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La pandemia Covid-19 spingerà 150 milioni di persone nella povertà estrema
Le Monde, 8 ottobre 2020
Secondo uno studio della Banca mondiale, pubblicato mercoledì, "molti paesi stanno subendo un calo del reddito da lavoro di dimensioni mai viste prima". Per la prima volta in quasi un quarto di secolo, la povertà estrema aumenterà nel mondo. Secondo un rapporto della Banca mondiale pubblicato mercoledì 7 ottobre, la crisi del Covid-19 spingerà 150 milioni di persone al di sotto della soglia di estrema povertà, cioè persone che vivono con meno di 1.90 dollari (1.61 euro) al giorno, entro la fine del 2021. Dovrebbe riguardare tra il 9,1% e il 9,4% della popolazione mondiale del 2020.
Nei paesi privi di ammortizzatori sociali, e le cui economie sono dominate dal settore informale, la perdita del posto di lavoro si traduce in una perdita di risorse che porta i più fragili, spesso privi di risparmio, direttamente alla povertà. Con un calo dell'economia globale, che dovrebbe raggiungere il 5,2% nel 2020, e la previsione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro che saranno distrutti 195 milioni di posti di lavoro nella seconda metà dell'anno, la Banca Mondiale sottolinea che "Molti paesi stanno subendo un calo del reddito da lavoro di dimensioni mai viste prima". Ad esempio, il 42% dei nigeriani intervistati dagli economisti dell'istituto afferma di aver perso il lavoro a causa della pandemia e l'80% afferma di aver conosciuto un calo del proprio reddito.
La povertà non è misurata solo dal reddito. È misurata anche dalla mancanza della scuola, dei servizi sanitari, del cibo o dell'accesso a Internet. La crisi del Covid-19 sta colpendo i più vulnerabili in tutti gli aspetti della vita quotidiana, bloccandoli più che mai nella trappola della povertà. “I più vulnerabili dipendono dall'accesso ai servizi pubblici, spiega Carolina Sanchez, uno degli autori del rapporto, ma questi servizi pubblici sono diventati saturi o incapaci di funzionare con la pandemia di Covid-19. " Le conseguenze possono essere drammatiche nel lungo termine.
La mortalità infantile potrebbe aumentare del 45%
Alla fine di agosto, quasi 1 miliardo di bambini è stato colpito dalla chiusura delle loro scuole. "Le famiglie povere spesso non hanno né il tempo, né le risorse, né il luogo per farsi carico dell’insegnamento", osserva la Banca Mondiale. La saturazione dei sistemi sanitari, causata dalla pandemia, potrebbe aumentare la mortalità infantile del 45%.
La stragrande maggioranza dei “nuovi poveri” non proviene da Paesi poveri: l'82% di loro vive in Paesi a reddito medio, come India, Kenya o Laos. Le regioni più colpite sono l'Africa subsahariana e l'Asia meridionale. Sono anche più urbani, più istruiti e meno propensi a lavorare in agricoltura, rispetto a coloro che vivevano in condizioni di estrema povertà prima del Covid-19, spiega la Banca mondiale nel suo rapporto. Lavorano principalmente nel settore dei servizi in Indonesia e Nigeria, o nel commercio all'ingrosso e al dettaglio in Sud Africa.
Due rischi: conflitti armati e riscaldamento globale
Come possono dunque essere individuati questi nuovi aspetti e come aiutare, quando in precedenza non avevano ancora beneficiato di alcun programma sociale o alimentare? La Banca Mondiale risponde: con "soluzioni innovative", individuare i beneficiari e distribuire gli aiuti. Diversi economisti del J-Pal Poverty Action Laboratory, fondato dal Massachusetts Institute of Technology di Boston, invitano i governi a dare la priorità ai trasferimenti di denaro e ai pagamenti tramite telefoni mobili. "L'esborso in contanti è veloce, può essere fatto a distanza e offre alle famiglie la flessibilità di acquistare ciò di cui hanno bisogno", scrivono Alison Fahey, Dean Karlan e Nathanael Goldberg. “I pagamenti tramite telefono mobile sono l'opzione più semplice ed economica, continuano gli economisti di J-Pal, diversi studi dimostrano che il loro utilizzo ha ridotto la povertà."
