PHOTO
Il summit Brics, con i Paesi emergenti riuniti a Kazan’, rappresenta per la Cina l'opportunità di porsi a capo dell'espansione del gruppo e di potenziare la sua influenza a livello globale. Al termine del bilaterale tra Cina e Russia, i due presidenti, Xi Jinping e Vladimir Putin, hanno definito una “relazione modello” quella tra i due Paesi, dichiarando di volere rafforzare la loro cooperazione per “garantire la sicurezza globale”.
Un altro bilaterale cinese, quello con il premier indiano Narendra Modi, il primo dopo gli scontri di frontiera del 2020, è andato nella direzione di una distensione strategica nei rapporti tra i due Paesi. Inoltre a Kazan’ Xi Jinping ha espresso anche la forte esigenza di riformare l’architettura finanziaria internazionale. Tutte prove provate, se ce ne fosse stato bisogno, che la Cina tende a imporsi come grande potenza, nonostante continui a rimanere nell’elenco dei Brics.
Alessandra Colarizzi, direttrice editoriale di China Files, giornalista e saggista, ci aiuta a capire quale tipo di interlocutore sia nei rapporti internazionali questo grande Paese che abbiamo sempre definito “in via di sviluppo”: “Possiamo definire la Cina una potenza internazionale per la capacità di sfruttare la disponibilità a investire in varie parti del mondo ed è probabilmente una delle leve che permette al paese di acquisire maggiore influenza a livello internazionale, soprattutto nei Paesi emergenti. Allo stesso tempo non lo è ancora per quanto riguarda il cosiddetto soft power, perché ancora gli Stati Uniti hanno una superiorità a livello internazionale, soprattutto in Occidente”.
Sviluppare potenza
“È però interessante il discorso che riguarda questo status di Paese in via di sviluppo che la Cina effettivamente non ha ancora abbandonato – prosegue –. Pechino stessa utilizza questo termine molto spesso quando si deve descrivere. È vero che effettivamente è un Paese in via di sviluppo per il pil pro capite, che non è lontanamente ancora equiparabile ai Paesi europei e agli Stati Uniti, viste le notevoli sacche di povertà soprattutto nella sua parte occidentale, ma in realtà questa etichetta è stata ritirata fuori anche per questioni prettamente politiche e in particolare rispetto alla guerra in Ucraina”.
Xi Jinping a Kazan’ ha incontrato anche il presidente egiziano Al Sisi, affermando che la Cina è pronta a collaborare con l’Egitto per il cessate il fuoco in Medioriente. Anche questa guerra influisce sulle posizioni e sul ruolo cinesi, perché, dice Colarizzi, c'è un progressivo isolamento dall'Occidente che l'ha portata quindi a rinforzare i rapporti con quello che un tempo si definiva “il terzo mondo”. La Cina ufficiale, aggiunge, “non parla di alleanze, ma sicuramente siamo in presenza di partenariati molto stretti con altri Paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa, ma anche in tutta l'America Latina, che viene un po' considerata il cortile di casa degli Stati Uniti”.
“Nonostante alcuni strappi negli ultimi anni con il Brasile, soprattutto durante il governo Bolsonaro, i rapporti con il Sud globale sono tornati a essere molto molto stretti proprio in risposta a questo isolamento a Occidente. Quindi c'è stato il rafforzamento dei rapporti tra Pechino e Mosca e anche una posizione sempre più schierata in Medio Oriente”, spiega Colarizzi.
Le inversioni cinesi
Sul versante della guerra in Ucraina, invece, “una certa ambiguità viene ancora tollerata, nonostante l'amicizia strettissima con la Russia, con un ritorno della Cina a questo status di Paese in via di sviluppo per comodità politica, ed è interessante vedere come con questa svolta ci sia una netta inversione a U rispetto al decennio precedente. All'epoca dell'amministrazione Obama la Cina aveva avanzato una proposta per portare avanti una nuova relazione tra grandi potenze, cercando di proporsi agli Stati Uniti come un interlocutore pari a pari. Ora tutto ciò è stato molto ridimensionato”.
Anche per il capitolo inerente ai trattati sui cambiamenti climatici la Cina, in passato, aveva utilizzato l'etichetta di Paese in via di sviluppo “per smarcarsi da alcune responsabilità rispetto a dossier molto importanti, uno su tutti appunto quello relativo al clima. Ora invece la Cina sta tentando di proporsi come un player responsabile nel portare avanti una transizione ecologica, tanto che anche in termini di investimenti nelle energie verdi è sicuramente il Paese più attivo”.
A Taiwan tattica più che strategia
Per Taiwan, ma anche per il cosiddetto Occidente, dopo le minacce muscolari cinesi dei giorni scorsi, in molti si stanno ponendo la domanda su quale strategia stia adottando la Cina: “Secondo me se lo sta chiedendo anche Xi Jinping –dice con una battuta Colarizzi –. Non credo che l'immediata priorità sia la riunificazione, ma evitare che Taiwan dichiari l'indipendenza perché questo è veramente in assoluto il terrore che agita i sogni di Xi Jinping e compagni. Xi Jinping spererebbe quindi di riuscire, se non a riunificare fisicamente Taiwan alla Cina continentale, quantomeno a operare una riunificazione da un punto di vista economico.
L’Africa, terra di sfruttamento
Il continente africano è ancora una volta terra oggetto di mero sfruttamento. La Cina, negli ultimi vent’anni, è stata il principale investitore in Africa, seguita da Russia e Turchia, ma “il suo coinvolgimento si sta riducendo progressivamente. Negli anni ‘90 – spiega la giornalista – la Cina era focalizzata sull’emancipazione economica. Con Xi Jinping il discorso si è fatto più ideologico. C'è stato un tentativo di compensare il rallentamento dell'economia, non perfettamente riuscito, con una maggiore enfasi sull'ideologia, sul nazionalismo, e l'Africa, essendo comunque un continente che conta più di 50 Paesi peraltro con diritto di voto all'Onu, ha un peso politico sempre più rilevante, soprattutto per la Cina”.
E ancora: “Questi Paesi del Sud globale si stanno rivolgendo alla Cina e alla Russia per manifestare la propria insoddisfazione nei confronti dell'Occidente. Siccome anche gli Stati Uniti stanno cominciando a parlare di un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell'Onu per l'Africa, proprio in risposta alla suddetta insoddisfazione, la Cina sta capitalizzando questi passi falsi degli Stati Uniti e dei Paesi europei che hanno un trascorso storicamente molto travagliato in Africa, anche se poi vediamo che la logica di Cina, Russia e anche Turchia è sempre e comunque predatoria nei confronti dell'Africa”.
Nel ventunesimo secolo, però, ci sono affari che interessano anche una parte degli africani, non di coloro che vengono sfruttati magari nell’estrazione delle terre rare che servono per la nostra tecnologia, ma di chi detiene il potere: “Il rapporto è ancora molto asimmetrico e molto spesso sono i leader africani ad andare a Pechino col cappello in mano e molto più raramente il contrario".
La propaganda riesce però ad avere sempre la meglio, tanto che, conclude Colarizzi, “c’è un recente sondaggio molto interessante tra la popolazione africana e che prendeva in considerazione una fascia di età di giovanissimi fino ai 25 anni: tra loro c’era un tasso di approvazione nei confronti della Cina intorno al 90 per cento”.