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Julian Assange è libero ed eviterà la prigione negli Stati Uniti. Il fondatore australiano di WikiLeaks era detenuto in Gran Bretagna per violenza sessuale, un’accusa da lui respinta parlando di rapporti consensuali e giunta a seguito della sua rivelazione di documenti statunitensi secretati, ricevuti dall'ex militare Chelsea Manning, riguardanti crimini di guerra in Afghanistan e Iraq. Il dipartimento di Giustizia americano lo aveva accusato di avere provocato problemi di sicurezza nazionale negli Usa.
Una vicenda di rilevanza internazionale che si protrae dal 2010 e che ha fatto rischiare ad Assange pene detentive fino a 175 anni negli Stati Uniti, dove sostengono che abbia violato l'Espionage Act pubblicando documenti militari e diplomatici. Assange ha ottenuto la libertà patteggiando con il dipartimento di Giustizia americano e ora tornerà in Australia.
“Il suo rilascio è importante perché mette fine a una persecuzione giudiziaria che è durata oltre dieci anni”, afferma Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: “Una persecuzione mossa dagli Stati Uniti con altri Stati che si sono resi complici. E’ importante anche perché finalmente, dopo cinque anni di carcere durissimo nel Regno Unito, la famiglia e soprattutto i figli, che non lo hanno visto mai se non in carcere, possono riaverlo con loro”.
Noury esprime amarezza perché “resta il fatto che per raggiungere questo risultato Assange abbia dovuto dichiararsi colpevole. Questo porta a dire che la persecuzione giudiziaria nei suoi confronti comunque un risultato lo ha ottenuto, vale a dire un verdetto di colpevolezza quando invece questa vicenda giudiziaria non sarebbe semplicemente mai dovuta iniziare”.
Il patteggiamento prevede infatti un riconoscimento di colpevolezza per alcuni dei 18 capi di imputazione, tra i quali anche reati minori, per una condanna totale a 62 mesi, che equivale al periodo che Assange ha già trascorso nel carcere di massima sicurezza britannico di Belmarsh. "Quindi questo è il risultato del patteggiamento: libero ma colpevole, oppure colpevole ma libero”, dice il portavoce di Amnesty.
“Resta un ultimo capitolo – prosegue – perché questo patteggiamento raggiunto tra il dipartimento della Giustizia statunitense e il team legale di Assange deve essere ratificato da un giudice federale che convocherà le parti sulle Isole Marianne, un arcipelago statunitense nell'Oceano Pacifico, non troppo lontano dall'Australia, e lì speriamo che si pronunci la parola fine”.
Sul versante della libertà di stampa Noury ci ricorda che la vicenda di Assange “ha significato un attacco pericolosissimo al principio del giornalismo di raccontare notizie di pubblico interesse, soprattutto quando hanno a che fare con le malefatte del potere. Nel caso specifico le malefatte si traducono in crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan, si traduce con le prime informazioni fornite da WikiLeaks sulla situazione dei detenuti di Guantanamo Bay”.
“Il potere – conclude – ha sempre qualcosa da nascondere, il giornalismo d’inchiesta, quello serio, ha sempre qualcosa da rivelare. Il conflitto è lì e più cala la democrazia, più si affermano i regimi autoritari, più il giornalismo d'inchiesta diventa un nemico”.