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I lavoratori statunitensi tornano a scioperare in questa estate 2023 dopo un periodo di de-sindacalizzazione. Da Amazon a Starbucks i dipendenti tornano a organizzarsi, a fare emergere nuove figure che guidano la lotta per avere salari compatibili con il costo della vita e condizioni di lavoro migliori di quelle che si sono consolidate negli ultimi decenni. Bruno Cartosio, docente di Storia dell'America del Nord all'Università di Bergamo e fondatore della "Rivista Internazionale di Studi Nordamericani”, ci dice che negli Stati Uniti i salari settimanali hanno raggiunto il massimo nel 1972: “Allora il livello medio settimanale era di 342 dollari e per superarlo si è dovuto arrivare al 2020, sono esattamente 50 anni. Oggi siamo a 378,18 dollari”.
Non solamente: “Negli ultimi 40 anni c’è stato anche un accorciamento delle aspettative di vita e le cause stanno nell’assenza del servizio sanitario nazionale e quindi in una sanità troppo costosa che induce a non curarsi, nella mancanza di lavoro, nelle condizioni di vita infami e in un’alimentazione sbagliata che provoca un aumento senza paragoni di obesità, malattie cardiovascolari e diabete”. Impressiona il racconto di Cartosio di città industriali dove i supermercati non hanno più cibi freschi ma solamente in scatola, ricchi di zuccheri, grassi e conservanti.
È prevedibile che chi vive in queste condizioni prima o poi alzi la testa. “Avevano incominciato già nel 2017-18, poi è arrivato il Covid e hanno ripreso nel 2021-22 – dice il docente -. Questo non vuole dire che si sia tornati ad attività di protesta paragonabili ad altri momenti alti di conflittualità, ma, rispetto alla calma piatta dei primi anni 2000, c’è una ripresa di movimento”. Nel ‘22 in effetti gli scioperi sono raddoppiati rispetto all’anno precedente: “L’attività sindacale nel settore privato (oggi la sindacalizzazione è al 6%, bassissima) si era quasi interrotta, ma ora il processo di declino si interrompe e ci sono soprattutto segni di disponibilità alla conflittualità e una ricerca di protagonismo da parte dei lavoratori”.
Amazon in prima fila
Tra i lavoratori che più fanno parlare di loro da oltre oceano ci sono quelli di Amazon. Interessante la storia dei due scioperi importanti di questi ultimi due anni: “Nel marzo del 2021 la struttura sindacale aveva iniziato un’azione di protesta, un tentativo di entrare negli stabilimenti a Bessemer in Alabama – spiega lo storico -. Questa iniziativa aveva avuto un forte sostegno da altre organizzazioni intorno al sindacato, ma nel maggio nel marzo 2021 la votazione dei lavoratori era andata male. Dopo il ricorso del sindacato c'è stata una nuova votazione, nel marzo dello scorso anno, ma con una nuova sconfitta, nonostante i numeri fossero diversi”.
“Più o meno nello stesso periodo del ricorso – prosegue - c'è stato un altro sciopero a Staten Island, uno dei cinque municipi di New York City, in cui invece il processo di sindacalizzazione ha avuto successo. La differenza fondamentale tra questi due scioperi (a parte il fatto che in Alabama il livello di sindacalizzazione collettivo è all'8% e a New York è superiore al 20%) è che a Bessemer l’iniziativa era stata calata dall'alto, dal sindacato nazionale che aveva scelto la città come luogo in cui tentare di entrare. A Staten Island invece è accaduto che l’azione è arrivata dai lavoratori, alcuni dei quali erano stati licenziati proprio per attività sindacale. All'interno dell'azienda ci hanno messo due anni, ma sono riusciti a incontrarsi, parlare, fare attività in modo più o meno sotterraneo dentro la fabbrica e a mettere in piedi una maggioranza favorevole al sindacato”.
La base preoccupa i vertici
La novità consiste dunque nei tentativi di autorganizzazione dal basso, che poi cercano l'appoggio o magari anche la confluenza e l'entrata nei sindacati maggiori. L’esempio di Amazon è quello maggiormente rappresentativo di questo processo. Per capirne i motivi Cartosio ricorda l’analisi dello studioso di dinamiche del lavoro Robert Reich, che fu anche ministro nell'amministrazione Clinton: “In estrema sintesi Reich ha affermato che i lavoratori erano arrivati al punto che ‘non ne potevano più’. C'è stata infatti tutta una serie di processi di varia natura, incluse la pandemia e le trasformazioni nel mondo del lavoro, che hanno portato una quantità di componenti a non poterne più delle cattive condizioni lavorative, di livelli salariali troppo bassi, dell'autoritarismo interno delle aziende. Senza trascurare il fatto che c'è una ripresa di atteggiamento favorevole nei confronti del mondo del lavoro anche da parte del presidente degli Stati Uniti”.
Alla domanda se questi nuovi movimenti di base stiano impensierendo le parti datoriali, Cartosio risponde che “alcuni vertici politici aziendali sono preoccupati, per esempio nel settore del Big Tech, dove le grandi aziende, da Apple a Google e da Amazon a Facebook e Microsoft, erano sino a ora totalmente desindacalizzate. Tant'è vero che a ogni a ogni minimo tentativo di sindacalizzazione o anche di formazione di organizzazioni non strettamente sindacali la risposta è immediata: licenziamenti. Quindi effettivamente il ritorno di conflittualità preoccupa".
Le caffetterie di Starbucks
L'amministratore delegato di Starbucks ha definito quanto sta accadendo "l'attacco della sindacalizzazione. Su 6.000 aziende della catena statunitense di caffè, ce ne sono ormai più o meno 300 che sono state investite una per una dal tentativo di sindacalizzazione dal basso: “A Buffalo, nello stato di New York, c’è stato il primo caso, ma casi analoghi continuano a essere creati dal nulla nelle singole caffetterie. Del resto queste realtà hanno avuto una lunga stagione di profitti senza nessun controllo e senza neppure regole da parte delle autorità politiche. Mentre ora vedono la minaccia di dover gestire le loro aziende con delle organizzazioni che finora hanno cercato e sono riusciti a tenere fuori”.
Il contagio
In Europa siamo sempre stati abituati a essere investiti dai venti che arrivano dagli Usa, magari non proprio nell’immediato, ma questa volta i presupposti nel Nuovo e nel Vecchio continente sono diversi: “Bisogna dire che in nessun Paese europeo, a parte la Gran Bretagna, la distruzione del mondo del lavoro e delle organizzazioni sindacali è stata ed è paragonabile a quella avvenuta negli Stati Uniti dal 1980 circa in avanti - testimonia lo studioso -. Ci sono stati 40 anni di politiche neoliberali o neoliberiste che hanno programmaticamente perseguito la distruzione del mondo del lavoro e delle organizzazioni operaie con una determinazione e una violenza senza paragoni in Europa, fatto sempre salvo il Regno Unito. Speriamo che comunque ci sia una ripresa di combattività in difesa del salario e delle condizioni di lavoro, magari con maggiore successo”.
“Una città come Detroit è passata da un milione e mezzo di abitanti a meno di 700 mila, col risultato di case vuote, strade senza illuminazione, edifici incendiati o abbattuti, pur con tentativi di resistenza urbana. Da noi c’è stato un analogo processo di deindustrializzaione, (si pensi, in piccolo, a Sesto San Giovanni, ndr), ma – conclude Cartosio - l’esistenza dei corpi intermedi, del mondo sindacale e di una sinistra molto poco sinistra ma più sinistra delle destre, ha impedito il disastro sociale, logistico e umano totale”.