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L’eredità di Trump, la vergogna e l’opportunità
The Economist, 8 gennaio 2021
L’invasione di Capitol Hill e la vittoria dei democratici in Georgia cambieranno il corso della presidenza Biden
Quattro anni fa Donald Trump era di fronte all’edificio del Campidoglio per insediarsi e prometteva di mettere fine alla “carneficina degli americani”. Il suo mandato si conclude con un presidente uscente che esorta la folla a marciare contro il Congresso, per poi elogiarla dopo aver fatto ricorso alla violenza. Non c’è dubbio che Trump sia l’autore di questo assalto mortale al cuore della democrazia americana. Le sue menzogne alimentano le pretese, il suo disprezzo per la costituzione si è concentrato sul Congresso e la demagogia ha dato fuoco alla miccia. Le immagini della folla che irrompe nel Campidoglio, trasmesse piacevolmente a Mosca e a Pechino e sgradevolmente a Berlino e a Parigi, sono le immagini distintive di una presidenza Trump estranea all’America.
La violenza perpetrata pretendeva essere una prova di forza. In realtà, mascherava due sconfitte. Mentre i sostenitori di Trump rompevano i vetri per entrare, il Congresso stava per convalidare i risultati elettorali dell’incontrovertibile perdita di novembre del presidente. Mentre la folla distruggeva le finestre per entrare, i democratici stavano celebrando due improbabili vittorie in Georgia che conferiranno loro il controllo del Senato. Le rivendicazioni della folla riecheggeranno attraverso il partito Repubblicano quando si troverà all’opposizione. Questo avrà conseguenze per la presidenza di Joe Biden, che inizierà il mandato il 20 gennaio.
Prendendo le distanze dal non senso delle elezioni rubate, diventa chiara l’entità del fallimento dei repubblicani. Avendo vinto alla Casa Bianca e ottenuto la maggioranza al Congresso nel 2016, la sconfitta in Georgia significa che il partito ha perso tutto appena quattro anni dopo. L’ultima volta che era accaduto ai repubblicani risale al 1892, quando le notizie dell’umiliazione ricevuta da Benjamin Harrison arrivarono via telegrafo.
Normalmente, quando un partito politico subisce una sconfitta di dimensioni tali, trae delle lezioni e ritorna sulla scena più forte. Questo è quanto fecero i repubblicani dopo la sconfitta di Barry Goldwater nel 1964, e i democratici dopo quella di Walter Mondale nel 1984.
Reinventarsi sarà più difficile questa volta. Persino con la sconfitta, il livello di gradimento di Trump tra i repubblicani ha raggiunto il 90%, molto meglio del 65% raggiunto da George W. Bush nell’ultimo mese della sua presidenza. Trump ha sfruttato questa popolarità per creare il mito di aver vinto le elezioni presidenziali. Il sondaggio condotto da YouGov per l’Economist svela che il 64% degli elettori repubblicani pensa che la vittoria di Biden doveva essere bloccata dal Congresso.
Forse il 70% della Camera e un quarto dei deputati al Senato si sono resi complici per aver cospirato giurando di tentare di fare proprio questo, con la vergogna che molti di loro hanno continuato persino dopo l’assalto al Congresso. Questa bravata antidemocratica non ha precedenti nell’era moderna (né alcuna possibilità di riuscita). Eppure, è un segno del controllo maligno di Trump. Dopo aver visto come ha interrotto le carriere dei suoi fedelissimi, come quella di Jeff Sessions e di quasi ogni altro eletto, come il governatore della Florida, Ron DeSantis, coloro che fanno le primarie sono terrorizzati all’idea di provocarlo.
Il mito elettorale scatenato da Trump può aver spezzato il ciclo di reazioni necessarie perché il partito cambiasse. Un conto è rinunciare a un leader e a una strategia fallita. Altra cosa, completamente diversa, è abbandonare qualcuno che te e la maggior parte dei tuoi amici crede essere un presidente giusto, il cui potere è stato sottratto attraverso un'enorme frode dai tuoi nemici politici.
Se verrà qualcosa di buono dall’insurrezione di questa settimana, sarà che questo modo di pensare perderà parte della sua attrattiva. Aver visto un sostenitore di Trump sdraiato sulla poltrona della presidente della Camera dovrebbe far inorridire gli elettori repubblicani a cui piace credere che il loro sia il partito dell’ordine e della costituzione. Aver sentito Trump incitare la rivolta al Campidoglio potrebbe convincere parti della middle America a voltargli una buona volta le spalle.
Per Biden, molto dipende dal fatto se al Senato i repubblicani scettici nei confronti di Trump condividono queste conclusioni. Questo spiega il motivo per cui la vittoria di Jon Ossoff e di Raphael Warnock, il primo democratico afroamericano eletto al Senato proveniente dal Sud, abbia improvvisamente aperto la possibilità che il governo di Washington DC possa essere meno afflitto dall’ostruzionismo repubblicano e dalle bravate trumpiane.
Una settimana fa, quando l’opinione diffusa era che il Senato sarebbe rimasto sotto il controllo dei repubblicani, sembrava che le ambizioni dell’amministrazione Biden fossero limitate a quanto avrebbe potuto realizzare con gli ordini esecutivi e le nomine negli enti regolatori. Con la suddivisione dei seggi al Senato della metà per ciascun partito, con la vicepresidente Kamal Harris a cui spetta il voto di spareggio, i democratici hanno al momento una maggioranza risicata che non permetterà a Biden di fare le miracolose riforme radicali che molti democratici vorrebbero, ma farà la differenza.
