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“Abbiamo sentito con forza la necessità di tornare in piazza contro la guerra tra Russia e Ucraina”. Rossella Miccio, presidente di Emergency, una delle tante associazioni che hanno promosso la manifestazione per la pace del prossimo 5 novembre, parla con pacatezza ma senza nascondere un sentimento di allarme. Ed enumera le molte ragioni che riporteranno sulle strade di Roma il movimento che si raccoglie attorno alla rete di Europe for peace: “L'escalation delle ultime settimane, la minaccia di ricorrere alle armi nucleari, l’allargamento ad altri Paesi del conflitto, il fatto che sono passati nove mesi e nulla è cambiato, nulla è migliorato. Al contrario, la strategia adottata finora da Usa ed Europa, impegnate quasi esclusivamente nel supporto finanziario e nell’invio di armi all'Ucraina, oltre che nell’aiuto ai profughi, non ha reso il conflitto meno duro o meno breve. Non si vedono proposte all'orizzonte. Dunque è importante far sentire la voce delle tantissime persone che, nel nostro Paese, chiedono una svolta”.
Quanto è concreto il rischio di un'escalation nucleare?
Già mesi fa gli scienziati del Bulletin of atomic scientist avevano posto a soli 100 secondi la distanza dalla “mezzanotte nucleare”. Adesso, vista la drammatica incapacità della politica mondiale di gestire la crisi, il rischio è diventato enorme. Non dimentichiamo che nell’area di quel conflitto c'è anche la centrale nucleare più grande d’Europa. Un qualsiasi errore bellico che la colpisse avrebbe conseguenze devastanti.
Insomma è una guerra mossa da apprendisti stregoni?
L’aveva già spiegato Albert Einstein nel lontano 1932: la guerra non si può umanizzare, si può solo abolire. Se prendi la via delle armi, sei destinato a perdere il controllo di quanto hai scatenato. Ripeto: siamo delusi dal fatto che gli unici impegni presi fino ad ora siano stati di carattere militare, per l’Italia e per l’Europa, al di là dell'accoglienza offerta ai profughi ucraini.
Le istituzioni sovranazionali, Ue e Onu, le sembrano all’altezza della situazione?
Guardi, sappiamo che il Consiglio di sicurezza Onu è rimasto paralizzato dai meccanismi del veto. Non è una situazione semplice. Ma crediamo davvero che il multilateralismo sovranazionale sia l'unica via percorribile. Rispondere agli interessi dell’uno o dell’altro non sbloccherà la situazione. Occorre una maggiore proattività da parte delle istituzioni sovranazionali – segretario generale Onu, Assemblea generale –, è urgente che qualcuno si prenda il compito di farsi mediatore. La pace si fa col nemico, non con gli amici.
E il nemico del movimento per la pace qual è?
Invadendo l’Ucraina Putin si è macchiato di una responsabilità gravissima. E noi siamo dalla parte di chi la guerra la subisce, ossia siamo dalla parte degli ucraini. Emergency lo constata da 28 anni in giro per il mondo: possono cambiare attori e motivi, ma la realtà della guerra è sempre morte e distruzione. In prevalenza morte di civili. Essersi limitati semplicemente a inviare armi a Kiev non ha ridotto le vittime, anzi i numeri che probabilmente non conosceremo mai sono già orrendi per quel poco che sappiamo. Noi stiamo dalla parte delle vittime, di chi anche in Russia questa guerra non la vuole. Tante associazioni che hanno aderito alla manifestazione sono attive nel supporto sia agli ucraini, sia a quei dissidenti russi che rischiano in prima persona per essersi esposti contro la guerra. Pacifismo non vuol dire rinunciare a qualsiasi diritto, ma in questo momento è fondamentale arrivare quanto prima al cessate il fuoco. Devono tacere le armi.
Qual è l’emergenza più grave in Ucraina, oggi?
Per gli ucraini è alle porte un inverno durissimo. Le temperature crolleranno, i cittadini saranno costretti a fare sacrifici enormi. Noi di Emergency stiamo inviando da mesi farmaci e materiali che diano sollievo alla popolazione. Una nostra struttura di accoglienza, a Milano, ha assistito donne e bambini. Siamo presenti in Moldavia con ambulatori mobili dove assistiamo i profughi ucraini, donne e bambini che speravano di tornare a casa entro l'estate e che invece vedono sempre più lontana la possibilità di rientrare. Anche se dovesse interrompersi subito il conflitto, ci vorrebbe moltissimo tempo per ricostruire. L’eredità di una guerra dura molto a lungo. Lo vediamo nel Kurdistan iracheno, dove le persone subiscono ancora ferite dalle mine antiuomo di fabbricazione italiana messe al bando 25 anni fa.
A proposito di Italia: abbiamo un nuovo governo, cambierà qualcosa?
Non so se cambierà qualcosa, ma sinceramente neanche i precedenti governi ci hanno ascoltato. Abbiamo visto da subito, sin da febbraio, che chiunque esprimesse perplessità riguardo alla scelta unidirezionale del supporto militare a Kiev veniva tacciato di essere filo-putiniano, di non rispettare i diritti degli ucraini. Ne abbiamo sentite tante in questi mesi. Quindi continueremo nel nostro percorso, che è estremamente trasversale.
Come immagina che sarà la giornata del 5 novembre?
Una cosa bellissima della manifestazione che stiamo preparando è che avremo una rappresentanza più variegata rispetto a quella di marzo. Società civile, sindacati, ong, Anpi e molti altri. Ma anche le comunità islamiche, valdesi, cattoliche e protestanti. Per questo parlavo di un percorso e di un messaggio trasversale da inviare anche al nuovo governo, sperando che ci ascolti. Gli ultimi mesi hanno fatto maturare la consapevolezza che la guerra non può essere uno strumento. Nel 2022 progettiamo vacanze su Marte e non riusciamo a trovare sistemi alternativi per risolvere i problemi del pianeta? Le emergenze vere sono altre: la forbice sempre più ampia tra Nord e Sud, il clima, le disuguaglianze… su questo dovremmo confrontarci. L’esperienza drammatica del Covid sembrava averci insegnato che dobbiamo unire le forze e prenderci cura del pianeta, ma purtroppo la lezione non è stata appresa. Adesso guardiamo con speranza al 5 novembre. Noi di Emergency invitiamo chiunque lo voglia, indipendentemente dalle sue appartenenze e convinzioni politiche, a partecipare alla manifestazione per la pace.