Harvard 2,3 miliardi di dollari; Brown 510 milioni; Cornell un miliardo; Northwestern 790 milioni; Università della Pennsylvania 175 milioni; Princeton 210 milioni. Sono questi i tagli pesantissimi targati Trump che si sono abbattuti sugli atenei rei di non essersi assoggettati ai dettami ideologici del presidente Usa, con le sue crociate anti inclusione, il negazionismo climatico e la battaglia contro il woke. “Colpevoli” anche, e non sarà un caso, di avere le proprie sedi dove alle ultime elezioni ha vinto il Partito Democratico. Ma ce ne sono altri, qualche decina, che sono “indagati”, tra cui istituti storici come Berkeley e la Johns Hopkins University.

La protesta dei rettori

La notizia, però, è che in tanti non ci stanno: oltre 180 rettori di università e college statunitensi hanno firmato una lettera di denuncia contro l’amministrazione Trump. Tra i firmatari i numeri uno di Harvard, Princeton e Brown, mentre la Columbia di New York, una delle poche a cedere a molte delle richieste del presidente, non ha firmato.

La lettera stigmatizza un’“interferenza politica senza precedenti” e un “abuso di potere governativo” con un attacco straordinario alla propria indipendenza. Motivi per cui “dobbiamo opporci a un’intrusione indebita del governo nella vita di chi studia, vive e lavora nei nostri campus”.

E ancora: “I nostri college e università condividono l’impegno a essere centri di libera indagine, dove, nella ricerca della verità, studenti, docenti e personale possano scambiarsi idee e opinioni, senza timore di ritorsioni, censure o deportazioni”.

La presa di posizione è stata pubblicata dall’American Association of Colleges and Universities (AAC&U) che nell’homepage del proprio sito ospita uno slogan che certo non piacerà a The Donald: “A Voice and a Force for Liberal Education”. La dichiarazione congiunta, ha spiegato Lynn Pasquarella, presidente di AAC&U, è solo l’inizio e vuole essere “un segnale all’opinione pubblica e un promemoria per noi stessi di ciò che è in gioco, e di ciò che rischiamo se questa continua interferenza con l’università dovesse proseguire”. Anche la homepage di Harvard in queste settimane si è trasformata in un inno alla libertà di ricerca e di insegnamento e ai loro effetti sui progressi della società.

La strategia di Trump

Pasquarella ha messo l’accento sulla strategia utilizzata per attaccare l’istruzione superiore, “una strategia pensata per sopraffare i leader accademici con un flusso costante di direttive, ordini esecutivi e annunci politici che rendono impossibile rispondere a tutto contemporaneamente”, motivando così il ritardo della risposta comune: “I leader universitari hanno avuto tantissimo da affrontare negli ultimi mesi, e sono spesso vincolati da consigli d’amministrazione e stakeholder con richieste contrastanti”.

Anche in altre università i docenti si stanno organizzando per pararsi da attacchi che mettono a rischio l’indipendenza della ricerca e la libertà d’insegnamento: diversi membri della Big Ten Academic Alliance, un consorzio delle maggiori università statali americane, hanno firmato una risoluzione per creare un “patto di difesa reciproca”.

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Il presidente ad Harvard: schedate gli studenti

Queste proteste arrivano a pochi giorni da un’iniziativa senza precedenti: Harvard ha fatto causa all’amministrazione Trump per il congelamento di 2,3 miliardi di dollari in fondi federali e la minaccia di revocare lo status di esenzione fiscale all’università, sostenendo che non avrebbe protetto adeguatamente gli studenti ebrei dalle proteste pro-palestinesi. Questo, con lo stile che gli è proprio, il giudizio del presidente degli States sull’ateneo consegnato a Truth: “Harvard non può più essere considerata un luogo di studio dignitoso e non dovrebbe essere inclusa in nessuna lista delle migliori università o college del mondo. Harvard è una barzelletta, insegna odio e stupidità e non dovrebbe più ricevere fondi federali”.