Ad esempio, Biden potrà confermare le sue nomine nella magistratura e nel governo. Il controllo dell’agenda legislativa al Senato passerà dai repubblicani ai democratici. Mitch McConnell, il leader uscente della maggioranza al Senato che questa settimana ha parlato con forza contro il vandalismo di Trump, è stato un maestro nel bloccare i voti che avrebbero diviso il suo gruppo. Questo ha creato a Washington una situazione di stallo di cui gli elettori incolpano il partito del presidente.
I democratici potrebbero, inoltre, riuscire a far passare alcune misure al Senato mediante la riconciliazione, una peculiarità procedurale che permette alle leggi di bilancio di essere approvate con una maggioranza di uno o più voti, anziché dei 60 voti necessari per evitare l’ostruzionismo, che rimarrà, anche se gran parte dell’ala sinistra del partito vorrebbe rinunciarvi.
I repubblicani entrano in gioco con i voti trasversali. Più pensano che la middle America si sia inorridita per la rivolta, più è probabile che alcuni di loro rifiutino il caos di bloccare tutto per il gusto di farlo. Più il loro gruppo è in guerra con se stesso, più saranno liberi di fare la loro parte per ripristinare la fede nella repubblica facendo qualcosa.
Per i repubblicani, il prezzo del maledetto accordo che il loro partito ha concluso con Trump non è mai stato più chiaro. I risultati elettorali di novembre hanno dato segnali che un partito riformato potrebbe vincere di nuovo le elezioni presidenziali. Gli elettori americani continuano a essere diffidenti nei confronti del grande governo e dal 1962 non hanno mai conferito a un partito più di due mandati alla Casa Bianca. Ma per riuscirvi, e, cosa ancora più importante, per rafforzare la democrazia americana ancora una volta, anziché minacciarla, devono mandare via Trump, che, oltre a essere uno sconfitto di proporzioni storiche, ha dimostrato di voler incitare la carneficina al Campidoglio.
Per leggere l'articolo originale: Trump’s legacy—the shame and the opportunity
Trump è il responsabile dell’assalto a Capitol Hill
The New York Times, 7 gennaio 2021
Il presidente ha incitato i suoi seguaci alla violenza. Devono esserci conseguenze
Il presidente Trump e i suoi sostenitori repubblicani al Congresso hanno incitato, mercoledì, un assalto violento contro il governo di cui sono alla guida e la nazione che dicono di amare. Non si può consentire che questo accada. La retorica faziosa di Trump ha indotto una folla di migliaia di persone a prendere d’assalto l’edificio del Campidoglio degli Stati Uniti, permettendo ad alcuni di fare irruzione nei piani della Camera e del Senato, dove i rappresentanti eletti dalla nazione si erano riuniti per adempiere al loro dovere costituzionale di contare i voti elettorali e confermare l’elezione di Joe Biden come presidente.
Alcuni portavano la bandiera confederata mentre assalivano la sede del governo americano e obbligavano il Congresso a sospendere il dibattito. Hanno distrutto finestre e sfondato porte, scontrandosi con gran parte delle forze di sicurezza mentre gridavano sostegno a Trump e disapprovazione per i risultati elettorali del 2020. Una donna è stata uccisa. I dirigenti della nazione sono stati costretti ad abbandonare l’aula per cercare rifugio. Sono stati trovati degli esplosivi nel Campidoglio e in diverse località di Washington. Le proteste a favore di Trump hanno, inoltre, portato alla chiusura delle sedi istituzionali in tutto il Paese.
Trump ha provocato questo assalto. Per mesi ha inveito contro il verdetto emesso dagli elettori a novembre. Ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori a Washington in questa giornata e li ha incoraggiati a marciare sul Campidoglio. Ha detto loro che le elezioni sono state rubate. Ha detto loro di combattere. Ha detto che si sarebbe unito a loro e, anche quando hanno preso d’assalto l’edificio, per lunghe ore si è rifiutato di fermarli, di condannare le loro azioni, di alzare un dito in difesa della costituzione che aveva giurato di preservare e di proteggere. Quando, poi, ha parlato a fine giornata ha confermato la rabbia dei manifestanti, dicendo loro ancora una volta che le elezioni era state rubate, ma chiedendo loro di tornare a casa. È stata la condotta di un uomo che non vuole adempiere ai propri doveri di presidente o che non vuole affrontare le conseguenze del proprio comportamento.
Il presidente deve essere ritenuto responsabile, attraverso il procedimento di impeachment o il processo penale, e lo stesso vale per i suoi sostenitori che hanno praticato la violenza. A tempo debito, dovrà essere condotta un’indagine per accertare il motivo per cui la polizia del Campidoglio non fosse pronta ad affrontare un assalto annunciato e pianificato in pubblico.
Questo non è solo un attacco ai risultati elettorali delle elezioni del 2020. Costituisce un precedente, l’autorizzazione a un'opposizione simile di fronte ai risultati delle prossime elezioni. Un fatto che deve essere respinto sembra alcun dubbio e considerato oltre il limite di una condotta ammissibile. Anche i dirigenti del partito Repubblicano devono assumersi una certa responsabilità dell’assalto al Campidoglio.
Molti nel Grand Old Party hanno preso parte all’attività vigorosa di vendita al dettaglio di menzogne sulle elezioni. Hanno cercato di compromettere la fiducia dell’opinione pubblica nella democrazia, mettendo in dubbio la legittimità della vittoria di Biden senza fornire alcuna prova delle loro rivendicazioni. Le loro dichiarazioni hanno indotto alcuni che riponevano fiducia in loro a giungere alla conclusione della necessità della violenza.
