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Il 24 febbraio scorso viene diffusa una lettera aperta di studiosi, scienziati ed esponenti del giornalismo scientifico russo di condanna all’aggressione dell’Ucraina e per chiedere l’immediata cessazione delle ostilità. In contemporanea, 350 insegnanti sempre in Russia firmano l’appello per la pace, mentre giovani, madri sole con figlie e figli piccoli, famiglie, anziani scendono via via più numerosi nelle piazze del Paese gridando “Stop the war" in faccia a Putin. Alcune migliaia, da quasi un mese, sono i manifestanti incarcerati a Mosca, San Pietroburgo e in altre città. Mi ha positivamente colpito a Roma, durante il sit-in organizzato dagli Ucraini davanti all’Ambasciata russa nei primi giorni dell’invasione, la presenza di giovani donne e uomini di nazionalità russa e bielorussa che erano lì per esprimere la loro piena solidarietà.
Nella grande manifestazione organizzata a Milano è bellissima e drammatica al tempo stesso l’immagine di uno studente russo in Italia che abbraccia una donna ucraina e piange chiedendo scusa per quello che il suo Paese sta facendo. Contemporaneamente, una non piccola parte della politica e dell’opinione pubblica italiana ha cominciato ad accusare e colpevolizzare tutta la popolazione russa di essere assolutamente asservita a Putin nel sostegno alla guerra contro l’Ucraina.
Il destino del pacifismo militante dei Paesi che aggrediscono e iniziano la guerra dichiarata è spesso amaro: chi protesta contro il proprio governo, chi ne denuncia violenze e soprusi, rischia la libertà e talvolta la vita, come testimonia l’omicidio in Russia di Anna Politkovskaja, che rese pubblico l’orrore a firma Putin in Cecenia. Eppure la voce del dissenso, coraggiosa, non trova facilmente oggi la giusta risonanza. La Rete italiana pace e disarmo il 2 marzo ha organizzato un webinar importante nella giornata di digiuno per la Pace in Ucraina promossa da Papa Francesco: un dialogo in diretta con Yuriy Sheliazhenko (Movimento pacifista ucraino) e Elena Popova (Movimento obiettori di coscienza russi), con un contributo registrato dagli Stati Uniti di Joanne Sheehan (attivista della War Resisters League). Un documento video eccezionale che invito a guardare, se sfuggito. C’è il dolore, c’è la determinazione a dire “no” all’uso delle armi, c’è la volontà di non lesinare alcuno sforzo per far valere le ragioni del dialogo.
Elena Popova manifesta a San Pietroburgo e sa di essere nel mirino dei sostenitori e delle forze armate di Putin e ce lo racconta anche in queste ore. Mi torna alla mente una stagione di tentativi incessanti di alcuni politici e parlamentari croati, serbi e bosniaci per mettere la parola fine alla guerra in ex-Jugoslavia. Vedevano l’orrore delle violenze nel conflitto e sentivano sulle spalle il peso di un ruolo di responsabilità che sembrava in quel momento quasi inutile. Invece quello che hanno fatto è servito a non isolarsi e a continuare il dialogo con l’Europa. L’immagine di chi sa dire “no” alle scelte scellerate del governo del proprio Paese con enfasi e coraggio non svanisce se in tutto il mondo chi è contro la guerra e per i diritti la diffonde.
Spetta oggi alle organizzazioni e reti sociali e ai sindacati mantenere teso e far resistere il filo delle relazioni e del dialogo tra chi la pace non la evoca soltanto, ma vuole attivarla. Non è semplice riuscirci, ma in questo momento c’è anche l’opportunità di collegarsi alle istanze della solidarietà attiva. Alcune associazioni impegnate nelle reti civiche e di solidarietà a livello europeo e internazionale di Moldova, Polonia, Romania sono pienamente impegnate nelle azioni di aiuto e prima accoglienza delle genti in fuga dall’Ucraina. È nostro compito sostenere questo impegno eccezionale: non vanno lasciate sole ad affrontare un’emergenza le cui dimensioni e caratteristiche, come la tempistica e la durata, sono evidenti ma non completamente prevedibili. Noi ci siamo, ma serve un maggiore e convinto coinvolgimento delle nostre comunità.
Silvia Stilli, portavoce di Aoi