Buenos Aires. 24 marzo 2024. È il giorno della memoria argentino. Il giorno del Nunca más. Migliaia di militanti scendono in piazza nella capitale per commemorare le vittime della dittatura militare che iniziò il 24 marzo del 1976. Chiedono verità e giustizia, come sempre hanno fatto in questi decenni. Chiedono che non succeda mai più.
Ma la loro voce, quest’anno, dev’essere più forte, più alta. È iniziato il regno di Javier Milei. Un presidente apertamente nemico di chi difende il ricordo e la dignità dei desaparecidos, le 30 mila vittime della generazione perduta. Nemico di chi chiede che la giustizia contro i carnefici prosegua il suo corso nei tribunali. Nemico di chi milita per la cultura della memoria. Nemico di lavoratori e sindacati, come Collettiva ha scritto pochi mesi fa, in occasione del grande sciopero di fine gennaio.
Due ragazzi in viaggio
Questo 24 marzo è una prova di forza. Il giorno in cui ci si conta. E si può dire che gli argentini che non stanno dalla parte di Milei l’abbiano vinta. Tra di loro, come potete ascoltare in questo podcast, si aggirano due ragazzi italiani, Claudia e Alessandro. Sono due viaggiatori. Per cinque mesi all'anno si muovono, lentamente, con i mezzi pubblici e quasi esclusivamente via terra. Gli altri sette mesi li passano nella loro regione, la Sardegna. Il loro progetto si chiama My Own Way: nasce, spiegano Claudia e Alessandro, “dall’esigenza di non voler restare fermi nel posto in cui si è nati, cercando di unire la voglia di essere altrove a quella di un mestiere inventato. I Paesi si capiscono di più quando ci si ferma più a lungo e quando si sta a contatto con i suoi abitanti, quando si va a mangiare nelle bettole nascoste e quando si passa del tempo nel quartiere di una città e si soffre a lasciarlo".
Questi due ragazzi pensano che esista un altro modo di viaggiare, un altro modo di essere turisti: “Si può essere persone interessate ai luoghi dove si sceglie di andare”. Da questo nascono delle fotografie, stampe serigrafiche e dei diari di viaggio dove raccolgono tutto quello che di solito si butta: biglietti degli autobus, etichette del tè, tovaglioli o che ringraziano in altre lingue, etichette delle birre locali, istantanee quotidiane. Hanno scelto una meta: l’Argentina, Buenos Aires. E raccontano a Collettiva una giornata fondamentale nella vita di questo Paese. Il giorno in cui gli argentini si fermano per ricordare.
La lezione di Estela Carlotto
Questa è una storia italiana e argentina. Perché Argentina e Italia condividono spesso una storia. Gran parte della popolazione argentina ha origini italiane. Le ha anche Estela Carlotto, la presidente dell’Associazione delle Abuelas de Plaza de Mayo (le nonne di Piazza di Maggio), che con l’Associazione delle Madres de Plaza de Mayo avevano iniziato a cercare, già negli anni più bui della dittatura argentina (1976-1983), non solo i propri figli ma anche i nipoti, nati nei centri clandestini di detenzione, tortura e sterminio o, in alcuni casi, “rubati” dai militari durante i sequestri delle loro vittime.
Estela Carlotto (93 anni) il 17 aprile era in Italia, a Roma. L’Università degli Studi Roma Tre le ha conferito la Laurea Honoris Causa in Lingue e letterature per la didattica e la traduzione, “alla luce di un impegno civile, umano e culturale unanimemente riconosciuto” (si legge nelle motivazioni). Candidata più volte al premio Nobel per la Pace per il suo straordinario impegno e la sua azione umanitaria, Carlotto ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali, tra i quali spiccano l’Ordine al merito nel grado di Commendatore della Repubblica Italiana, il Premio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e il Premio Unesco per la Pace.
In un’Aula magna della Facoltà di Lettere gremita, attenta, commossa, Estela Carlotto ha tenuto la propria Lectio magistralis. E ha rievocato una storia di ferocia e coraggio: “La dittatura civico militare che tra il 1976 e il 1983 usurpò il potere in Argentina, ha sequestrato e fatto scomparire migliaia di persone per ragioni politiche, compresi i nostri e le nostre nipoti. In quel momento, come madri, ci siamo messe a cercarli. Quale donna non lo avrebbe fatto? Abbiamo iniziato a riunirci, prima come Madres di Plaza de Mayo, poi come Abuelas di Plaza de Mayo, e ci siamo rese conto che, insieme, potevamo farci ascoltare. E così, il nostro dramma personale si è convertito, negli anni, in una lotta pubblica e collettiva”.
“Nel mio caso – prosegue Carlotto -, tutto è iniziato quando, grazie alla testimonianza di una sopravvissuta, venni a sapere che mia figlia aveva dato alla luce un bambino durante la sua prigionia, mio nipote. Allora, la mia consuocera mi disse di non cercarla da sola e mi consigliò di mettermi in contatto con altre donne che stavano cercando i loro nipoti. Così, mi unii alle prime Abuelas. Le mie compagne furono felici del mio arrivo perché, siccome ero una maestra, potevo scrivere lettere e documenti. La prima volta che andai a Plaza de Mayo tremavo come una foglia. C’erano molti militari, cavalli, fucili. Ma le mie compagne continuavano a camminare e mi dicevano: ‘Non aver paura, stiamo tutte insieme’”.
Milei sei avvertito: “No pasarán”
Può una donna del genere, che ha affrontato Videla e i suoi carnefici, avere paura di Milei? La risposta è no. Ma certo Estela Carlotto è preoccupata per il nuovo corso argentino. “Oggi – ha spiegato nella sua lectio - alcune delle politiche di ‘Memoria, Verità e Giustizia’ sono in pericolo. I discorsi dell’odio e del negazionismo, in molti casi pronunciati da esponenti dei governi di turno, cercano di delegittimare la nostra lotta, e quella di tutti gli argentini, per la memoria e la democrazia. Ma il nostro popolo ha memoria e l’ultimo 24 marzo, quando si sono compiuti 48 anni dal colpo di Stato, è uscito in strada in modo massiccio a riaffermare il suo impegno e a gridare con forza Mai Più!”.
E prosegue anche l’attività di ricerca dei figli e delle figlie dei desaparecidos, e adesso anche dei bisnipoti: “Attualmente – spiega Carlotto - abbiamo ritrovato 137 nipoti. Continuiamo a cercare circa 300 persone che vivono con un’identità violata e che, in molti casi, sono padri e madri. Per questo continuiamo con la diffusione della nostra lotta. Per questo continuiamo ad esigere giustizia. E per questo continuiamo a camminare, con le forze che ci rimangono, affinché mai più si ripeta, in nessun luogo, un crimine tanto aberrante”.
(La foto di copertina è di Paula Acunzo/Zuma Press/Avalon. 24 marzo 2024, Buenos Aires, Argentina. La manifestazione in occasione dell'anniversario del colpo di Stato del 24 marzo 1976)