Pochi sono stati talmente espliciti come l’avvocato personale del presidente, Rudy Giuliani, che all’inizio di mercoledì ha suggerito: “Facciamo un processo con la battaglia!”. Ma mentre gli estremisti infuriavano attorno al Campidoglio, scagliandosi contro le barriere di sicurezza, i repubblicani alla Camera ed al Senato stavano erodendo la democrazia dall’interno. Il senatore repubblicano del Texas, Ted Cruz, ha invocato la commissione del 1877, che risolse le controverse elezioni presidenziali del 1876, come modello da applicare alle elezioni del 2020 sulle quali, secondo quanto ha definito, ci sarebbe un ragionevole dubbio. Non esiste alcuna prova di fatto che metta in dubbio il voto del 2020, l’analogia presentata da Cruz è storicamente significativa. Nelle elezioni del 1876, i democratici bianchi utilizzarono la violenza politica diffusa per evitare che la popolazione nera andasse a votare e poi chiesero la fine della ricostruzione come prezzo da pagare per la sopravvivenza di una repubblica compromessa, dando il via a un periodo di terrore razziale e rafforzando l’esclusione dei neri del sud dalla democrazia partecipativa.
Il moderno partito Repubblicano, nei suoi tentativi sistematici di sopprimere il voto, e nel suo rifiuto di riconoscere la legittimità delle elezioni perse, sta cercando analogamente di conservare il proprio potere politico negando il diritto di voto. L’insurrezione di mercoledì è la prova di una volontà spaventosa di perseguire l’obiettivo con la violenza. È chiaro che alcuni Repubblicani iniziano a temere le conseguenze del riconoscimento del comportamento di Trump. Prima che iniziasse l’assalto, il senatore leader della maggioranza repubblicana, Mitch McConnell, ha condannato gli sforzi dei suoi compagni di partito di stravolgere i risultati elettorali. Ma il suo gesto eloquente è stato allo stesso tempo troppo piccolo ed è arrivato troppo tardi. Coloro che seminano vento, raccolgono tempesta.
Altri politici hanno espresso condanne più ferme. L’ex candidato alle presidenziali, Mitt Romney, ha twittato: “Quanto accaduto al Campidoglio degli Stati Uniti oggi è stata un’insurrezione, incitata dal presidente degli Stati Uniti.” La Costituzione prevede che il Congresso annunci il conteggio dei risultati delle elezioni presidenziali il 6 gennaio dell’anno successivo. Anche se una folla è riuscita a bloccare questo processo, non potrà impedire che accada, né potrà impedire l’insediamento di Biden che avverrà tra due settimane. Ma l’assalto rievoca la fragilità dell’autogoverno.
Il 6 gennaio del 2021 rimarrà un giorno buio. Il problema è se, anche quando il mandato di Trump finirà, l’America si troverà all’inizio di una discesa verso un’epoca ancora più buia e più divisa o alla fine di un’epoca. Il pericolo è reale, ma la risposta non è scontata. I politici repubblicani hanno il potere e la responsabilità di indicare un corso diverso ponendo fine ai loro assalti retorici alla democrazia americana e all’insurrezione in difesa della nazione che hanno giurato di servire.
Per leggere l'articolo originale: Trump Is to Blame for Capitol Attack
I lavoratori di Google si organizzano in sindacato
The New York Times, 5 gennaio 2021
È stato reso noto lunedì (4 gennaio) che oltre 400 ingegneri e lavoratori hanno costituito un sindacato all’interno di Google che per lunghi anni ha ostacolato il crescente attivismo sindacale, testa di ponte rara per gli organizzatori sindacali di una delle aziende più grandi al mondo della Silicon Valley, decisamente antisindacale
La costituzione di un sindacato è molto inusuale nel settore dell’alta tecnologia che da tempo resiste ai tentativi della sua forza lavoro, in gran parte composta da colletti bianchi, di organizzarsi sindacalmente. La costituzione del sindacato ha fatto seguito alle richieste sempre più numerose dei dipendenti di Google di rivedere la politica in materia di retribuzioni, di molestie sessuali e di valori etici, che probabilmente aumenteranno le tensioni con i vertici della dirigenza.
Il nuovo sindacato, denominato Alphabet Workers Union, dal nome della società madre di Google, Alphabet, è stato organizzato in segreto durante la maggior parte dell’anno appena passato e ha eletto lo scorso mese i propri vertici. Il gruppo sindacale è affiliato al sindacato che rappresenta i lavoratori delle telecomunicazioni e dei media negli Stati Uniti e nel Canada, il Communications Workers of America, Cwa.
A differenza del sindacato tradizionale, che esige che un datore di lavoro si presenti al tavolo delle trattative per concordare i contenuti di un contratto, l’Alphabet Workers Union è un sindacato di minoranza che rappresenta una piccola parte dell’azienda che contra oltre 260.000 dipendenti a tempo pieno e collaboratori. I lavoratori hanno riferito che si tratta del primo tentativo di dotarsi di una struttura sindacale per dare continuità all’attivismo sindacale nell’azienda Google. Invece di negoziare per arrivare a un contratto. Chewy Shaw, ingegnere di Google presso la sede di Google a San Francisco Bay Area e vicepresidente del consiglio direttivo del sindacato, ha dichiarato che il sindacato è stato uno strumento necessario per sostenere la pressione sulla direzione in modo che i lavoratori potessero indurla a introdurre cambiamenti rispetto ai problemi afferenti al posto di lavoro.