Poiché l'attenzione del mondo si concentra sulla pandemia di Covid-19, la Banca Mondiale è preoccupata per altri due grandi rischi: i conflitti armati e il riscaldamento globale. Questi due fenomeni hanno rallentato il ritmo della riduzione della povertà nei tre anni precedenti la pandemia. I conflitti in Siria e Yemen hanno raddoppiato il tasso di povertà in Medio Oriente e Nord Africa tra il 2015 e il 2018. Il riscaldamento globale potrebbe spingere quasi 130 milioni di persone al di sotto della soglia di povertà entro 2030. "La concomitanza della pandemia, del peso dei conflitti e del cambiamento allontanerà l’obiettivo di porre fine alla povertà entro il 2030", avverte la Banca Mondiale, che chiede di intraprendere “un’azione rapida, significativa e robusta".
Leggi l'articolo originale: La pandémie de Covid-19 va faire basculer jusqu’à 150 millions de personnes dans l’extrême pauvreté
Erosione dei diritti umani, democrazia e Stato di diritto
“Bilancio: europeo: è indispensabile una vera condizionalità legata al rispetto dello Stato di diritto”
Le Monde, 7 ottobre 2020
Preoccupati per gli attacchi all'indipendenza della giustizia e della libertà di stampa, i presidenti dei principali quattro gruppi politici del Parlamento europeo - Dacian Ciolos, presidente del Gruppo Renew Europe, Iratxe Garcia Perez, presidente del Gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D), Ska Keller e Philippe Lamberts, co-presidenti del Gruppo Verdi/Alleanza libera europea, Manfred Weber, presidente del Gruppo Partito Popolare Europeo (PPE) – ricordano che i valori europei “non sono in vendita”.
Noi, presidenti dei quattro maggiori gruppi politici del Parlamento europeo, ci uniamo nell'inviare il presente messaggio al Consiglio europeo, al Consiglio dell'Unione europea (UE) ed alla Commissione europea: i nostri valori non sono in vendita.
In queste ultime settimane, i negoziatori del Consiglio europeo sono stati decisamente riluttanti a cambiare anche in minima parte il compromesso sul bilancio UE e sul piano per la ripresa economica “Next Generation EU”, concordato questa estate dai Capi di stato e di governo europei. Questo non è conforme agli impegni assunti in merito all'introduzione di un meccanismo di condizionalità legato al rispetto dello Stato di diritto.
Accogliamo con favore il piano per la ripresa economica. Le nostre economie hanno bisogno urgente di fondi per salvare i posti di lavoro e creare opportunità per il futuro. Il sostegno del Parlamento europeo è inequivocabile. Lo abbiamo dimostrato con il voto sul piano per la ripresa economica il 16 settembre. Ora spetta ai 27 governi ed ai loro Parlamenti nazionali fare altrettanto. Le sfide economiche che i nostri cittadini dovranno affrontare diventano sempre più importanti. E' inaccettabile che coloro che intendono indebolire lo Stato di diritto siano intenzionati a prendere in ostaggio i fondi per la ripresa economica e, così facendo, a perseguire i propri interessi piuttosto che quelli dei loro cittadini.
Il nostro sistema giudiziario è in crisi. L'intero edificio giuridico europeo vacilla quando uno dei nostri governi mette a tacere i propri giudici e crea un clima di paura e di controllo a tutti i livelli del proprio sistema giudiziario nazionale.
Le nostre libertà civili, la libertà dei media ed il pluralismo sono sottoposti a pressioni enormi. Gli attacchi alla libertà di stampa, alla società civile, le aggressioni verbali e fisiche contro i giornalisti, si pensi ai giornalisti assassinati, e il controllo assunto sui media da parte di un'oligarchia legata al potere sembrano diventare la regola in alcuni Stati membri. La libertà di stampa non è un lusso. E' la precondizione per l'esistenza di democrazie libere e funzionali. Il nostro mercato interno è minacciato. Vediamo che in alcuni Stati membri una manciata di persone prende il controllo dei finanziamenti come degli appalti pubblici e la corruzione diventa la regola. Siamo profondamente convinti che una vera condizionalità legata al rispetto dello Stato di diritto nel bilancio europeo sia indispensabile per affrontare questi problemi.
