Mentre ci prepariamo a scendere ancora una volta in piazza a Roma oggi pomeriggio, uno spiraglio di luce è arrivato, in un mondo sempre più lacerato dai conflitti, dall'Etiopia. Un accordo di pace quasi inaspettato, arrivato grazie a un negoziato non certo semplice, ha messo fine alle ostilità. Le armi sono riposte, gli aiuti umanitari possono ricominciare a fluire in Tigray, in aiuto a una popolazione sempre più isolata, affamata, violentata, stremata.

Alzare la voce contro la sordità della guerra

Ben altre sono le immagini (e gli annunci) che arrivano in questi giorni dal conflitto a noi più vicino geograficamente, quello in Ucraina. Annunci a più riprese da parte di esponenti di spicco della Russia di possibile ricorso al nucleare, ritorsioni, attacchi alle infrastrutture essenziali, violenze inaudite contro i civili e una politica che sembra ben lontana dal voler ascoltare le ragioni della pace. Ed è proprio davanti a tanta sordità che la piazza faccia sentire in modo distinto, chiaro e unanime la richiesta di pace.

Il momento dell’unità

Divisivo è il conflitto, divisiva è la guerra, divisiva è l'ostilità. La piazza di oggi ha l'intento di unire, pacificare, far dialogare anche chi ha posizioni distanti. È il momento di essere uniti per chiedere con fermezza la messa al bando per sempre delle armi nucleari, per chiedere negoziati di pace ovunque vi siano conflitti in corso - a partire dall'Ucraina - per chiedere una conferenza di pace convocata dalle Nazioni unite che sancisca unanimemente che la guerra non sono è più un’opzione per l’umanità e per il pianeta. Davanti anche alla sola minaccia di ricorso alle armi nucleari non ci può essere tentennamento alcuno: opposizione civile alla guerra, all'uso delle armi e alla minaccia nucleare.

Fermare la guerra

Il cambiamento climatico, lo sfruttamento senza precedenti delle risorse naturali e del territorio, l'aumento della povertà e le migrazioni forzate, lo sfruttamento del lavoro e le violazioni sempre più frequenti dei diritti umani stanno già contribuendo a rendere il nostro pianeta un luogo sempre più inospitale. Fermare la guerra significa - di riflesso - fermare anche tutto ciò. E la partecipazione al movimento per la pace è certamente un atto individuale che trova spinta e forza nelle scelte individuali responsabili, ma trova compiutezza solo nella sua dimensione collettiva, quando gli atti dei singoli diventano un appello corale alla responsabilità di chi governa.

Non lasciamoli soli

Non lasceremo da sola la popolazione ucraina, non lasceremo da soli i pacifisti in Russia, Bielorussia e in ogni altro luogo del mondo dove la repressione vuole mettere a tacere chi lotta e si impegna per la pace. Non lasceremo sole le donne in Afghanistan e in Iran e in tutti i luoghi dove i diritti fondamentali sono negati: è grazie al loro coraggio e alla loro lotta che il mondo diventerà un luogo più giusto in cui vivere.

Non lasceremo da soli i sindacalisti che nel lottare per la democrazia nei luoghi di lavoro vengono torturati, incarcerati o ingiustamente condannati.

Questa è la piazza del 5 novembre a cui la Cgil ha lavorato, insieme a un vasto mondo di realtà e associazioni, perché si levi dalla piazza di Roma alle istituzioni italiane, europee e internazionali un appello chiaro e unanime: cessare il fuoco, negoziare, avviare una conferenza intergovernativa per la pace.

Salvatore Marra, coordinatore Politiche europee e internazionali della Cgil

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