“I nostri problemi superano quelli relativi al posto di lavoro delle 'persone che non sono pagate abbastanza'. I nostri problemi vanno oltre. È arrivato il momento che un sindacato dia risposte a questi problemi.” Il direttore di Google per le attività, Kara Silverstein, ha risposto: “Abbiamo sempre lavorato sodo per creare un posto di lavoro gratificante e stimolante per la nostra forza lavoro. Ovviamente, i nostri dipendenti godono della protezione dei diritti del lavoro che noi sosteniamo. Come abbiamo fatto sempre, continueremo a impegnarci direttamente con tutti i nostri dipendenti".
Il nuovo sindacato è il segno più evidente di come l’impegno dell’attivismo sindacale abbia investito la Silicon Valley negli ultimi anni. Mentre gli ingegneri del software e altri lavoratori del settore tecnologico sono rimasti in gran parte silenti rispetto alle questioni di natura sociale e politica, i dipendenti di Amazon, Salesforce, Pinterest e di altre aziende hanno partecipato di più su questioni relative alla diversità, alla discriminazione salariale e alle molestie sessuali.
Queste voci si sono alzate con forza al'interno di Google come in nessuna altra parte. Nel 2018, oltre 20.000 dipendenti organizzarono uno sciopero in segno di protesta su come l’azienda gestiva le molestie sessuali. Altri dipendenti si sono opposti a decisioni aziendali ritenute profondamente immorali, come la decisione di sviluppare l’intelligenza artificiale per il dipartimento della Difesa e fornire tecnologia alla dogana e alla protezione di frontiera.
Ciononostante, i sindacati hanno guadagnato terreno nella Silicon Valley. Molti lavoratori del settore tecnologico li hanno ignorati, spiegando che il sindacato si concentrava su questioni retributive, che non sono la preoccupazione principale nell’industria dove si guadagna molto e dove non si è attrezzati ad affrontare le preoccupazioni relative all’etica e al ruolo che la tecnologia ha nella società.
Gli organizzatori sindacali hanno incontrato difficoltà a mobilitare l’enorme forza lavoro delle aziende tecnologiche, sparse in tutto il mondo.
In passato solo le iniziative di piccoli sindacati hanno avuto successo. I lavoratori del sito di crowdfundig Kickstarter e la piattaforma per lo sviluppo dell’applicazione Glitchwon hanno realizzato compagne sindacali lo scorso anno e un piccolo gruppo di collaboratori dell’ufficio Google di Pittsburgh si è costituito in sindacato nel 2019. Migliaia di dipendenti di un magazzino di Amazon nell’Alabama voteranno nei prossimi mesi per la costituzione di un sindacato.
Sara Steffens, tesoriera del sindacato Cwa, ha affermato riguardo alla costituzione del nuovo sindacato in Google: “C'è chi vuole credere che l’organizzazione sindacale nel settore tecnologico sia impossibile”. “Che cosa comporta per il nostro Paese che non esistono sindacati nel settore tecnologico? Secondo il sindacato Cwa questo è il motivo per cui crediamo che il sindacato sia una priorità.”
Veena Dubai, professore di diritto presso la University of California, Hastings College of the Law, ha affermato che la presenza del sindacato nell’azienda Google è stato un “esperimento potente” perché ha portato la sindacalizzazione in un’azienda tecnologica importante e ha superato gli ostacoli che si sono frapposti a questa sindacalizzazione. “Se la sindacalizzazione aumenterà, cosa che Google farà di tutto per impedire, potrebbe avere conseguenze enormi non solo per i lavoratori, ma anche per le questioni più ampie a cui tutti noi stiamo pensando, quelle relative al potere della tecnologia nella società”.
La presenza del sindacato è destinata ad accrescere le tensioni tra gli ingegneri di Google, che lavorano in autonomia sulle auto, sull’intelligenza artificiale e sulla ricerca su internet, e la direzione dell’azienda. L’amministratore delegato, Sundar Pichai, e altri dirigenti hanno cercato di affrontare una forza lavoro sempre più attiva, ma hanno compiuto dei passi falsi. I funzionari federali hanno dichiarato lo scorso mese che Google aveva sbagliato a licenziare due dipendenti che avevano protestato, nel 2019, contro le attività del gruppo presso l'autorità per l’immigrazione.
Tinnit Gebru, donna nera, stimata ricercatrice di intelligenza artificiale, ha affermato il mese scorso che Google l’aveva licenziata in seguito alle critiche rivolte all’azienda per l’approccio adottato sull’assunzione delle minoranze etniche e per i pregiudizi presenti nei sistemi di intelligenza artificiale. Il suo licenziamento ha scatenato una tempesta di critiche sul modo in cui Google tratta i lavoratori delle minoranze.
Nelson Lichtenstein, direttore del centro studi del lavoro, Sindacato e Democrazia, presso la University of California, a Santa Barbara, ha affermato: “Per queste aziende è un problema anche quando un piccolo gruppo di persone dice: 'Noi che lavoriamo nell’azienda Google la vediamo diversamente'. Google potrebbe riuscire a decimare qualsiasi organizzazione dovesse presentarsi”.
Il sindacato Alphabet Workers Union, che rappresenta i lavoratori nella Silicon Valley e nelle città di Cambridge, Mass e Seattle, offre protezione e risorse a quanti vi aderiscono. I lavoratori che scelgono di iscriversi contribuiranno per l’1% del loro compenso totale a finanziare gli sforzi del sindacato. Lo scorso anno, il sindacato Communications Workers of America ha spinto a favore della sindacalizzazione dei colletti bianchi. (Il NewGuild è un sindacato che rappresenta i lavoratori del New York Times, e fa parte del Cwa). La decisione ha riguardato inizialmente i lavoratori delle aziende produttrici di videogiochi, che lavorano spesso facendo orari estenuanti e rischiano il licenziamento. I lavoratori che hanno partecipato agli incontri alla fine del 2019 hanno riferito che gli organizzatori sindacali del Cwa avevano incontrato i lavoratori di Google per discutere di un’azione sindacale. Alcuni di questi si sono resi disponibili e hanno firmato la scorsa estate le tessere sindacali di adesione ufficiale al sindacato. Il sindacato Alphabet Workers Union ha tenuto le elezioni nel mese di dicembre per votare il consiglio direttivo del sindacato composto da sette persone.
