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Dall’inizio dell’invasione Amnesty International ha documentato un crescendo di violazioni del diritto internazionale umanitario e della disciplina dei diritti umani: attacchi contro aree e infrastrutture civili, contro obiettivi protetti, scuole, ospedali, case, uso di armi vietate come le bombe a grappolo. “Stiamo esaminando e validando una serie di immagini e analizzando i materiali bellici utilizzati – spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia –. Almeno in 13 casi abbiamo verificato che si è trattato di attacchi vietati e quindi di crimini di guerra”.
Fin dalle prime battute l’organizzazione impegnata nella difesa dei diritti umani ha dichiarato che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è un’evidente violazione della Carta delle Nazioni Unite e costituisce un crimine internazionale di aggressione. Ora si aggiunge la prova dell’uso di armi vietate da convenzioni internazionali, raccolta in questi giorni, come quelle a grappolo: piccoli ordigni trasportati da un razzo che al contatto col suolo o con l’obiettivo si aprono facendo uscire bombe più piccole che si spandono, raggiungendo la gittata anche di un campo di calcio. Si tratta di munizioni che quando non esplodono rimangono inerti e pronte a esplodere, costituendo un pericolo per la popolazione civile se vengono calpestate, ma soprattutto per i bambini quando sono fatte a forma di giocattolo.
Noury, ci sono tutti gli estremi per sostenere che i russi stiano commettendo crimini di guerra nell’aggressione all’Ucraina?
Sì, si stanno compiendo violazioni di diritti umani per cui il procuratore del tribunale penale internazionale intende aprire un’indagine in Ucraina, avvisando tutti gli autori di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, anche quelli maggiormente responsabili e nelle posizioni di più alto livello, che saranno chiamati individualmente a risponderne. Si tratta di un processo lungo e tortuoso, perché in assenza di una forza di polizia a disposizione del tribunale è difficile andare ad arrestare figure di alto livello, sospettate di aver commesso quei crimini. Ma le vittime devono sapere che la comunità internazionale è determinata ad assicurare una riparazione alla loro sofferenza, dobbiamo dare il messaggio alla popolazione ucraina che quando questa maledetta guerra finirà non ci sarà un secondo o terzo tempo che è quello dell’impunità.
La prima udienza pubblica alla Corte di giustizia internazionale, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, del processo che vede la Russia accusata di genocidio, è stata disertata dagli avvocati di Mosca. Che cosa significa?
La Russia ha deciso di non presentare il suo team difensivo e questo è un chiaro segnale di non voler collaborare, che l’udienza non è meritevole di attenzione. La Corte deciderà sul ricorso presentato dall’Ucraina, che ha usato la convenzione internazionale contro il genocidio per chiedere lo stop alle ostilità. Nell’immediato non mi pare che si possa parlare di genocidio, un progetto che ha per obiettivo l’eliminazione totale o parziale di un gruppo in ragione delle sue caratteristiche, una cosa che va al di là di quello che sta accadendo oggi.
Si può affermare che questa guerra è particolarmente sanguinosa?
C’è una questione legata ai tempi: il conflitto in Siria è partito nel 2012 e va avanti ancora adesso, annoso è quello in Yemen. Spero non arriveremo mai a quei livelli, ma i comportamenti pregressi delle forze armate russe, in Cecenia, Georgia, Siria, ci dicono che non c’è nulla di nuovo. L’unica differenza è che in quei casi non è scattata la stessa compassione per i nostri simili che per fortuna c’è adesso. Altri conflitti rimangono lontani da nostri occhi, dalle nostre attenzioni ed emozioni.
Nonostante i mezzi di comunicazione a nostra disposizione, è difficile quantificare le vittime di questa guerra, al di là della propaganda, e sapere come si evolvono gli schieramenti. È possibile avere notizie più certe e obiettive?
Le immagini e i numeri sono le cose più manipolabili in tempo di guerra. Noi non li sappiamo con certezza. Sappiamo però che con l’aumento dell’attività militare russa e l’intensificazione degli attacchi contro le città il numero delle vittime civili, che era di alcune centinaia nei primi giorni, è di molto aumentato. Ma non possiamo dare cifre esatte. Le immagini satellitari ci possono fornire una traccia degli spostamenti, ricostruendo un determinato centro abitato come è oggi e come era una settimana fa. Sebbene sia importante avere un quadro del numero delle vittime civili, un’organizzazione per i diritti umani come la nostra è più concentrata sulle azioni compiute dall’esercito russo.
