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Il senso dell’urgenza, l’importanza di cambiare, la pace sorella della giustizia, la battaglia contro la povertà considerata crimine contro la libertà e la dignità degli esseri umani. È questa l’eredità di Papa Francesco per Don Luigi Ciotti.
Il presidente di Libera, intervistato da Collettiva, parla della Chiesa di Francesco che è diventata “casa” per tanti, una Chiesa che non si limita ad insegnare ma dà l’esempio. Ed è proprio quell’esempio che diventa monito per chi, quando il Papa era in vita, non ha voluto ascoltare e oggi “con ipocrisia” partecipa ai funerali.
Papa Francesco ha lasciato un segno profondo nella Chiesa e nella società, soprattutto sul fronte della giustizia sociale. Qual è, secondo lei, l’eredità più forte che ci lascia in termini di lotta contro la povertà e le disuguaglianze?
Il senso dell’urgenza. L’importanza di cambiare le cose subito, perché è già tardi. Già troppe vite sono state sacrificate all’egoismo dei ricchi, e all’inerzia di chi ricco magari non è ma si tiene a galla, e non si cura di quelli che invece vanno a fondo. Il Papa ci ha spronato a una conversione radicale degli stili di vita, di produzione e consumo che non sono più sostenibili per il pianeta e per buona parte dell’umanità. Ci ha insegnato ad amare i poveri, ma a combattere la povertà in quanto crimine contro la libertà e la dignità degli esseri umani.
Uno dei suoi messaggi più forti è stato il richiamo alla dignità del lavoro. Come si inserisce questo messaggio nel contesto attuale, dove spesso il lavoro è precario o sfruttato?
Il Papa aveva ben chiaro che le persone dovrebbero essere il fine, non un semplice mezzo dello sviluppo economico. Più volte ha espresso vicinanza ai lavoratori e alle lavoratrici stritolati dentro meccanismi fondati sulla massimizzazione dei profitti, a scapito dei diritti. E ha sempre raccomandato a chi ha le leve del potere economico di mettere le persone e il loro benessere davanti ai dividendi, alla produttività e alla competitività aziendale.
Ha abbracciato i poveri, i migranti, i carcerati, gli esclusi. Lei che da sempre cammina accanto a questi ultimi, come ha vissuto questa vicinanza concreta del Papa a chi spesso viene dimenticato?
La Chiesa di Francesco ha spalancato le sue porte facendosi sentire davvero “casa” per tanta gente, me incluso. Nel Vangelo delle beatitudini si trovano i riferimenti essenziali, che lui ha voluto incarnare nelle sue scelte di vita sempre improntate alla semplicità e all’incontro con la sofferenza degli altri. Ha promosso una Chiesa che non si limita a insegnare ma dà l’esempio e si fa carico delle fragilità e dell’emarginazione, dicendo a chi sta male: “questa è anche e soprattutto casa tua”.
Il grido “Convertitevi!” rivolto ai mafiosi è rimasto impresso a molti. Quanto è stato rivoluzionario il suo messaggio di legalità e giustizia in un contesto spesso segnato da silenzi e compromessi?
Va detto che la Chiesa già coi predecessori di Francesco aveva espresso su questi temi una posizione chiara. Ricordiamo il grido di Giovanni Paolo II nel 1993 ad Agrigento, quando aveva definito la mafia una “civiltà di morte” e aveva invitato i mafiosi a convertirsi. Ma la fermezza di Francesco è stata una sferzata per chi, fuori e dentro la Chiesa, tende oggi a minimizzare. E sono tanti purtroppo: convinti che con l’illegalità si debba convivere, perché ormai endemica alla società tutta.
Papa Francesco ha sempre parlato di pace, anche quando nel mondo si alzavano venti di guerra. In che modo ha saputo mantenere viva questa speranza e quanto è importante oggi raccoglierne il testimone?
Sul tema della pace questo Papa si è speso davvero fino alla fine. Il suo ultimo messaggio ai fedeli, nel giorno di Pasqua, era dedicato principalmente a quello. Lui invocava una pace sorella della giustizia. Non una paroletta innocua ma un concetto spinoso e un cammino arduo, che oggi in pochi sono disposti a intraprendere. Fra la fatica del dialogo e la scelta sbrigativa della forza, usata o minacciata, la maggior parte dei potenti opta per la seconda. Ma la forza resta sempre vittima di sé stessa, mentre la fede nella pace è incrollabile.
Ai funerali, migliaia di fedeli ma anche molti potenti del mondo, alcuni dei quali contribuiscono attivamente a mantenere vivi conflitti e disuguaglianze. Che riflessione le suscita questa presenza?
Più che riflessione un grande dolore. E, se posso permettermi, anche una certa rabbia per l’ipocrisia che queste persone dimostrano. Con che faccia ti presenti a onorare in morte uno che non hai mai voluto ascoltare da vivo? Che credibilità può avere un potente che omaggia Papa Francesco e poi dà tranquillamente seguito a politiche che discriminano e ledono la dignità delle persone, calpestano i diritti dei lavoratori, condanno a morte i migranti?