Diversi dipendenti di Google, che in precedenza avevano organizzato petizioni e proteste nell'azienda, si sono opposti alle proposte del Cwa, affermando di non voler aderire perché temevano che il loro impegno avrebbe emarginato gli organizzatori esperti e sminuito i rischi associati alla sindacalizzazione. Amr Gaber, ingegnere del software di Google che ha aiutato a organizzare lo sciopero nel 2018, ha riferito che in una telefonata intercorsa nel dicembre 2019 tra lui e altri, i funzionari del Cwa avevano mostrato diffidenza nei confronti di altre organizzazioni che avevano sostenuto i lavoratori di Google.
Per Gaber, "si sono preoccupati di più di rivendicare il proprio territorio invece di accogliere le richieste dei lavoratori al telefono. Come organizzatore dei lavoratori da lungo tempo e uomo di colore, questo non è il tipo di sindacato che voglio costruire". Il Cwa ha detto di essere stato scelto dai lavoratori di Google per aiutare a organizzare il sindacato senza aver dovuto sgomitare. Steffen del Cwa ha riferito che “Sono stati proprio i lavoratori a scegliere".
La maggioranza della forza lavoro aderisce di solito ai sindacati tradizionali che presentano la richiesta di tenere elezioni sindacali al consiglio di lavoro statale o federale, come la commissione nazionale per le Relazioni Industriali, il National Labor Relations Board. Se otterranno il riconoscimento tramite le elezioni, potranno negoziare un contratto con il datore di lavoro. Un sindacato di minoranza permette ai lavoratori di organizzarsi senza che questi tengano elezioni formali riconosciute dal Nlrb. Il Cwa ha utilizzato questo modello per organizzare gruppi di lavoratori, come lo State Employees Union nel Texas e lo United Campus Workers nel Tennessee, negli Stati dove le leggi sul lavoro erano sfavorevoli.
La struttura di cui si è dotato il sindacato permette di includere i collaboratori di Google, che sono in numero superiore ai lavoratori a tempo pieno e che altrimenti sarebbero esclusi da un sindacato tradizionale. Alcuni lavoratori di Google hanno preso in considerazione la possibilità di creare un sindacato di minoranza o di solidarietà da diversi anni, e i riders hanno costituito gruppi di lavoratori simili.
Secondo gli esperti del lavoro, il sindacato Alphabet Workers Union, anche se non potrà negoziare un contratto, potrà utilizzare altre tattiche per fare pressione su Google affinché cambi la sua politica. I sindacati di minoranza spesso ricorrono a campagne perché l'opinione pubblica eserciti pressione sugli organi legislativi o normativi al fine di influenzare i datori di lavoro. Shaw, vicepresidente del consiglio direttivo del sindacato, ha affermato: "Utilizzeremo ogni strumento possibile nella nostra azione collettiva per proteggere le persone che pensiamo siano discriminate o vittime di ritorsioni".
I lavoratori iscritti hanno citato la recente inchiesta della commissione nazionale per le Relazioni Industriali sul licenziamento di due dipendenti e il licenziamento di Gebru, la famosa ricercatrice, come motivo per ampliare il numero dei suoi iscritti e aumentare pubblicamente i suoi sforzi.
"Google sta rendendo ancora più chiaro il motivo per cui ne abbiamo bisogno ora", ha affermato Auni Ahsan, ingegnere del software di Google e membro del consiglio esecutivo del sindacato. "A volte il datore di lavoro è il miglior organizzatore".
Per leggere l'articolo originale: Google employees unionize
Ripresa a rischio nell’Europa del 2021
Le Monde, 4 gennaio 2021
La ripresa economica del vecchio continente dipenderà dall’evoluzione del Covid-19
L’Europa ha raramente iniziato un nuovo anno in una nebbia simile. L’elenco delle incertezze di questo inizio gennaio fa venire le vertigini: come sarà la terza ondata del Covid-19? La nuova variante del virus apparso nel Regno Unito ritarderà la crisi? Per quanto tempo ancora resisteranno sotto la pressione le nostre economie e il nostro tessuto sociale? Negli scenari dei prossimi mesi delineati con prudenza dagli economisti, l’evoluzione della pandemia e la sua gestione avranno un ruolo chiave. Molti temono un aumento delle disuguaglianze tra i Paesi membri, le imprese e le famiglie. Dato che sarà un anno cruciale per la fine della pandemia e la sperata svolta, il 2021 sarà un anno ad alto rischio. La sfida principale per gli Stati sarà quella di riuscire a realizzare la campagna vaccinale, senza la quale non potrà riprendere la fiducia e l’attività. Ma si tratterà anche di realizzare misure atte a contenere i danni economici e sociali che la crisi infliggerà ai nostri Paesi.
