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Con una lettera indirizzata al presidente della Fifa Gianni Infantino, l’Ituc Africa (l'organizzazione regionale africana della Confederazione internazionale dei sindacati) ha espresso profonda preoccupazione per la decisione di assegnare la Coppa del mondo di calcio 2034 all’Arabia Saudita. L’organizzazione, che rappresenta oltre 18 milioni di membri in 52 Paesi africani, ha denunciato il grave rischio che l'evento possa aumentare lo sfruttamento e gli abusi contro i lavoratori migranti, in particolare africani, già in atto nel regno saudita.
Secondo Ituc-Africa e il suo segretario Akhator Joel Odigie, la scelta della Fifa di assegnare un punteggio di 4.2 su 5 al Regno per il rispetto dei diritti umani relativi al torneo è “profondamente fuorviante”. La valutazione, afferma l’organizzazione, ignora sistematicamente il contesto generale dei diritti umani in Arabia Saudita, caratterizzato da abusi sistematici contro i lavoratori migranti.
Il sistema Kafala, una struttura di sfruttamento
Uno dei punti centrali delle critiche mosse Odigie riguarda il “sistema Kafala”. Significa “fideiussione” in diritto islamico, ed è un modello di sponsorizzazione lavorativa che lega i migranti ai loro datori di lavoro, concedendogli un controllo eccessivo sulla vita e sullo status legale dei lavoratori. Sebbene siano state annunciate riforme parziali, il sistema rimane attivo e rappresenta, secondo l’organizzazione, “un meccanismo di schiavitù moderna”. Le violazioni accertate comprendono lavoro forzato e condizioni contrattuali coercitive, la confisca dei passaporti, orari di lavoro eccessivi senza riposo; ma anche maltrattamenti fisici e psicologici, che includono aggressioni e minacce. In un rapporto redatto dalla ong Walk Free nel 2023, l’Arabia Saudita è stata classificata tra i Paesi con un’alta prevalenza di schiavitù moderna.
Testimonianze scioccanti
Nella lettera, Ituc Africa ha condiviso testimonianze anonime di lavoratori africani che hanno subito abusi nel regno. E le testimonianze sono scioccanti. Un lavoratore etiope ha raccontato di essere stato costretto a lavorare per sei mesi senza paga e senza possibilità di lasciare il lavoro, poiché il suo passaporto era stato confiscato. Un keniota ha detto di aver lavorato 18 ore al giorno, rinchiuso in casa dal datore di lavoro, e di essere stato aggredito fisicamente per aver chiesto il pagamento del salario. Una cuoca eritrea è stata obbligata a lavorare anche come manovale senza ricevere cure mediche per gli infortuni subiti. Un migrante somalo ha invece detto di essere stato trattato “come un prigioniero”, mentre un nigeriano ha riferito di essere stato costretto a lavorare in condizioni fisicamente devastanti sotto la minaccia costante di ritorsioni.
Appello alla Fifa
Ituc Africa accusa quindi la Fifa di ignorare deliberatamente questi abusi, dando priorità agli interessi finanziari rispetto ai diritti umani. Il sindacato africano ha chiesto alcune azioni immediate da parte della federazione calcistica internazionale. Tra queste c'è l’abolizione del sistema kafala, l'adozione di leggi sul lavoro che garantiscano salari equi e condizioni sicure, l’istituzione di un organismo di monitoraggio indipendente per supervisionare i preparativi del torneo, e la tutela della libertà di associazione dei lavoratori.
Un messaggio devastante
La decisione della Fifa rischia di mandare un messaggio devastante, avverte Odigie: “Lo sfruttamento dei lavoratori africani diviene accettabile finché serve gli interessi finanziari.” L'Ituc ha dichiarato che continuerà a mobilitare il movimento sindacale globale per contrastare la decisione e garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali dei lavoratori migranti.
“La Fifa deve decidere se stare dalla parte di chi sostiene i diritti umani, la giustizia e l’uguaglianza, o di chi sfrutta e opprime,” conclude la lettera. La pressione sulle istituzioni del calcio per affrontare queste criticità è destinata a crescere nei mesi a venire, mentre il mondo attende di vedere se la Coppa del mondo 2034 sarà realmente un esempio di inclusione e rispetto dei diritti, o solo un’altra occasione persa.