Come se non bastasse l’amministrazione del presidente Usa tra le varie richieste ha minacciato per lo stesso ateneo il divieto di ammettere studenti stranieri senza controlli preventivi (suddividendoli, si legge, “in base a razza, colore, origine nazionale, media dei voti e rendimento nei test standardizzati"). Lo scopo è quello di individuare coloro che sono “ostili ai valori americani”.

Attacco a diversità, equità, inclusione

Inoltre, i dipartimenti dovrebbero "interrompere immediatamente qualunque iniziativa a favore della diversità, dell'equità e dell'inclusione" e rivedere i programmi che, a giudizio dell'amministrazione, presentano "vergognosi precedenti di antisemitismo", accettando di sottoporre alcuni dipartimenti e programmi a una verifica esterna.

“Se Harvard non riuscirà a dimostrare il pieno rispetto dei suoi obblighi di segnalazione, l’università perderà il privilegio di iscrivere studenti stranieri”, ha scritto in una nota il Dipartimento per la sicurezza interna degli Stati Uniti. Ma il tentativo è quello di imporre anche controlli sulle assunzioni e sull’orientamento politico dei docenti. In sostanza: il governo vuole il pieno controllo delle attività di Harvard. Durissima la risposta del presidente Alan Garber secondo il quale l’università “non avrebbe rinunciato alla sua indipendenza né ai propri diritti costituzionali”. ''La minaccia è illegale e va oltre i poteri del governo" perché per Garber mette in discussione il primo emendamento che tutela la libertà di parola e il diritto di riunirsi pacificamente.

“Il governo non ha – e non può – individuare alcuna connessione razionale tra le preoccupazioni legate all’antisemitismo e la ricerca medica, scientifica, tecnologica e di altro tipo che ha congelato e che mira a salvare vite americane, promuovere il successo americano, preservare la sicurezza americana e mantenere la posizione dell’America come leader mondiale nell’innovazione”, si legge nel testo della denuncia.

Un’offensiva ideologica

Tutte queste offensive dimostrano come le ragioni dell’attacco all’istruzione superiore abbiano motivazioni centrali per l’offensiva reazionaria dell’amministrazione Trump: non solo dunque l’accusa di aver tollerato episodi di antisemitismo nelle iniziative a supporto della Palestina, ma anche la volontà di fermare politiche e programmi finalizzati all’inclusione e al rispetto delle diversità (i programmi Dei) e di avere mano libera su tutto, compresa l’amministrazione.

D’altra parte la destra Usa considera le università i veri incubatori della cultura di sinistra americana, un focolaio vivo di opposizione.

Popolo ed élites

Una contrapposizione populistica tra popolo e una élites straricca di intellettuali (Kamala Harris ha vinto con un vantaggio del 20% tra i laureati) che non è nuova ma che con Trump ha toccato una radicalità che nella storia degli States non ha precedenti: “Questi attacchi sono un assalto deliberato all’accademia, che Trump vede come una roccaforte dell’ideologia woke e dei valori liberali. Da questo punto di vista, la sua strategia ricorda gli attacchi alla libertà accademica condotti da Viktor Orbán in Ungheria e da Recep Tayyip Erdogan in Turchia”, ha sottolineato Michael Sandel, filosofo politico, docente ad Harvard, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera.

Per tornare alla presa di posizione delle 180 università, Pasquarella non chiude al dialogo:“Siamo aperti a riforme costruttive e non ci opponiamo a una legittima supervisione governativa”. Ma per attivare un dialogo costruttivo serve disponibilità anche dall’altra parte. Lo scorso lunedì il portavoce della Casa Bianca, Harrison Fields, ha dichiarato che “la fonte di finanziamenti federali per istituzioni come Harvard, che arricchiscono i loro burocrati enormemente sovrapagati con i soldi delle tasse delle famiglie americane in difficoltà, sta per finire”.

Le premesse non sono certamente buone.