Una ripresa disomogenea delle attività negli Stati
Anche se nell’Unione europea la campagna vaccinale è iniziata alla fine di dicembre 2020, questa non basterà a evitare nei primi mesi del 2021 nuove restrizioni, indispensabili per contenere la pandemia. Secondo lo scenario delineato dallo studio della società britannica Oxford Economics, l’Unione europea dovrebbe riuscire a vaccinare, entro la fine del primo semestre dell’anno, circa il 30% della popolazione, a condizione che il virus non muti. Questo spianerebbe la strada per una ripresa solida, cioè forte, entro la fine dell’anno, con una ripresa dei consumi e degli investimenti. Secondo gli economisti di Crédit Agricole, “Il Pil della zona euro avrà colmato il divario tra deficit e Pil entro la fine del 2019 (+ 0,7%). Questa ripresa sarà, tuttavia, molto disomogenea a seconda dei Paesi: “La Germania e la Francia potrebbero tornare alla fine del 2022 ai livelli Pil superiori dell’1,2% e dello 0,5% a quelli registrati alla fine del 2019, mentre l’Italia e la Spagna registrerebbero ancora un Pil inferiore dello 0,7% e del 3,3%.
Questo per la semplice ragione che la pandemia, a seconda del livello di contaminazione, della durata delle restrizioni e della struttura del tessuto produttivo, ha colpito certi Paesi più duramente di altri, soprattutto nell’Europa meridionale, la cui economia dipende molto dal settore turistico. Secondo la Commissione europea, il Pil della Spagna dovrebbe diminuire del 12,4% nel 2020, rispetto al 9,4% della Francia e del 5,6% della Germania, prima di aumentare rispettivamente del 5,4%, del 5,8%, del 3,5% nel 2021. A differenza della crisi del 2008, che ha indebolito soprattutto il settore industriale, la pandemia colpisce soprattutto il settore dei servizi, dove si concentrano i posti di lavoro più precari. L’analista di Oxford Economics, Angel Talavera, spiega che “Poiché il settore industriale richiede un contatto fisico più basso, questo è meno esposto alle restrizioni sanitarie”. “Il settore industriale dovrebbe beneficiare nel 2021 della domanda estera e della riorganizzazione delle scorte.”
A eccezione dell’aeronautica che non dovrebbe tornare ai livelli pre-crisi prima del 2023, il settore dell’auto si riprenderà molto gradualmente. Gli economisti di Allianz stimano che il settore alberghiero e della ristorazione conosceranno previsioni più rosee non prima del 2022, anche se una buona campagna vaccinale potrebbe far sperare in uno scenario più clemente.
Gli aiuti d’emergenza in Francia, come il fondo di solidarietà, hanno limitato le situazioni fallimentari nei settori fragili, e probabilmente i governi li prorogheranno almeno fino alla metà del 2021. Ciononostante, i fallimenti potrebbero aumentare. Secondo l’esperto assicurativo Euler Hermes, i fallimenti potrebbero aumentare del 29% nella zona euro nel corso dell’intero 2021 (dopo un calo del 17% nel 2020), del 52% in Francia (36% nel 2020) e del 73% in Italia (50% nel 2020).
Le incertezze potrebbero riguardare nel breve periodo anche il modo in cui l’ascesa del commercio elettronico e del telelavoro modificherà i nostri modelli di produzione e di consumo. I dati sono confortanti per un tessuto sociale che, a prima vista, è stato profondamente lacerato. Secondo Eurostat, il tasso di disoccupazione dell’Unione europea era del 7,6% nell’ottobre del 2020, solo un punto in più rispetto all’anno precedente. Gli aiuti statali hanno protetto l’occupazione in modo efficace e contenuto una riduzione drastica del reddito.
La disoccupazione parziale, della quale hanno beneficiato 40 milioni di europei in primavera
Gilles Moëc, capo economista di Axa IM, avverte che: “La situazione del mercato del lavoro è in realtà peggiore di quanto suggerissero gli indicatori tradizionali”. Grazie alla disoccupazione parziale, molti lavoratori dipendenti restano legati ai loro datori di lavoro, il che è una buona cosa per prepararsi alla ripresa. Tuttavia, questo non aiuta i nuovi arrivati ad entrare nel mercato del lavoro”. Non aiuta soprattutto i giovani, i cui studi sono stati interrotti dal lavoro a distanza, e che avranno difficoltà a trovare una prima occupazione.
Inoltre, alcuni degli effetti della crisi saranno veramente evidenti solo quando saranno revocati i programmi di aiuto. A quel punto emergeranno le disuguaglianze tra chi è riuscito a mantenere il posto di lavoro e i disoccupati, tra i telelavoratori relativamente protetti e chi ha un lavoro precario. Le Nazioni unite spiegano, in un rapporto in cui gli esperti esprimono preoccupazione per l'emergere dei "nuovi poveri”, che "Con la pandemia, la povertà ora colpisce categorie risparmiate finora: lavoratori precari, occasionali, artigiani, dello spettacolo e studenti". "Secondo le associazioni di beneficenza, la crisi sanitaria in Francia ha spinto 1 milione di persone nella povertà, oltre ai 9.3 milioni di francesi che già vivono al di sotto della soglia di povertà monetaria. Secondo Eurostat, le preoccupazioni in Europa si concentrano soprattutto su Bulgaria, Romania, Spagna e Italia, dove il tasso di povertà supera già il 20%, rispetto al 13,6% della Francia e al 14,8% della Germania.
Gli Stati dovranno estendere gli aiuti di emergenza
Questa è senza dubbio una delle buone sorprese di questa crisi: di fronte alla portata dello shock, gli Stati europei non hanno esitato a stanziare aiuti d'emergenza senza precedenti: aiuti alla liquidità delle imprese, prestiti garantiti, lavoro a orario ridotto, poi piani di ripresa destinati a sostenere le economie durante il 2021, favorendo allo stesso tempo la transizione energetica. Ma anche in questo caso la situazione è molto confusa: i Paesi che sono entrati nella crisi con finanze pubbliche in equilibrio hanno avuto più margini per sostenere le loro economie. Le misure di bilancio della Germania, con quasi 485 miliardi di euro in totale, pari al 14% del Pil, sono state le più imponenti in Europa, mentre sono state più circoscritte nel sud del vecchio continente.
