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Oggi, 12 dicembre, i sindacati europei scendono in piazza a Bruxelles. Una manifestazione, quella indetta e coordinata dalla Confederazione dei sindacati europei (Ces), che chiama a mobilitarsi contro l'austerità 2.0. E che ha alle spalle un lungo percorso di mobilitazione lanciato, se vogliamo, proprio dalla Cgil di Maurizio Landini nel corso del congresso berlinese, e primaverile, della Ces. Ne parliamo con Salvatore Marra, coordinatore dell’Area politiche europee e internazionali della Cgil.
Qual è il pericolo di una nuova ondata di austerità nelle istituzioni europee e negli Stati membri?
Non si tratta di un pericolo ma di una vera e propria realtà. In numerosi Paesi è già scattata la corsa all'austerità. Il pericolo successivo è che tutto ciò influisca sulla riforma della governance europea in discussione proprio in questi giorni. Una riforma che è stata al centro del dibattito nel comitato esecutivo del sindacato europeo, ma anche degli incontri che il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha tenuto a Bruxelles la scorsa settimana. È un passaggio cruciale.
Puoi spiegarci il motivo?
È cruciale perché dalle regole che ci daremo a livello europeo per i prossimi anni dipendono anche gli investimenti. E dipende la tenuta del nuovo paradigma avviato con Next generation EU, con Sure e con le altre misure approvate dopo la pandemia per affrontare la crisi. Misure espansive che, con la sospensione del Patto di stabilità e crescita, con la sospensione della famosa clausola del 3%, hanno dato la possibilità di crescere e fare investimenti.
Se si ritornasse ai vecchi vincoli di stabilità e crescita, cosa succederebbe?
Se si tornasse sciaguratamente al Patto di stabilità come lo conoscevamo, non ci sarebbero più fondi per le transizioni verde e digitale, né per gli investimenti nel pubblico impiego, nella scuola, nelle infrastrutture. Si fermerebbero pressoché tutte le leve che fanno crescere l'economia.
Quali sono le altre priorità della manifestazione? E quali le ragioni a cuore della Cgil?
Le priorità sono molte. La prima l’abbiamo affrontata, ma la ripeto: è sicuramente dire no all'austerità. Ma c’è anche la necessità di far crescere i salari, che sono troppo bassi. Poi ci sono altre due priorità chiave. Una è quella di proteggere e rafforzare la contrattazione collettiva con l'introduzione di un salario minimo e di una legge quadro sulla rappresentanza. Tutti temi peraltro presenti all'interno della Direttiva quadro europea sul salario minimo e sulla contrattazione collettiva. C'è poi un tema più generale, che però è fondamentale e interessa l'Europa. Ovvero la stabilità dal punto di vista geopolitico. Quindi la pace e la democrazia, e la necessità di fermare questa corsa folle al riarmo.
Il termometro politico dell'Europa dà segnali contraddittori. Da un lato la Spagna rilancia il governo delle sinistre e manda un messaggio importante a tutto il continente. Dall'altro l'Olanda si affida al populismo di Wilders. Qual è il tuo giudizio?
I segnali in Europa sono contraddittori, è vero. Il voto in Polonia ha impresso una svolta europeista a quel Paese. In Spagna, con una risicatissima maggioranza, il centrosinistra tiene. Ma più in generale, purtroppo, se guardiamo alla maggioranza dei governi nei Paesi europei, ci troviamo di fronte a coalizioni “blu-nere”. Quindi conservatori al potere oppure - ahinoi, come ad esempio accaduto in Olanda, in Italia e in alcuni paesi nordici, inclusa la Svezia - governi a carattere autoritario e neofascista. Questa situazione è anche il frutto delle politiche di austerità. Lo dimostra uno studio interessante, l’Eurobarometro pubblicato qualche giorno fa dalla Commissione europea, dal quale si evince come in Europa le aree più inclini a votare per l'estrema destra siano quelle più depresse economicamente.
Quale Europa chiederà la piazza di Bruxelles?
Un'Europa sociale che metta al centro le lavoratrici, i lavoratori, i cittadini e i loro bisogni, la pace e la solidarietà, la crescita economica basata sull'individuo e non sul profitto, la lotta all'evasione fiscale, alla criminalità organizzata, alle mafie. Un'Europa che guardi al futuro, al progresso e all'uguaglianza, alla solidarietà fra Paesi e tra generazioni. Il contrario dell'Europa chiusa, costruita su muri e divisioni verso la quale spingono le destre estreme.
Recentemente Mario Draghi ha parlato di un momento critico per la Ue, di una paralisi istituzionale e di un modello di crescita dissolto. Condividi questa analisi? Quali sono i problemi più gravi dell'Europa in questa fase?
Più che altro il problema è che le istituzioni europee, per come sono disegnate oggi, non sono più al passo con i tempi, e hanno bisogno di una riforma profonda. La Cgil ha seguito con attenzione, anzi è stata coinvolta direttamente nella Conferenza sul futuro dell'Europa. Ne sono scaturiti importanti indirizzi di riforma che dovranno avvicinare le istituzioni europee alla cittadinanza. Bisogna proseguire su quella linea. Bisogna avvicinare i cittadini alle istituzioni democratiche. Perché l'Europa ha questioni gravissime da affrontare. Prima fra tutte una sfida di ordine geopolitico. Come si colloca la Ue nel mondo? Occorre una risposta. Come ha detto papa Francesco, la terza guerra mondiale si sta componendo un pezzo dopo l’altro. L'Europa è stretta fra guerre e tensioni geopolitiche enormi. Ma senza un'Europa unita anche dal punto di vista delle politiche estere, saremo sempre più in difficoltà. Anche perché il nostro è un continente che invecchia ed è circondato da aree geografiche giovanissime, come l’Africa, che hanno bisogno di crescere, che hanno fame di giustizia sociale e di democrazia. È vitale avere una strategia unica su aspetti globali come la pace, la democrazia, lo Stato di diritto.
Ma l’Europa va o no in questa direzione?
Le prossime elezioni del 2024 saranno un momento chiave per capirlo.