Mancano le garanzie fondamentali
Il tempo stringe. La posizione assunta dal Consiglio permette, finalmente, di avviare i negoziati! Ma, sfortunatamente, mancano alcune garanzie fondamentali. Il processo di condizionalità deve essere chiaro. In primo luogo, la decisione su eventuali sanzioni deve essere delegata alla Commissione e non deve poter essere annullata se non con la votazione a maggioranza qualificata nel Consiglio europeo. In secondo luogo, il campo di applicazione di questa condizionalità deve comprendere quanto meno la violazione dei principi afferenti allo Stato di diritto e all'indipendenza della magistratura. Inoltre, la Commissione deve basare le sue conclusioni nel nuovo rapporto annuale sullo Stato di diritto avvalendosi anche di un gruppo di esperti indipendenti. In terzo luogo, non devono esserci scappatoie: l'idea di offrire agli Stati membri la possibilità di rinviare l'ordine del giorno di tali questioni a riunioni future del Consiglio europeo permetterebbe in realtà di rinviare sine die le decisioni. Questo serve solo agli interessi di coloro che non vogliono che si prendano decisioni.
Un ruolo importante per il Parlamento
Dobbiamo proteggere soprattutto i cittadini dal comportamento di alcuni governi. Questo richiede un sistema che consenta a questi ultimi di continuare a ricevere direttamente i fondi. Nessun cittadino europeo dovrà essere punito perché il suo governo non rispetta e non difende i principi fondanti la nostra Unione. Inoltre, le nostre tre istituzioni dovranno essere incluse in questo processo decisionale, questo significa che il Parlamento europeo dovrà svolgere un ruolo importante, affianco alla Commissione ed al Consiglio europeo. Il Parlamento europeo è pronto ad assumersi pienamente le sue responsabilità, che è quanto ci chiedono di fare i nostri cittadini.
Invitiamo il Consiglio a fare altrettanto e ad adottare un atteggiamento costruttivo sulla questine dello Stato di diritto. Noi dobbiamo fare quanto possibile per proteggere la nostra grande democrazia europea, la nostra economica, i nostri valori e, soprattutto, i nostri cittadini. Così facendo, resteremo fedeli alla nostra missione, che è quella di vigilare affinché i nostri valori non siano in vendita.
Leggi l'articolo originale: «Budget européen: une véritable conditionnalité liée au respect de l’Etat de droit est indispensable»
Le organizzazioni della società civile sentono addosso la pressione mentre i governi eletti si accaniscono contro le ong
Financial Times, 6 ottobre 2020
La repressione in aumento anche nelle democrazie alimenta il timore di un inclinazione globale all'autoritarismo. Le organizzazioni internazionali della società civile affermano di far fronte ad una pressione crescente persino nelle democrazie, poiché i governi eletti usano le armi politiche, legali e finanziarie per bloccare il loro lavoro. I critici vedono nella sospensione delle attività operative di Amnesty International in India, decisa la scorsa settimana, l'ultima vittima di una crescente repressione che si estende da Budapest a Brasilia, praticata dai capi di governo eletti, ma autocratici, che cercano di consolidare il loro potere. Questa tendenza ha alimentato timori diffusi di un'inclinazione verso l'autoritarismo in tutto il mondo. Gli attivisti temono che la perdita di campagne contro le ingiustizie promosse dalle organizzazioni non governative possano aggiungersi a fattori quali la disinformazione online e alla pandemia del covid-19, che già disorientano le persone e permettono ai politici di rafforzare il loro potere.
Per Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch, che ha sede negli Stati Uniti, “Una società atomizzata è una società più facile da controllare”. “Era un principio che apparteneva alle dittature, ma ora lo vediamo in queste democrazie apparenti.” La repressione delle organizzazioni della società civile di un paese, viste come una minaccia per gli interessi ufficiali, sono familiari nei paesi in cui non si svolgono le elezioni o in cui i sondaggi sono visti dagli osservatori internazionali come imperfetti, come la Cina e la Russia. Eppure, nei recenti anni alcune democrazie hanno iniziato ad utilizzare tattiche simili per limitare il lavoro delle ong locali e mondiali.
Secondo i critici la tendenza fa parte di una strategia del “governo ibrido” condotta dai capi di governo autoritari, che accumulano potere non truccando direttamente i voti, ma attraverso il controllo della sfera pubblica raggiunto soffocando il dissenso e promuovendo il sostegno. Per Elena Lazaron, del think tank Chatalan House, “Sta accadendo decisamente più con i governi eletti democraticamente”. “Non solo usano la repressione, ma cercano anche di rafforzare i gruppi di attori della società civile alternativi”.
