambiamento nel puntare sui giovani, se vengono cresciuti dagli attuali adulti e nell’attuale substrato culturale?
I giovani hanno un torto irreparabile: sono pochi nel Paese a età media più anziana del mondo dopo il Giappone. E in questa condizione di minoranza e d’inferiorità anagrafica, civile scelgono di andare all’estero ad applicare i loro studi e il loro valore. L’Italia è un paese in via di evasione della gioventù.