In Francia, il pacchetto di stimolo da 100 miliardi di euro, molto concentrato sull'offerta, vedrà il suo pieno effetto sull'economia solo nella seconda metà del 2021. Fino ad allora, il governo sarà probabilmente costretto a estendere gli aiuti d’emergenza, soprattutto se la pandemia sarà controllata meno rapidamente del previsto.
L'Ue ha anche concordato un piano per la ripresa da 750 miliardi di euro, embrione di una politica di bilancio comune. Nonostante le sue dimensioni, il piano per la ripresa avrà comunque un impatto limitato sulla crescita nel 2021. Angel Talavera spiega: "Innanzitutto, perché il piano non è concepito come uno strumento per contrastare la crisi destinato a stimolare l'attività nel breve termine, ma come un piano per aumentare la produttività e la crescita potenziale nel lungo termine". Inoltre, ci vorrà del tempo prima che il denaro sia distribuito in Paesi che in genere hanno difficoltà ad assorbire i fondi strutturali europei, come la Spagna e l'Italia. Gli aiuti, tuttavia, saranno per loro ancora significativi, nell'ordine dell'8% e del 7,5% del Pil, e l'effetto sarà particolarmente forte nel 2022 e nel 2023.
Aumento del debito pubblico
In seguito alla recessione, alle misure di emergenza e ai pacchetti di stimolo, Il debito pubblico nella zona euro è aumentato, passando dall'85,9% del Pil nel 2019 a oltre il 100% nel 2020. Ma i tassi bassi praticati dalla Banca Centrale Europea (Bce), così come i massicci programmi di riacquisto di titoli di Stato che ha attuato (tra marzo 2020 e marzo 2022, acquisterà un totale di 2.4 trilioni di euro di debito), permettono ai governi di contrarre prestiti senza difficoltà, a un costo quasi irrisorio. Mathilde Lemoine, economista capo del gruppo Edmond de Rothschild afferma: “L’Italia, nonostante avesse un debito pubblico del 160% del Pil alla fine del 2020, ha pagato nell'ottobre 2020 i suoi finanziatori a dieci anni lo 0,70%, 20 punti base in meno rispetto agli Stati Uniti".
Le preoccupazioni per la sostenibilità delle finanze pubbliche nel breve periodo sono eccessive. D'altra parte, c'è una chiara linea di demarcazione nell'Ue tra i Paesi il cui debito sarà ben al di sopra del 100% del Pil nel 2021 (Francia, Italia, Grecia, Portogallo) e quelli in cui rimarrà al di sotto di questo livello (Germania, Austria, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, Danimarca), con il rischio che questo aumento del debito pubblico possa generare tensioni tra le capitali, quando le regole di bilancio che limitano i disavanzi pubblici, attualmente sospese da Bruxelles, dovessero ritornare.
Per leggere l'articolo originale: En 2021, une reprise à risque en Europe
Lavoro minorile e fuga di sostanze tossiche sono il prezzo che potremmo pagare per un futuro più verde
The Guardian, 3 gennaio 2021
Gli scienziati avvertono che la nostra missione di creare un’ambiente più pulito attraverso l’uso di risorse naturali potrebbe causare danni ambientali diffusi
La battaglia per scongiurare l’imminente catastrofe climatica della Terra sta portando gli ingegneri a sviluppare una serie di nuove tecnologie verdi. Gli impianti eolici e solari sono destinati a sostituire le centrali a carbone e a gas, mentre le auto elettriche soppiantano i veicoli a benzina e diesel delle nostre strade. La nostra dipendenza dai combustibili fossili è destinata lentamente a diminuire e, quindi, a mitigare il riscaldamento globale. Ma gli scienziati avvertono che ci sarà un prezzo ambientale da pagare per questa iniziativa volta a creare un mondo alimentato da tecnologie verdi. La ricerca di materiali per la fabbricazione di questi impianti, e, quindi, la loro estrazione, potrebbe comportare conseguenze molto gravi per l’ecologia e un impatto importante sulla biodiversità.
Il prof. Richard Harrington, responsabile delle scienze della Terra presso il Natural History Museum di Londra, ha detto: “Il passaggio a zero emissioni di carbonio creerà nuove difficoltà sul nostro pianeta, almeno nel breve periodo”. “Dovremo imparare come considerare i profitti e le perdite per quanto riguarda gli ecosistemi, proprio come stiamo facendo quando prendiamo in esame le questioni economiche”.
Secondo Harrington, abbiamo davanti problemi scomodi che riguardano metalli come il litio e il cobalto. I due elementi sono necessari per produrre batterie ricaricabili leggere per le auto elettriche e per immagazzinare energia da impianti eolici e solari. La loro produzione è destinata ad aumentare in modo significativo nei prossimi dieci anni, e questo potrebbe provocare problemi gravi per l’ecologia.
Nel caso del cobalto, il 60% della catena di fornitura nel mondo proviene dalla Repubblica democratica del Congo, dove un numero elevato di miniere senza regole utilizza i bambini di sette anni come minatori. Loro respirano polvere piena di cobalto che può causare malattie polmonari mortali durante il lavoro praticato in gallerie che possono crollare.
Mark Dummett di Amnesty International, che ha svolto un’indagine sulla crisi delle miniere di cobalto in Congo, ha detto: “Uomini, donne e bambini stanno lavorando senza avere neanche le attrezzature di protezione più elementari come i guanti e le maschere per proteggere il viso”. “In un villaggio che abbiamo visitato, la gente ci ha mostrato come l’acqua del ruscello del posto che bevono sia stata contaminata dallo scarico di rifiuti provenienti da un impianto minerario”.
