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I numeri del boom sono a tre cifre: i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti del 238,4% tra gennaio e novembre di quest’anno. Al momento ne sono stati registrati più di 6 milioni e mezzo, e si prevede che entro la fine del 2022 si supererà quota 7 milioni.
Esplodono i contratti a tempo indeterminato
A diffondere i risultati è stato il Sepe, il Servizio Pubblico Spagnolo per l'Impiego, che ha messo in evidenza anche i dati sull’occupazione giovanile. Il tasso dei senza lavoro per gli under 25 - che negli anni successivi al 2008 aveva toccato punte del 55% - è sceso al 31. Ora, e finalmente per questa fascia d’età, aumentano anche i posti fissi +142% negli ultimi undici mesi.
Ma non è un caso: il 2022, infatti, per il mercato del lavoro spagnolo è stato l’anno della riforma ottenuta grazie a un accordo raggiunto alla vigilia di Natale 2021 tra sindacati, governo e imprenditori. L’intesa ha stravolto – e alla luce delle statistiche ormai smentito - i paradigmi neoliberisti.
Se dieci anni fa la Spagna, guidata dal conservatore Mariano Rajoy, aveva ridotto drasticamente i diritti dei lavoratori, scommettendo sulla precarietà e illudendosi così di aumentare produttività e competitività del Paese, con l’esecutivo del socialista Pedro Sanchez è stata scelta la strada diametralmente opposta.
Dallo scorso gennaio, mese in cui la reforma laboral è entrata in vigore, i contratti a termine sono diventati possibili esclusivamente in due circostanze che richiedono ambedue assunzioni temporanee: nel caso in cui ci sia un aumento occasionale della produzione o in quello in cui sia necessario sostituire, sempre temporaneamente, un lavoratore.
Tra i contratti in forte aumento ci sono anche i cosiddetti fissi discontinui, cioè i contratti a tempo indeterminato destinati ai lavoratori stagionali, cresciuti di otto volte rispetto al 2009: questo perché la normativa ha previsto che il calcolo dell’anzianità avvenisse in base alla durata del rapporto di lavoro, e non ai periodi effettivi di servizio. Per i lavoratori si tratta di una garanzia di stabilità e per le aziende di un investimento sul lavoro qualificato.
Più diritti, più salari
A questi segnali più che positivi del mercato del lavoro si aggiungono quelli che arrivano dalla lotta alle diseguaglianze. Studi recenti confermano una riduzione dei divari e un aumento dei salari, quello minimo era stato alzato a mille euro nel mese di febbraio e nuovi aumenti si prospettano dopo l’inchiesta condotta dalla commissione di esperti istituita dal governo.
“Lungi dal distruggere posti di lavoro, come dicevano i profeti di sventura, - ha commentato la ministra Yolanda Diaz - l'aumento del salario minimo ha ridotto le disuguaglianze e abbiamo raggiunto cifre storiche per i contratti a tempo indeterminato”.
L’Ugt sottolinea come occorra ancora modificare alcune disposizioni delle precedenti riforme del lavoro e, in particolare, di quella del 2012 con riferimento a cause e indennità di licenziamento. Sul tema salariale chiede di portare il salario minimo a 1.100 euro mensili: “Non ci sarà lavoro di qualità senza salari sufficienti”.
Dal canto loro, le Comisiones Obreras dedicano a salari e contrattazione il proprio consiglio confederale e annunciano, attraverso il segretario generale Unai Sordo, che al tavolo del governo si siederanno chiedendo che nel 2023 il salario minimo sia compreso tra i 1.082 e i 1.100 euro al mese per 14 mensilità.