Il 15 agosto del 2021 i talebani riprendevano il potere in Afghanistan, dopo 20 anni di presenza occidentale a seguito dell’intervento statunitense nel Paese deciso come risposta al terrorismo per gli attentati del 11 settembre 2001 alle Torri gemelle di New York e a Washington. Difficile dimenticare le immagini degli afghani che tentavano di fuggire da Kabul, in aeroporto, anche a rischio della vita. 

A tre anni di distanza Amnesty International torna a denunciare la mancata azione da parte della comunità internazionale nel difendere la popolazione afghana: “le autorità talebane – si legge in un comunicato – compiono violazioni dei diritti umani e crimini di diritto internazionale, soprattutto contro le donne e le bambine, nell’assoluta impunità”. Con un’approfondita indagine la ong ha raccolto “la frustrazione delle afgane e degli afgani di fronte alla mancata risposta della comunità internazionale, così come i loro timori e le loro proposte per il futuro”.

I talebani non sono stati chiamati “a rispondere delle violazioni e dei crimini commessi” e non si è “neanche saputo trovare una direzione strategica per impedire ulteriormente tutto questo”, ha dichiarato Samira Hamidi, campaigner di Amnesty International per l’Asia meridionale: “Una fonte di vergogna per il mondo”.

Le consultazioni di Amnesty International hanno coinvolto persone residenti in 21 province dell’Afghanistan e rappresentanti della diaspora in dieci paesi: Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Pakistan, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti d’America e Svizzera.

I diritti delle donne e delle bambine

Oltre 20 difensore dei diritti umani residenti in 21 province dell'Afghanistan hanno detto ad Amnesty International di aver perso autonomia in ogni aspetto della loro vita. In precedenza, svolgevano attività professionali nel campo legale, politico, giornalistico, educativo e sportivo. Dopo tre anni di dominio dei talebani, la loro sensazione è di essere delle “non persone”, con limitate opportunità di lavorare e di dare il proprio contributo in ambito economico o culturale.

Alle donne che hanno perso autonomia, lavoro e status economico dicono che è ciò che meritano, che il ritorno dei talebani è una svolta positiva per chiudere la bocca a coloro che predicano l’adulterio in nome dei diritti umani e dei diritti delle donne”, ha raccontato Razia, una difensora dei diritti umani della provincia di Kunduz.

Amnesty fa inoltre sapere che i talebani negano le accuse di persecuzione di genere sostenendo che stanno rispettando la shariah (le leggi islamiche) e “la cultura afgana”, mentre persistono i decreti e le politiche di tipo repressivo e limitativo che erano stati adottati ufficialmente come misure temporanee per assicurare l’incolumità delle persone.

Giustizia e assunzione di responsabilità

Il ritorno al potere dei talebani ha quindi distrutto il sistema di giustizia formale dell’Afghanistan con un ordine vincolante sulla totale applicazione delle leggi della shariah emanato nel novembre del 2022 dal leader supremo. “I talebani hanno annunciato che non c’era alcun bisogno che gli avvocati partecipassero ai processi. Non credono nei sistemi giudiziari ma si basano sull’interpretazione della shariah da parte degli esperti di religione della madrasa (la scuola islamica), che non forniscono alcuna educazione sulla legge formale”, ha dichiarato Ahmad Ahmadi, ex avvocato ora in esilio in Europa.

“Afgane e afgani – riferisce Amnesty – hanno denunciato il ritorno delle punizioni corporali, come le frustate e le esecuzioni in pubblico, le amputazioni degli arti, le lapidazioni e altre forme di maltrattamento e tortura che violano il diritto internazionale. A loro parere, si parla poco a livello internazionale dell’assenza di processi equi o del mancato accesso ai ricorsi giudiziari”.

Lo smantellamento dello spazio civico

I talebani vedono come nemici la società civile afgana, difensori e difensore dei diritti umani, manifestanti, organizzazioni di base, rappresentanti dell’informazione, attiviste e attivisti politici. “Coloro che protestano subiscono sparizioni forzate – proseguono dalla ong – arresti arbitrari, imprigionamenti, maltrattamenti e torture. Molte persone sono costrette a lasciare il Paese per timore di ritorsioni, lasciandosi alle spalle famiglia e lavoro. Centinaia di loro sono bloccate in Iran, Pakistan e Turchia, alle prese con problemi legali ed economici e persino a rischio di rimpatrio forzato”.

Quindi ancora la denuncia di una comunità afgana che si sente esclusa non solo dai talebani ma anche dalla comunità internazionale.

Il sostegno internazionale

I difensori e le difensore dei diritti umani che hanno parlato con Amnesty International sostengono che la sottovalutazione della gravità della crisi dei diritti umani in Afghanistan è dovuta soprattutto alla retorica e alla propaganda dei talebani che “descrivono un Paese più sicuro e con un’economia in crescita, dove alla popolazione sono accordati rispetto e dignità secondo la shariah e la cultura locale. In realtà i talebani hanno creato un ambiente di paura e di controllo assoluto”.

Infine l’appello di Hamidi: “È necessario che tutti coloro che si occupano di Afghanistan si coordinino e trovino piattaforme sicure e innovative per elaborare soluzioni efficaci e di lungo termine. Questo può essere reso possibile se ci sono percorsi, risorse e competenze. La comunità internazionale deve impegnarsi in questo senso, rispettando la moltitudine delle voci della comunità afgana e astenendosi dal prendere impegni privi di principi coi talebani, che danneggerebbero unicamente gli sforzi collettivi. Il tempo per un’azione coordinata è adesso” .