Amnesty Inernational ha fermato l'attività in India dopo che l'agenzia di investigazione sui reati economici ha congelato i conti bancari dell'organizzazione nel paese, secondo la quale avrebbe presumibilmente violato le leggi che vietano finanziamenti dall'estero. Amnesty International ha negato qualsiasi illecito e ha dichiarato di essere stata perseguitata dalle autorità indiane negli ultimi due anni. Ha pubblicato, di recente, due rapporti informativi nei quali ha denunciato il primato raggiunto dal governo di Narendra Modi per violazione dei diritti umani. Nel rapporto di luglio della Commissione per i Diritti Umani sulle Filippine ha avvertito che il presidente Rodrigo Duterte ha creato una “finzione pericolosa” in base alla quale sarebbe legittimato a controllare e a perseguitare le ong. Ha affermato nel 2017 che la polizia dovrebbe sparare sugli attivisti per i diritti umani che “ostacolano la giustizia” nella sua guerra sanguinosa contro la droga.
In Brasile, il presidente Jair Bolsonaro ha accusato lo scorso anno le organizzazioni non profit, senza dimostrare alcuna prova, di aver appiccato gli incendi in Amazzonia. Lo scorso mese ha definito le ong un “cancro”.
Nell'Unione europea, che si ritiene un bastione della democrazia, il governo del primo ministro ungherese, Viktor Orban, ha criminalizzato le organizzazioni della società civile che aiutano i migranti che considera illegali. Ha, inoltre, imposto modifiche alla legge e ha esercitato pressioni politiche che hanno costretto l'Open Society Foundations, creata dal finanziere miliardario George Soros, a trasferire la sede europea a Berlino. Gli attivisti per i diritti umani affermano che la mancanza di un intervento internazionale nei confronti di questi capi di governo stia peggiorando il problema. Mentre le democrazie occidentali in passato hanno smorzato il tono delle critiche nei confronti degli alleati autoritari, i sostenitori dei diritti umani temono che l'elogio personale profuso in passato dal presidente americano Donald Trump, come a Duterte, abbia indebolito ulteriormente la posizione delle organizzazioni della società civile.
L'Unione europea ha incanalato danaro verso le ong straniere e ha affermato che i trattati e gli accordi sono conformi con le norme in materia di diritti umani, ma alcuni attivisti si chiedono se esista la volontà politica di far rispettare tali norme. Gli osservatori dicono che il sostegno estero alle ong locali potrebbe, inoltre, fare più male che bene, dato che potrebbe essere raffigurato come ingerenza esterna negli affari di un paese.
Per Julia De Clerck-Sachesse, ex consigliera del servizio diplomatico del blocco europeo, “L'Unione europea parla continuamente contro il “restringimento dello spazio della società civile” nei colloqui bilaterali con questi paesi, e il rappresentante speciale dell'Unione europea per i diritti umani lavora molto con le ong. “Ma esiste anche la consapevolezza che un sostegno troppo esplicito possa causare maggiori problemi per queste organizzazioni, piuttosto che aiutarle”. Le organizzazioni per i diritti umani stanno cercando di opporsi alla minaccia, adottando strategie che comprendono la mobilitazione di quello che il direttore regionale di Amnesty in Europa, Nils Muiznieks, definisce online le “brigate per i diritti umani” per la difesa degli attivisti e dei giornalisti sotto attacco.
La questione è amplificata da problemi più grandi, che includono il colpo inferto dalla pandemia del coronavirus alle loro finanze, le pressioni finanziarie sugli organismi delle Nazioni Unite per i diritti umani e le tensioni tra gli Stati membri delle istituzioni multilaterali, come il Consiglio d'Europa e l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.Per Muiznieks “Il sistema dei diritti umani, e l'impegno verso tale sistema, si sta indebolendo”. “I governi ignoravano le critiche. Ora, cercano di soffocarle, cosa che trovo abbastanza spaventosa”.
Leggi l'articolo originale: Civil society groups feel heat as elected governments turn on NGOs
Gli egiziani che non esistono: più di una persona scompare al giorno nell'Egitto di Al Sisi
El Pais, 6 ottobre 2020
Un rapporto di un'organizzazione locale per i diritti umani documenta come questa pratica sia diventata sistematica nel corso degli ultimi cinque anni L'11 aprile del 2019,Yahia, giovane egiziano di 29 anni, decide di andare a trovare un amico malato nell'ospedale di Maadi, in un quartiere benestante situato a sud del Cairo. Poco prima di arrivare, i due amici parlano al telefono, e Yahia gli dice che si trova a soli cinque minuti di distanza. Ma il giovane egiziano non arriverà mai a destinazione. Sua sorella racconta che con il passare delle ore aumenta la preoccupazione della famiglia che, per prima cosa, tenta di contattarlo al telefonino che è disconnesso. Poi lo cercano presso i suoi amici, ma nessuno lo aveva visto. Alla fine della giornata lo danno per disperso. Le autorità non hanno nessuna notizia del ragazzo o si rifiutano di ricevere la famiglia.