I corridoi umanitari proposti dalla Russia, che potrebbero portare in salvo la popolazione, sono stati rifiutati da Kiev. A che punto siamo?
Le autorità russe avevano sospeso i bombardamenti in alcune città per consentire un’evacuazione, ma è stato solo fumo negli occhi. La tregua, ammesso che regga, perché ci vuole un periodo di tempo lungo perché le operazioni funzionino, ha aperto corridoi verso luoghi che non sono sicuri, la Russia e la Bielorussia. I civili non possono mettersi in salvo andando verso territori dal cui attacco stanno scappando. Ci vuole un’azione autorevole e persuasiva nei confronti di Putin che consenta di organizzare pullman per mettere in salvo i civili, portarli in luoghi sicuri in Europa.
E l’Onu che cosa fa? Non potrebbe assicurare la protezione dei civili?
Questa guerra sta mettendo in luce una cosa che sosteniamo da 15 anni. La procedura del diritto di veto è arcaica, l’azione di un organismo che dovrebbe garantire la pace è limitata dal fatto che uno o più componenti del consiglio di sicurezza possono usare il diritto di veto, come ha fatto adesso la Russia. Nel caso di violazione dei diritti umani e catastrofi umanitarie questo diritto non si dovrebbe poter esercitare. Lo Stato che lo mette è quello che ha fatto la violazione, è già successo in passato con gli Usa sul conflitto israelo-palestinese.
Come giudica il comportamento e i provvedimenti dell’Unione europea?
Dal punto di vista delle sanzioni economiche decise dalla Ue, mi sembra che anche se con qualche incertezza e poche eccezioni stiano colpendo i poteri economici e industriali, le ricchezze, i conti bancari e le proprietà immobiliari. Anche le azioni di isolamento reputazionale legate al mondo dello sport e dell’entrainment, e quelle per escludere la Russia dalle transazioni globali, possono dare risultati di indebolimento. Bisognerebbe manifestare nel modo più pubblico e plateale possibile contro Mosca. Non dimentichiamoci che dall’inizio della guerra ci sono stati 13.502 arresti di manifestanti in Russia.
Che cosa pensa dell’invio di armi in Ucraina da parte dell’Italia e di altri Paesi europei?
Da un punto di vista pacifista inviare armi dove già ce ne sono non è una cosa buona. C’è poi il rischio che queste armi anziché ridurre la violazione dei diritti umani possano finire nelle mani sbagliate. Quindi occorre trasparenza sul tipo di armi che vengono mandate, capire se sia stata fatta una valutazione sugli effetti sui diritti umani, come chiede la posizione comune dell’Unione del 2008 e dove e come arriveranno: portare armi direttamente in territorio ucraino con mezzi militari equivale per i russi a entrare in guerra.
La macchina dell’accoglienza sta funzionando?
Bene l’attivazione della procedura di protezione temporanea decisa dalla Commissione europea, che consentirà un accesso immediato a servizi essenziali come cure mediche, alloggio, previdenza sociale. Sarebbe importante non cadere nella retorica dei profughi veri e falsi. Abbiamo chiesto che non ci siano discriminazioni e che l’accoglienza includa anche persone come i rifugiati o gli studenti che vivevano in Ucraina.
Chi sta pagando il prezzo più alto di questa guerra?
Le donne e le ragazze, sulle quali un conflitto e la militarizzazione della società ha sempre un impatto spropositato. Sono loro che hanno bisogno di protezione e cure speciali, perché si trovano in una condizione di estrema vulnerabilità: donne, madri, giovani incinte, minorenni sole, orfane, non hanno bisogno di una pacca sulla spalla, ma che ci prendiamo cura di loro. E sul fronte italiano, sarebbe un disastro se dopo due anni di pandemia le risorse destinate a ricostruire servizi fondamentali come la salute pubblica e il lavoro venissero usate per comprare armi.