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Rivedremo in queste ore mille e più volte le immagini dell’attacco alle torri gemelle, riascolteremo la storia dei passeggeri che reagiscono sul volo destinato a colpire altri obiettivi. Quelle immagini sono ancora, vent’anni dopo, cariche del dolore, del lutto, dell’orrore a cui assistemmo in diretta. Sono immagini che non si cancellano dalle menti; una delle immagini più forti delle atrocità che possono compiere gli esseri umani.
Quelle vittime, i vigili del fuoco che soccorsero, la città meritano onore allora come oggi. Quella strage ha reso l’11 settembre una di quelle date che cambiano la storia di un Paese, e scuotono l’insieme del mondo. Non è una coincidenza, ma una precisa scelta del Presidente degli Stati Uniti quella che il ventennale della strage si celebrasse insieme al ritiro, non certo glorioso, delle truppe Usa e degli alleati Nato dall’Afghanistan.
La decisione di porre fine ad una guerra quella al terrorismo, che fu dettata da una reazione di immediata vendetta e potenza, e raccontata poi sia come guerra al terrorismo che come esportazione di democrazia e liberazione delle donne dal “burqa”. Venti anni sono un tempo infinito e alle vittime delle torri gemelle si è unito un infinito elenco di vittime civili e militari, di innocenti e di combattenti, tra loro molti non ancora nati nel 2001.
La fine della guerra ha dimostrato ciò che si poteva sapere fin da subito, la democrazia non si esporta con le armi, le donne non vengono liberate con il dispiegamento machista e patriarcale della guerra. Occupare un paese militarmente non significa comprenderlo, unirlo, permettergli di partecipare e condividere, l’abbiamo visto con estrema chiarezza in questi giorni. Lo sentiamo nelle cronache drammatiche che ci giungono dall’Afghanistan che troppo assomigliano a quelle di vent’anni fa.
Noi, la Cgil, con tanti altri lo dicemmo allora che la risposta non doveva essere la guerra, lo ripetiamo oggi proprio perché rispettiamo le vittime e non pensiamo che altre vittime innocenti cancellino il sangue ed il dolore provocato allora. Lo ripetiamo oggi perché l’effetto di quella guerra e delle tante, troppe altre che si sono succedute è quello di una generale e maggiore insicurezza del mondo; perché sorge spontaneo pensare che quegli stessi dollari spesi per le guerra, avrebbero potuto essere spesi in cooperazione, istruzione, qualità della vita, strumenti ben più potenti delle armi per sconfiggere il terrorismo e creare speranza e volontà di vite libere dalle forme di oppressione.
Lo ripetiamo oggi, perché temiamo che i vent’anni di guerra, l’instabilità che si è allargata ben oltre i confini di allora, che ha visto il moltiplicarsi di focolai di fondamentalismo, abbiano indebolito, non rafforzato, l’idea della democrazia. Vorremmo che la ricorrenza del ventennale sia l’occasione per ripensare a quelle scelte, per ammettere la sconfitta ed il fallimento di quella strategia, per proporne un’altra che porti di nuovo a considerare, in tutto il mondo, la pace e la democrazia obiettivi desiderati.