Nell'Egitto di Abedl Fattah Al Sisi, casi come quello del giovane Yahia sono diventati di routine. Secondo un rapporto pubblicato ad agosto, che fa parte della campagna lanciata nel 2015 dalla prestigiosa organizzazione locale per i diritti umani, la Commissione egiziana per i diritti umani e le libertà, negli ultimi cinque anni ammontano a 2.723 le persone scomparse nel paese. Un numero raccapricciante che equivale ad 1 persona scomparsa la settimana su 10 in cinque anni. Lo scorso 20 settembre, nel primo anniversario delle insolite proteste antigovernative tenute in diverse città nel 2019, i gruppi per i diritti umani hanno documentato la ripresa di questa pratica.
Alla fine di marzo dello scorso anno, quasi dopo un anno dalla sparizione forzata per mano della polizia, quel giovane ricompare ufficialmente nella prigione di massima sicurezza di Tora, al Cairo, in attesa di essere processato. Sua sorella racconta che Yahia non ha potuto comunicare con la famiglia e non aveva visto la luce del sole da 500 giorni. Sua sorella, cittadina statunitense, afferma: “Le persone sono numeri e le forze di sicurezza possono trattarle come vogliono, perché se ti rivolgi per chiedere dove si trova la persona, ti diranno che non sanno nulla”.
Mohamed Lotfi, direttore della Commissione egiziana, che elabora i rapporti sulle sparizioni forzate basandosi sui criteri ONU, spiega che ai tempi di dittatore deposto Hosni Mubarak c'erano le sparizioni forzate, ma in numero ridotto rispetto ad ora. Le famiglie ricevevano nella maggioranza dei casi informazioni sul carcere in cui si trovava il detenuto, mentre ora le autorità negano di sapere dove si trova”. L'aumento di questa pratica negli ultimi anni va di pari passo con la progressiva erosione dei diritti umani in Egitto, dopo l'arrivo al potere di Al Sisi in Egitto nel 2013, così come la continua persecuzione di chiunque venga percepito come oppositore.
Questi arresti illegali avvengono nelle prime ore del mattino. Nella ricostruzione della maggior parte dei casi, agenti di polizia, accompagnati dalla temibile Sicurezza Nazionale, che fanno irruzione nella casa del sospettato oppositore per arrestarlo senza presentare alcuna notifica. Da questo momento, si perdono le tracce del detenuto che viene trasferito in un centro di detenzione, a volte ufficiosamente, dove di solito viene torturato fino a quando non confessa. Il suo destino è nella mani della Sicurezza Nazionale, le cui caserme sono il luogo in cui cui arrivano di frequente queste persone arrestate. Yasmin Omar, esperto legale dell'istituto Tahrir per la Politica in Medio Oriente a Washington, osserva che “la sparizione forzata annulla l'esistenza di una persona e complica il suo status giuridico”.
In generale, la sparizione delle persone dura due anni e mezzo, ma esistono casi in cui si prolunga per anni. Per la Commissione egiziana risultano ancora scomparse 18 persone in seguito al massacro di Rabaa del 2013. Nel caso in cui gli scomparsi compaiono in Procura, le accuse mosse dopo l'indagine condotta dalla Sicurezza Nazionale sono comunemente usate contro di loro. Omar Ritiene che “Le autorità giudiziarie, in particolare la Procura, sono complici di questi crimini, perché non conducono le indagini e si rifiutano di raccogliere la testimonianza della persona scomparsa sulle torture subite perché non ci sono segni visibili sul corpo”.
Il dolore e l'incertezza per le persone scomparse spesso è accompagnato dalle difficoltà finanziarie della famiglia. In alcuni casi scompaiono anche gli avvocati o altri membri della famiglia.
