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Il Cile raccontato da Damiela Eltit (del suo romanzo Manodopera, Collettiva pubblica un estratto) è un avamposto attuale dello scontro eterno, per quanto possa essere eterna la storia dell’umanità, tra diritto e prevaricazione, uguaglianza e dominio. Il Cile sta nel nostro cuore politico.
L’improvvisa e imprevista esacerbazione della pandemia, nonostante inoculazioni a tappeto di un vaccino anti-Covid, quello cinese, che si è rivelato poco efficace, ha riportato il paese nel lockdown, nella malattia e nella morte. E ha consentito al presidente Sebastián Piñera di rinviare il voto per l’Assemblea costituente, tra ragione di Stato e pretesto.
Le elezioni erano previste per il 10 aprile. Sono state rinviate al 15/16 maggio. "Non abbiamo ritenuto prudente o opportuno organizzare le elezioni il prossimo fine settimana", ha annunciato Piñera a inizio aprile: "Le ragioni sono molto solide: prendersi cura della salute dei nostri connazionali e della salute della nostra democrazia". Esattamente quello che non ha fatto finora.
L’appuntamento con le elezioni presidenziali del 21 novembre, con primarie in calendario il 18 luglio, è invece confermato.
Come ha spiegato al Manifesto Camila Vallejo, ex leader studentesca e attuale deputata del Partito comunista cileno, “ci siamo imbattuti in una sorta di ricatto: il governo ha detto che se volevamo proteggere la salute delle persone eravamo obbligati a posticipare il voto”. Prosegue Vallejo: “Il presidente non può dire che non poteva prevedere questo scenario. Dà molto fastidio che dopo tutte le avvertenze non si possa far altro che posticipare le elezioni, sebbene sia cominciato un processo di vaccinazione accelerato. Sapevamo tutti che la pandemia non si sarebbe combattuta solo con il vaccino, tuttavia hanno concesso vacanze, aperto scuole, centri commerciali, casinò, non hanno chiuso le frontiere, il trasporto pubblico è collassato dietro la logica di mantenere il lavoratore produttivo, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: abbiamo oltre 7mila nuovi contagi al giorno, tanti morti e due nuove varianti di Covid. La cosa più tragica è che nessuno assicura che a maggio la situazione sarà migliore”.
Il processo costituente cileno dovrà quindi attendere ancora un mese per partire. Ma è già in movimento. Lo scorso ottobre quasi sei milioni di cileni (il 78,27% dei voti nel referendum) hanno detto sì a una nuova Costituzione, approvando la convocazione di una Convenzione costituente composta al 100% da rappresentanti eletti. A metà maggio dovranno eleggere 155 membri cui affidare il mandato di elaborare una “Nuova Costituzione politica”.
“Si tratta di un momento di destituzione – chiarisce Vallejo -. Per prima cosa rimuoveremo la Costituzione di Pinochet, per poi costituire una nuova carta fondamentale”.
È un cambiamento che né il Covid né Piñera riusciranno a fermare.