Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sbandiera i dazi come fossero un’arma contro chiunque gli sembri voglia mettere i bastoni tra le ruote al nuovo corso che intende imporre al suo Paese e all’intera comunità internazionale. L’ultima prova di forza è stata quella con la Colombia: “Mi blocchi i voli di rimpatrio dei migranti, caro presidente Petro? E io vado di dazi!”, è la sintesi del suo ragionamento. Risultato: Bogotà si arrende e accetta i rimpatri. 

Meno diretto, perché ancora non provocato da un casus belli, Trump lo è stato nei confronti dell’Europa, da lui accusata di non trattarlo bene, motivo per il quale ha minacciato di farla pagare al Vecchio continente e l’espressione difficilmente non ci riporta ai dazi. Un concetto che, in modo differente esteso alla Cina, è stato anche oggetto nel suo intervento al Forum dell’economia mondiale di Davos.

È recente lo scontro con il suo ministro del Tesoro, Scott Bessent, che vorrebbe imporre tariffe universali del 2,5% sulle importazioni da far salire poi gradualmente. Trump non ha gradito, perché questa sarebbe una mossa in contraddizione con quanto annunciato in campagna elettorale: una tariffa minima del 10% sino ad arrivare al 25%

Quanto le politiche di Trump fatte di dazi e isolazionismo potrebbero portare danni all’economia reale è ancora tutto da calcolare, al momento si possono fare solamente ipotesi, come ci conferma Martino Mazzonis, giornalista, studioso degli Stati Uniti e co-autore del documentario Poor America: “Bisogna capire se l'atteggiamento di Trump non è un atteggiamento figlio del suo modo di ragionare, quello di una persona che fa trattative uno contro uno e di conseguenza alza il tiro, alza la posta, quindi minacciare può essere un modo per ottenere quello che vuole senza bisogno di porre i dazi. Questo è un primo elemento che possiamo chiamare di transazione”. 

La bilancia commerciale negli Stati Uniti sia con la Cina che anche con l'Europa è sbilanciata a favore dell'Europa, “però – prosegue Mazzonis - qualora davvero venissero posti i dazi, le conseguenze dipenderebbero naturalmente anche dalle percentuali. Trump parla persino del 25%, ma se invece fossero del 5 sarebbe tutto diverso, magari diminuirebbe un po' l'export, però non sarebbe un problema così rilevante, come qualora invece si imponesse una quota più alta. In quest’ultimo caso ci sarebbe un danno anche all'economia americana e soprattutto alle tasche degli americani. Non dimentichiamo che, al contrario, una delle promesse di Trump è proprio l’abbassamento dei prezzi, del quale ha parlato anche nel discorso inaugurale". 

Questo nel breve e medio periodo, perché Mazzonis ci spiega che nel lungo periodo il discorso diverrebbe molto complicato: “Per gli Stati Uniti significherebbe tornare a dotarsi di una base industriale tale da consentire di produrre tutto in casa, ma è molto improbabile in quanto l’80% della forza lavoro statunitense oggi lavora nei servizi. Sarebbe un tornare indietro ai lavori di produzione molto poco probabile”.

Dal punto di vista dell'Europa e quindi dell'Italia i dazi di Trump potrebbero avere ripercussioni con un danneggiamento dell'export, però, afferma il giornalista, “si immagina in questo caso una risposta dell'Europa. Ciò vorrebbe dire anche una riduzione dell'importazione di merci statunitensi e, di conseguenza, anche lì assisteremmo a una riorganizzazione, perché le guerre commerciali in generale, una volta avviate, hanno bisogno poi di camere di compensazione, di trattative e di luoghi in cui si compongono. Ne abbiamo avute molte, abbiamo avuto scontri su alcuni tipi di merce e ci sono dazi sulle merci americane e sulle merci europee, ma le conseguenze dipendono sempre dal punto fino al quale ci si spinge, dalle merci sulle quali tali dazi vengono imposti”.  

Quindi le percentuali, il tipo di merci e alcune altre variabili determineranno le ripercussioni delle politiche statunitensi sia per l'economia europea nel suo complesso, “sia per le singole economie, tedesca, italiana, francese. Se pensiamo ai beni di lusso e al cibo, naturalmente sarebbe un danno per l'Italia che esporta questo tipo di merci soprattutto verso gli Stati Uniti. Un danno minore se si trattasse di merci sulle macchine da manifattura, oppure, ad esempio, da imballaggio, per le quali i mercati di destinazione sono in gran parte diversi da quelli americani”.

Si tratta di capire anche “se Trump ha o non ha un disegno, un progetto preciso in materia. Semplificando: colpire più i tedeschi che sono il vero luogo del contendere perché esportano merci che si producono anche negli Stati Uniti, o il Parmigiano reggiano che negli Stati Uniti non si produce, come d’altronde non si produce la Volkswagen? Questo è un possibile tema, ma c'è un disegno o sono solo sparate? C’è una commissione di esperti al lavoro che sta facendo conti e calcoli, oppure c'è un'idea solo vendicativa e minacciosa dei dazi? Purtroppo –conclude Mazzonis – questo è quello che ancora non sappiamo e che dovremo attendere i prossimi mesi per scoprire”. 

Mentre si attende quindi di conoscere cosa davvero intende fare Trump, la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, si porta avanti affermando che “uno scontro non serve a nessuno” e che, pur "comprendendo la questione che viene posta", ritiene però “che il dialogo e una soluzione equilibrata e bilanciata siano il modo per affrontarla” e che quindi cercherà di “trovare delle soluzioni insieme all'amministrazione americana". Una posizione che risente della sua vicinanza al presidente americano e della professata amicizia con il suo sodale Elon Musk.