Il silenzio del Governo
Le autorità egiziane hanno ripetutamente negato questo tipo di pratica nel paese, e hanno definito falsi i rapporti elaborati dalle organizzazioni per i diritti umani. Le autorità egiziane attribuiscono le sparizioni ad assenze da cui si dissociano o all'appartenenza della vittima ad un gruppo armato. Nessun funzionario del ministero degli Interni ha voluto parlare con el Pais.
Lofti, della Commissione egiziana, ha fatto trapelare che “Lo stato insiste nel negare di aver perpetrato sparizioni e sostiene che gli scomparsi siano “terroristi” fuggiti dall'Egitto, ma poi non spiega il motivo per cui riappaiono nelle carceri egiziane o davanti alla Procura egiziana”. Se i funzionari del ministero degli Interni sanno dove si trova un detenuto mentre la sua famiglia non lo sa, vuol dire che non è scomparso perché sanno dove si trova. Questo significa precisamente che è una sparizione forzata”.
Leggi l'articolo originale: Los egipcios que no existen: más de un desaparecido al día en el Egipto de Al Sisi
I sindacati respingono il piano di stimolo in Indonesia
The New York Times, 3 ottobre 2020
Per gli oppositori in Indonesia il pacchetto di misure di stimolo che il parlamento indonesiano sta per approvare per affrontare il coronavirus comprometterebbe la protezione dei lavoratori e permetterebbe di distruggere le foreste pluviali del paese. La legge, sostenuta dal presidente dell'Indonesia, Joko Widodo, è vista come un modo per attirare gli investimenti e stimolare la creazione di posti di lavoro allentando la normativa che riguarda le imprese. I suoi sostenitori sperano di ottenere l'approvazione della legge prima del termine della sessione del Parlamento di venerdì prossimo, anche se l'opposizione al provvedimento sta crescendo. La Confederazione dei sindacati indonesiani ha indetto uno sciopero nazionale della durata di tre giorni, a partire da martedì, contro le disposizioni del disegno di legge che ridurrebbero la sicurezza sul lavoro, i salari e i giorni di ferie obbligatorie. I dirigenti sindacali dicono che lo sciopero è sostenuto da cinque milioni di lavoratori provenienti da decine di settori di lavoro. Gli ambientalisti si oppongono alle misure perché eliminerebbero le revisioni in materia ambientale in molti progetti nuovi e potrebbero portare alla distruzione delle foreste pluviali, essenziali per il controllo delle emissioni di carbonio e per il rallentamento del cambiamento climatico.
Phelim Kine, direttore senior per l'Asia di Mighty Earth, organizzazione globale di campagne ambientali, ha affermato:"Il governo sta perseguendo questa politica come se fosse completamente sordo e cieco agli effetti che la crisi climatica emergente ha sulle persone". "Questo è l'equivalente indonesiano di “Drill, baby, drill'", un'esortazione a togliere i freni. La legge, battezzata come "omnibus bill", è lunga 1.028 pagine e modificherebbe 79 leggi e più di 1.200 articoli. I sostenitori della legge ritengono che migliorerebbe il processo di investimento in Indonesia accelerando l'approvazione della normativa ed eliminando molti requisiti in materia di autorizzazione. "Questa è la chiave per favorire gli investimenti, soprattutto in termini di semplificazione dei permessi", ha detto Luhut Pandjaitan, ministro con portafoglio che include gli investimenti.