Poi c’è il problema dell’estrazione del litio. La produzione mondiale di litio è destinata ad aumentare vertiginosamente nei prossimi dieci anni. Eppure, l’estrazione mineraria è legata a problemi ambientali. Nel cosiddetto "triangolo del litio" in Sud America, costituito da Cile, Argentina e Bolivia, vaste quantità di acqua sono pompate dal sottosuolo per favorire l’estrazione del litio dai minerali, e questo è stato collegato all’abbassamento del livello della falda acquifera nel sottosuolo e all’avanzamento del deserto. Analogamente in Tibet, una fuga di sostanze chimiche tossiche dalla miniera di litio di Ganzizhou Rongda ha avvelenato nel 2016 il fiume locale, Lichu, e ha scatenato proteste diffuse nella regione.
Gli analisti hanno sottolineato che questi problemi di natura ecologica non si limiteranno ai metalli specializzati. Secondo gli analisti, se non si farà attenzione, l’aumento della domanda di materiali tradizionali come il cemento, che serve a costruire dighe idroelettriche, oppure il rame, che serve a creare cavi per collegare i parchi eolici e solari alle città e a costruire auto elettriche, potrebbe provocare anche danni ambientali diffusi.
La crescente domanda di rame è un esempio lampante dei problemi. Sono necessarie migliaia di tonnellate per creare impianti per l’energia eolica e solare, mentre i veicoli elettrici utilizzano una quantità di rame due o tre volte maggiore rispetto alla quantità utilizzata per produrre veicoli alimentati da un motore diesel o benzina. Pertanto, secondo un recente rapporto, la domanda mondiale di rame dovrebbe probabilmente aumentare, superando il 300% entro il 2050.
Harrington ha affermato: “Abbiamo bisogno di decine di chilogrammi in più di rame per produrre un auto elettrica rispetto a un’auto con motore a benzina”. Questo significa che se si vuole trasformare i 31 milioni di auto del Regno Unito in veicoli elettrici avremo bisogno di circa il 12% della produzione totale mondiale di rame, questo solo per la Gran Bretagna. Si tratta di una domanda assurda, considerato che la nostra speranza è produrre auto elettriche entro una decina di anni.”
Harrington ha dichiarato che è inevitabile l’espansione dell’estrazione mineraria e della fornitura di energia per il raffinamento dei minerali, la cui combinazione ha un impatto concreto sull’ambiente. “Dovremmo farlo in modo da creare profitti, ma anche di aiutare la gente e il pianeta”.
La proposta di espandere l’energia nucleare nel Regno Unito per soddisfare la domanda che da tempo non trova risposta negli impianti di carbone o di gas, oltre a creare questi problemi, è probabile che porti alla creazione di una quantità maggiore di scorie nucleari. Peraltro, il Regno Unito non dispone ancora di un metodo per lo stoccaggio delle scorie nucleari nel sottosuolo e confida nel mantenimento dei resti altamente radioattivi provenienti dalle attività delle centrali elettriche sulla terra. Questo stoccaggio potrebbe essere esteso in modo significativo in futuro.
Una soluzione avanzata per risolvere questi problemi collegati alla tecnologia verde sarebbe quella di limitare lo sfruttamento delle risorse sulla terra e orientarsi piuttosto verso il mare per raccogliere i materiali di cui abbiamo bisogno. Sono state individuate diverse fonti marine promettenti, e gran parte dell’attenzione si sta concentrando sui noduli metalliferi che ricoprono alcune parti del fondale oceanico. Questi depositi di minerali delle dimensioni di una patata sono ricchi di rame, cobalto, manganese e altri metalli. Secondo l’Autorità internazionale dei fondali marini, alcuni depositi contengono milioni di tonnellate di cobalto, rame e manganese.
Di conseguenza, diverse organizzazioni stanno esaminando il deposito più promettente, nella fattispecie la zona Clarion-Clipperton nelle acque internazionali dell’oceano Pacifico. Questo deposito potrebbe essere recuperato utilizzando robot sommergibili per attraversare i 4.5 milioni di chilometri quadrati della zona.Tuttavia, la recente ricerca condotta da scienziati marini ha, inoltre, rivelato che nonostante la profondità della Zona Clarion – Clipperton, tra i 4.000 e i 5.500 metri sotto la superfice, il fondale oceanico è ricco anche di vita marina. Una ricerca realizzata nel 2017, ha scoperto che oltre 30 nuove specie marine vivono nella piana abissale della zona, la maggior parte delle quali sono xenofore, considerate gli organismi unicellulari viventi più grandi la mondo.
Gli scienziati hanno avvertito che il recupero dei noduli metalliferi potrebbe devastare queste forme viventi. “Al momento, non disponiamo di dati sufficienti sui fondali marini per essere sicuri di quale sarebbe l’impatto dell’estrazione mineraria sulle profondità marine”, ha affermato Adrian Glover, ricercatore di ecologia delle profondità marine presso il Natural History Museum di Londra. “Tuttavia, quando lo faremo, porrà un problema grande alla società. Se questi ambienti sono ricchi sul piano della biodiversità, tanto da danneggiarsi facilmente, sarà meglio o peggio sfruttarli rispetto allo sfruttamento che pratichiamo delle terre fluviali sulla terra? Questo potrebbe essere un problema molto difficile da risolvere.”
Per leggere l'articolo originale: Child labour, toxic leaks: the price we could pay for a greener future