L'Indonesia, il quarto paese più popoloso al mondo, è stato colpito duramente dal coronavirus, che ha danneggiato l'economia e minaccia di travolgere il sistema sanitario del paese. Quest'anno, il governo ha adottato tardi le restrizioni per contenere il coronavirus, poi si è affrettato a ritirare le restrizioni nella speranza di rilanciare l'economia. Ora, il Paese è vicino ai 300.000 casi di contagio confermati, e il numero di decessi, quasi 11.000,è il più alto dell'Asia orientale. La capitale, Giacarta, ha imposto per la seconda volta il confinamento parziale. L'economia dell'Indonesia dovrebbe contrarsi quest'anno per la prima volta dalla crisi economica asiatica della fine degli anni Novanta. Il ministro delle Finanze, Sri Mulyani Indrawati, ha previsto per quest'anno un calo del PIL di ben l'1,7%. I funzionari temono che la recessione economica, insieme alla chiusura delle scuole come misura per contrastare la pandemia, annulli le recenti conquiste del paese realizzate nella riduzione della povertà, nel miglioramento dei livelli nutrizionali e nell'innalzamento dei livelli di istruzione. Joko, nel suo secondo mandato quinquennale, ha fatto dello sviluppo economico il fulcro della sua presidenza, spesso eclissando altre preoccupazioni. Per gli oppositori alla legge, lo sforzo di far passare questo disegno di legge in Parlamento ha un senso di déjà vu. Un anno fa, mentre il Parlamento si avvicinava alla fine della sessione, i deputati tentarono di far approvare una legge che avrebbe ridotto drasticamente la libertà personale, limitando la libertà di espressione, vietando le relazioni sessuali al di fuori del matrimonio e vietando di fatto le relazioni gay e lesbiche. Migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il paese per protestare, cinque persone sono morte negli scontri con la polizia. Joko ha ritirato il provvedimento, anche se si è rifiutato di bloccare un altro disegno di legge controverso che ha indebolito l'agenzia anticorruzione del Paese. Quest'anno, nonostante le restrizioni dovute al coronavirus rendano più difficile l'organizzazione delle proteste, i sindacati hanno detto di voler manifestare al di fuori del Parlamento e hanno invitato studenti, ambientalisti e altri oppositori alle misure del governo ad aderire. La coalizione sindacale sostiene l'idea di creare posti di lavoro, ma ritiene che il disegno di legge omnibus danneggi i lavoratori riducendo l'indennità di licenziamento per coloro che sono stati licenziati, tagliando l'importo delle ferie obbligatorie, consentendo orari di lavoro più lunghi e permettendo l'assunzione di lavoratori a contratto e a tempo parziale per prendere il posto dei dipendenti a tempo pieno. Said Iqbal, presidente della Confederazione Sindacale indonesiana e organizzatore dello sciopero, ha affermato:"Il fatto è che la legge omnibus riduce i diritti dei lavoratori della legge esistente".
L'Indonesia, che si trova a cavallo dell'Equatore e che un tempo aveva vaste foreste pluviali, ha perso gran parte della sua copertura forestale a causa di incendi dolosi che sono stati utilizzati per decenni per ripulire la terra dalle piantagioni di palme da olio. Ogni anno si verificano gli incendi boschivi che producono enormi quantità di fumo che si spostano nell'atmosfera verso la vicina Singapore e la Malesia e contribuiscono ad aumentare il riscaldamento globale.
Gli ambientalisti affermano che il governo ha compiuto negli ultimi anni qualche progresso nel ridurre la quantità di incendi, ma le restrizioni ora in vigore verrebbero stravolte dal disegno di legge omnibus. Quattro province a Sumatra e un'altra a Giava sono particolarmente vulnerabili, queste hanno ancora foreste intatte e fungono da pozzi naturali di assorbimento del carbonio che proteggono dalle conseguenze del cambiamento climatico.
Asep Komarudin, attivista senior della campagna per la protezione delle foreste di Greenpeace in Indonesia, ha affermato che la misura ridurrà la protezione della foresta, eliminerà, inoltre, il contributo pubblico al processo delle autorizzazioni e revocherà le leggi con le quali il governo cita in giudizio le aziende che commettono incendi dolosi sul territorio. L'attivista ha osservato che queste misure sono state ideate nell'interesse delle aziende molto prima dello scoppio della pandemia e che non hanno nulla a che vedere con il coronavirus. “Il governo sta facilitando gli investimenti eliminando tutte le reti di sicurezza, questo significa che ha messo tutto in vendita”. Per i difensori della misura i requisti attuali in materia ambientale non saranno eliminati per i grandi progetti, ma solo per i progetti piccoli.
Ihsan Zulkarnaen, funzionario del ministero per il coordinamento dell'economia, ha dichiarato: “Se il settore commerciale presenterà un rischio basso, non ci sarà bisogno di un permesso. Dovranno solo registrarsi”.
Per i critici, l'assenza di salvaguardie e la riduzione delle protezioni in materia ambientale potrebbero indurre gli investitori stranieri, soprattutto gli investitori europei, dove gli standard in materia ambientale sono alti, meno interessati a investire in Indonesia. Asep, di Greenpeace in Indonesia, ha affermato: “Questo è un grande danno per la nostra foresta e per l'ambiente”. Se la legge dovesse essere approvata, “tutti gli sforzi profusi per lavorare sul cambiamento climatico e prevenire la deforestazione saranno inutili”. La legge ridurrà la sicurezza sul lavoro e ridurrà le protezioni ambientali.
Leggi l'articolo originale: Unions Assail Indonesia Stimulus Plan